di Redazione
Lettera al ministro dell’Istruzione e del Merito Prof. Giuseppe VALDITARA
Prof. Giuseppe VALDITARA
Ministro dell’Istruzione e del Merito
Preg.mo Ministro,
dopo gli auspici di un “cambio di registro” nelle politiche scolastiche, che le abbiamo manifestato sin dal suo insediamento al Ministero dell’Istruzione, è gradito inviarLe una breve Nota.
Nella Nota riportiamo gli interventi, a nostro giudizio essenziali e prioritari, per riportare la scuola italiana nel suo alveo naturale, di istituzione democratica capace ancora di far immaginare un futuro desiderabile, dando ai giovani gli elementi cognitivi e gli strumenti scientifici per realizzarlo.
Interventi essenziali, perché la democrazia è come l’abito per il monaco, così l’educazione ha bisogno di luoghi liberi ove poter respirare ogni giorno pratiche e valori democratici; prioritari, perché sugli assetti organizzativi poggiano i processi decisionali e i risultati dell’azione gestionale e didattica.
Come può ben vedere, le direttrici degli interventi elencati sono tra loro connessi in una prospettiva di sistema: è evidente che l’attribuzione dell’autonomia statutaria è subordinata alle modifiche del sistema di governo delle istituzioni scolastiche, altrimenti gli statuti diverrebbero abiti su misura; così è difficile scindere l’elezione del preside dalla carriera dei docenti, poiché nel capo di istituto dovranno trovare sintesi competenza e autorevolezza.
Una riforma di sistema, dunque, che non avrebbe conseguenze negative sull’erario, anzi consentirebbe un notevole recupero di risorse da reinvestire nel sistema. Per di più, la “Riforma dell’organizzazione del sistema scolastico” è prevista dal PNRR (Riforma 1.3, misura “Miglioramento qualitativo e ampliamento quantitativo dei servizi di istruzione e formazione”, Missione 4), per cui ben potrebbe giovarsi delle risorse che questo mette a disposizione.
In definitiva, le risorse offerte dal PNRR e l’esplicita previsione in questo contenuta di dover procedere alla riforma dell’organizzazione del sistema scolastico, in aggiunta a quanto detto prima e in considerazione della possibilità concreta di un “governo di legislatura”, sono elementi sufficienti per le decisioni che con fiducia attendiamo.
In attesa di un cortese riscontro e di poterLa presto incontrare per meglio specificare e chiarire quanto contenuto nella Nota, Voglia gradire l’espressione delle più vive cordialità.
Il Presidente
Prof. Francesco Greco
LINEE PER UNA RIFORMA DEL GOVERNO DELLA SCUOLA
Premessa
Le indagini comparative internazionali ogni anno ci consegnano un quadro impietoso del nostro sistema educativo che diverrebbe tragico se il campo di ricerca fosse esteso alla “scatola nera” delle istituzioni scolastiche. E poiché dai livelli di istruzione dipende la capacità di sviluppo di un Paese, per il decisore politico comprenderne le ragioni è essenziale per approntare politiche di contrasto e di miglioramento della qualità e dell’efficacia del sistema educativo.
Una attenta analisi permetterebbe di comprendere come molte delle situazioni perniciose che affliggono la scuola italiana abbiano la loro radice nei cambiamenti introdotti con la legge 59/97 che ha attribuito l’autonomia funzionale alle istituzioni scolastiche e la qualifica dirigenziale ai capi di istituto. L’introduzione nella scuola di istituti tipici della burocrazia, quali la dirigenza, e di modi operandi ispirati a modelli vetero aziendali, contaminati da residui ideologici del New Public Management, hanno determinato un mutamento genetico della scuola italiana, l’annichilimento della sua funzione e la sclerotizzazione dell’azione didattica, trasfigurata in una asfittica logica di mero adempimento burocratico, assorbita in defatiganti attività senza effetti sugli esiti scolastici.
Il rapporto incestuoso, tra burocrazia e educazione, consumato nel letto di una riforma che riguardava la pubblica amministrazione (riforma Bassanini) ha dato luce ad una scuola senza identità, un non-luogo, attraversato da profonde fratture, in cui la funzione educativa e formativa è stata progressivamente dissipata, l’apprendimento dei saperi curricolari marginalizzato.
