Quanto scrive Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera del 4 giugno 2020, lo vado scrivendo e predicando in ogni sede da vent’anni!
I docenti italiani rappresentano la più corposa categoria del pubblico impiego, ma non riescono ad essere “corpo”, cioè una categoria unitaria che, anche con la forza dei numeri, possa far valere le ragioni di professionisti che svolgono una nobile professione. Finanche nello stesso ambiente in cui operano dalla propria amministrazione sono considerati una categoria residuale.
Sul piano associativo sono dispersi in pansindacati, in cui c’è tutto e l’opposto di tutto. Ci sono dirigenti scolastici, amministrativi, insegnanti, … spesso con a capo persone che non hanno mai avuto alcun rapporto con la scuola, se non in età scolare. E come se, nel settore privato, fossero iscritti allo stesso sindacato Landini e Marchionne, l’operaio e il padrone, come mi capitava di dire. Nella scuola, il datore di lavoro, ovvero il dirigente scolastico e i dipendenti! Peggio dei cosiddetti “sindacati gialli”, i sindacati di comodo, vietati dalla legge e per questo promossi segretamente dai datori di lavoro per far sottoscrivere contratti capestro per gli sventurati lavoratori.
In tutto questo i docenti non hanno alcuna responsabilità? Certo che si! Un docente prima ancora di possedere saperi disciplinari e competenze didattiche, dovrebbe avere anche un profilo etico ed uno spessore culturale che lo renda capace di alimentare una dimensione critica dei saperi che insegna, perché lo studente non sia un semplice recettore di conoscenze, ma persona nella quale i saperi possano vivere una vita propria e contaminare la sua dimensione esistenziale. Deve coltivare la dignità e il senso civico di ogni studente, perché sappia che nella società ci sono doveri, responsabilità e diritti. E, dunque, persona attenta dei propri e degli altrui diritti. Ma come può un docente trasmettere questo ad altri se non lo fa per sé? Se non riesce ad avere consapevolezza di tutto ciò? Se continua nonostante tutto ad essere iscritto ad un pansindacato che nella migliore delle ipotesi svolge il ruolo di quei patronati a cui gli anziani si rivolgono per la domanda di pensione? Difatti, le elefantiache strutture di questi pansindacati si attivano in occasione delle domande di trasferimento, di aggiornamento di graduatorie, etc. che tengono legata una categoria, ormai impecorita, da lacci e laccetti creati ad arte, in una gabbia di contratti e contrattini di cui i pansindacati si elevano al ruolo di depositari di un verbo interpretativo, avendoli proposti e sottoscritti, essendo loro “maggiormente rappresentativi”. Rappresentativi di chi?
Queste domande investono la dimensione antropologica della categoria, il sistema di selezione dei docenti, quello della rappresentatività e dell’organizzazione scolastica. Tutte questioni che oltre ad attente analisi meritano interventi forti e decisi sul piano politico e legislativo, ma, ancor prima, l’uscita dei docenti dal loro lungo sonno, altrimenti l’auspicio di Gaetano Salvemini non troverà risposta neanche nei prossimi cento anni.
Francesco Greco
Corriere della Sera del 4 giugno 2020
Gli insegnanti prigionieri dei sindacati della scuola