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L’Autonomia differenziata rimandata in Parlamento dalla Corte Costituzionale

Numerosi e sostanziali i profili di incostituzionalità rilevati nell’impianto della Legge

di Redazione.

In attesa del deposito della sentenza sull’autonomia differenziata, l’Ufficio Comunicazione della Corte Costituzionale, lo scorso 14 novembre ha diramato un Comunicato che riporta in sintesi il contenuto del pronunciamento in merito ai i ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, da una parte, e dall’altra le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento ad opponendum delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto.

Come prevedibile, le reazioni delle diverse parti politiche sono state diametralmente opposte scatenando una polemica interpretativa tra sostenitori e avversari della legge. I promotori hanno subito sottolineato con enfasi il fatto che la Corte ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sollevata delle quattro regioni ordinarie che avevano fatto ricorso; dall’altro lato e non a torto è stato affermato come a rigore di logica la Corte ha comunque giudicato illegittime parti importanti e sostanziali delle disposizioni contenute nel testo legislativo.

Si afferma innanzitutto con forza come il tutto debba avvenire nella cornice irrinunciabile dell’unità della Repubblica, mentre in materia di sussidiarietà si ribadisce che la devoluzione alle Regioni deve essere circoscritta a specifiche funzioni legislative e amministrative, e deve essere espressamente motivata per ogni singola Regione. Altra parte della legge bollata come incostituzionale è quella in cui si prevede il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei LEP (tramite DPCM) senza adeguati criteri direttivi, attribuendo il potere della decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando di fatto il ruolo costituzionale ed insostituibile del Parlamento.

Bocciata anche la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito. In base a tale previsione, si legge nel comunicato, “potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni”.

Dichiarata illegittima, inoltre, la facoltatività, anziché la doverosità, per le Regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica; come pure chiaramente incostituzionale risulta l’estensione della legge alle Regioni a Statuto speciale le quali, invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.

Come si può ben vedere, si tratta di obiezioni importanti, che coinvolgono direttamente anche il sistema di istruzione nazionale per il quale si potrebbe determinare un inevitabile stravolgimento, a seconda del tipo di legge che a questo punto verrà rielaborata dal Parlamento.

Non meno decisiva la questione della celebrazione del referendum abrogativo, che potrebbe decadere automaticamente qualora il Parlamento modificasse la legge, accogliendo in tutto o in parte le osservazioni della Consulta. Anche in questo caso, tuttavia, l’ultima parola spetta alla Cassazione e alla Corte Costituzionale che “resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale”.

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