Analisi & Commenti

La Filiera Musicale degli indirizzi AFAM Jazz/Popular Music, una fine annunciata?

di Nicola Pisani

Vi sono tante strade che si incrociano nel processo di modernizzazione e riforma in atto che riguarda il variegato mondo dell’offerta formativa dell’Alta Formazione, dei Licei Musicali e, perché no, si spera anche delle scuole medie a indirizzo musicale e della formazione di base ad iniziare dalle primarie. All’interno di questo sistema si collocano, nel settore AFAM, i corsi di indirizzo in Musica Jazz, Popular Music e Musiche Tradizionali che confluiscono tutti nella generale definizione di “Scuola di Jazz” afferenti ai Dipartimenti di “Nuove Tecnologie e Linguaggi Musicali” (DM 124/2009 e successivi). Tante strade differenziate da diversi presupposti e approcci culturali, politici, formativi, sociali e probabilmente anche economici.

Che il Jazz, o altra definizione che possa comprendere tutti i fenomeni musicali ampiamente documentati e sviluppatesi nel corso del XX secolo, sia comunemente riconosciuto dalla cultura musicale italiana come disciplina artistica di alto profilo è apparentemente scontato.

La Costituzione italiana, con una felice intuizione dei “padri costituenti” del 1948, stabilisce tra i suoi «principi fondamentali» che «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura» e «tutela […] il patrimonio artistico della Nazione» (art. 9 Cost.). Ma una normativa che possa ufficialmente decretare “altra musica” come patrimonio culturale nazionale da tutelare e promuovere latita o si insinua in singoli provvedimenti specifici, non sempre strutturali, sia di promozione che di riconoscimento.

In questa confusa condizione l’”altra musica”, con tutti gli operatori artistici e didattici che la compongono, sono, a seconda dei casi, presi in considerati, nelle loro capacità e funzione culturale, o relegati a quell’immagine inferiore di intrattenitori da non necessariamente tutelare nelle loro espressioni musicali ma indispensabili per smuovere esclusivamente economie e consenso.

Se nell’ambito della produzione e distribuzione musicale una organizzazione generale è regolamentata dal mercato culturale, nel settore formativo, di delega ministeriale e quindi pubblica, la situazione diventa ancor più cupa con la strenua difesa di interessi di categorie professionali, che sfociano nel protezionismo, da una parte, si spera minoritaria, del più tradizionalista mondo accademico che cerca di mantenere un primato pedagogico e formativo ormai fuori dal tempo e dalle competenze reali. Da un lato abbiamo una riforma che ha giustamente ordinamentato, in ambito AFAM, percorsi accademici di strumenti e canto jazz, pop e anche, in una visione non limitatamente filologica ma aperta alle nuove realtà espressive, di musiche tradizionali. D’altra parte ci si trova spesso di fronte ad opposizioni e ostruzionismi che rasentano fenomeni di autarchico e occulto razzismo culturali nei confronti di mondi musicali che, appunto, sono apparentemente riconosciuti culturalmente e artisticamente.

Gli ordinamenti afferenti alla Scuola di Jazz negli ultimi 10 anni hanno visto un incremento di interesse e immatricolazioni studentesche raggiungendo nell’a.a. 19/20 quasi il 17% sul totale nazionale degli iscritti nei Conservatori Statali (unendo anche gli istituti parificati e pareggiati si tocca il 20%). Rovescio della medaglia, dato questo preoccupante, gli storici corsi accademici hanno visto una riduzione di oltre il 35%. Viceversa l’organico docenza di settore “Scuola di Jazz” è fermo al 5% con un rapporto docenti/studenti che per le “altre musiche” è di 1/16, per i corsi accademici tradizionali è di 1/4,5. Il ricorso da parte degli istituti AFAM alle docenze esterne con contratti di collaborazione, per sopperire a queste discrepanze, è arrivato al momento del collasso economico e organizzativo. Nonostante il numero di conversioni di cattedre approvate in questo decennio la situazione è strutturalmente in crisi.

Poi abbiamo la generale riforma dei percorsi liceali che ha istituito i Licei Musicali, seguita dal DM 382/2018 che normava la cosiddetta “filiera musicale”. Paradossalmente percorsi di “altra musica” nei Licei non esistono, scelta strenuamente difesa fino a poco tempo fa dallo stesso Ministero della Pubblica Istruzione definendo i percorsi Liceali di formazione generica e non di indirizzo stilistico. Accettabile come definizione se non fosse che tutto l’ordinamento del reclutamento dei docenti non prevede, come titolo di accesso all’insegnamento, altrettanto genericamente tutti i diplomi accademici di II livello rilasciati dalle istituzioni AFAM tra cui anche quelli di “altra musica”, cioè essenzialmente Jazz e Popular Music.

Inoltre il concetto generalista della formazione musicale nella scuola secondaria di 2° grado facilmente decade per due semplici motivi. Uno di ordine tecnico esecutivo che riguarda specificatamente il Jazz: diversa espressività e interpretazione del linguaggio musicale, differenti competenze di base rispetto al mondo classico (armonia, composizione) e soprattutto un approccio sistematico verso la prassi improvvisativa. Il secondo di ordine anagrafico: l’approccio a un differente linguaggio musicale e improvvisativo non può iniziare solo in ambito accademico, ma prevede un lento processo di apprendimento e di percorsi cognitivi che deve iniziare in tenera età. Chi sono i docenti e quali sono le competenze pedagogiche, oltreché artistiche e professionali indispensabili per una formazione continua del docente, che dovrebbero assumersi la responsabilità di formare studenti con questi obiettivi educativi? Qui la filiera prevista dalla L382 si interrompe.

Quindi o da un lato si riconosce una parità legittima di valore tra un titolo di indirizzo classico e uno di “altra musica” come titolo di accesso a graduatorie o concorsi nei licei, oppure si istituiscono classi di concorso specifiche e si autorizzano l’apertura di corsi strumentali a indirizzo “altra musica” o jazz che dir si voglia. In alternativa la funzione di promozione culturale e musicale ispirata dalla Costituzione decade in un crogiolo di interessi di parte.

Vi è anche chi, in ambiti politici, descrive come non competenti gli artisti che operano in altri ambiti stilistici per una attività formativa di base. A parte la non dimostrabilità di questo assioma, i concorsi servono proprio a verificare le competenze dei candidati, non vedo come possa essere valido in un senso e non valido nell’altro: se i licei hanno un indirizzo generalista tutti coloro che terminano un percorso biennale in Conservatorio dovrebbero, dimostrandole, averne capacità. Se i Conservatori prevedono corsi differenziati, anche i licei dovrebbero averne per rafforzare il concetto di filiera. Se diventa indispensabile avere formazione in filiera lo diventa pure l’istituzione di percorsi formativi liceali afferenti agli ordinamenti AFAM, cioè cattedre e corsi di altra musica o jazz.

In tutto questo paradossale intreccio di percorsi interpretativi, si fa fatica a vedere l’Europa, per come molti Paesi hanno affrontato e coniugato questo moderno, ineluttabile e positivo processo di sincretismo culturale, musicale e formativo, con le proprie tradizioni storiche; si affronta con sospetto una indispensabile innovazione e modernizzazione della stessa offerta formativa accademica tradizionale; si difendono strenuamente interessi di categoria che nulla hanno a che fare con lo sviluppo sociale, civile e culturale di un Paese.

Ancor prima della giurisdizione, la politica ha la responsabilità morale e culturale di ampliare le visioni e intraprendere percorsi riformatori che possano conservare i propri pilastri culturali senza per questo renderli rigidi e impermeabili alle pulsioni innovative della società contemporanea.

 

In allegato la RELAZIONE ORGANICI ORDINAMENTI SCUOLA DI JAZZ – AFAM

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