Per riportare la scuola nel suo alveo naturale è necessario, prioritariamente, intervenire sull’asse dell’organizzazione, dal sistema di governo dell’istituzione scolastica, alla strutturazione dell’istruzione sul territorio.
Essenzialmente, le linee di intervento non potranno che essere volte a:
I. superare l’attuale modello di autonomia funzionale, con l’attribuzione alle scuole dell’autonomia statutaria;
II. Introdurre l’elettività di tutti gli organi di governo, compreso il capo di istituto che diverrebbe un Preside elettivo ed a tempo e non più un dirigente scolastico;
III. definire e strutturare una carriera per i docenti in fasce funzionali non gerarchiche;
IV. istituire un organo di garanzia dell’insegnamento (Consiglio superiore della docenza), cui affidare ogni questione che riguarda lo stato giuridico e i procedimenti disciplinari che riguardano i docenti;
V. ridefinire a livello territoriale l’organizzazione scolastica, con la creazione di un sistema di autonomie responsabili.
SCHEDA SINTETICA
I. AUTONOMIA STATUTARIA
Il riconoscimento di rilevanza costituzionale all’autonomia scolastica (riforma del titolo V, articolo 117 Cost, «salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche») ha ampliato il quadro legislativo tracciato dalla legge 59/1997 e ha aperto la prospettiva per riconoscere alle scuole un ulteriore grado di libertà, l’autonomia statutaria.
È significativo ricordare che la Carta costituzionale riconosce autonomia statutaria agli enti territoriali «i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione» (articolo 114, secondo comma) e alle istituzioni di alta cultura, università ed accademie, il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato (articolo 33, sesto comma).
Il processo per l’esercizio effettivo di tali potestà, tuttavia, come ben sappiamo, ha avuto una lunga gestazione. Se, infatti, si prescinde dalle regioni, la cui storia è ben nota, e dai comuni che solo nel 1990 con la legge n. 142 del 1990 hanno potuto dotarsi di uno statuto, le università̀ hanno dovuto aspettare la legge n. 168 del 1989; le istituzioni artistiche e musicali hanno dovuto attendere prima la legge n. 508 del 1999 e poi il regolamento di attuazione emanato nel febbraio 2003 (regolamento di cui al decreto del Presi dente della Repubblica n. 132 del 2003).
Ma mentre l’autonomia che la Costituzione riconosce agli enti territoriali si fonda sulla natura elettiva dei loro organi di governo, quale proiezione della sovranità̀ delle comunità che amministrano, quella delle università e degli istituti di alta formazione artistica e musicale non può che fondarsi sulle garanzie che la Costituzione riconosce all’insegnamento (articolo 33). Parimenti varrebbe per l’attribuzione dell’autonomia statutaria alle scuole che, nel rispetto delle norme generali fissate dallo Stato, diverrebbero titolari di un potere normativo coerente con la loro funzione.
Pertanto, l’autonomia statutaria, nell’ambito del perimetro tracciato dalla legge, legittimerebbe le scuole a ridisegnare il ruolo dei loro organi di governo, in modo da assicurare partecipazione e responsabilità nei processi decisionali (leadership distribuita); di garantire una maggiore libertà nell’elaborazione del progetto educativo e nell’attuazione e valutazione dei risultati.
La legge, dunque, nell’attribuire l’autonomia statutaria alle scuole, detterà i principi e i criteri a cui devono sottostare gli statuti per quanto riguarda la formazione, la composizione e l’articolazione delle competenze degli organi di governo.
II. ORGANI ELETTIVI
Le scuole italiane con l’attribuzione della dirigenza ai capi di istituto hanno assunto, progressivamente, i caratteri di organizzazioni monocratiche, incentrate sul ruolo e sulle funzioni del dirigente scolastico e perso i tratti di comunità professionali e di comunità di apprendimento. Le comunità professionali sono innanzitutto delle comunità “tra pari”, in cui cruciale è lo scambio di esperienze. Nelle comunità di apprendimento il sapere dell’uno è messo a disposizione dell’altro, in un processo circolare di costruzione della conoscenza che si riverbera anche nella prassi quotidiana dell’agire educativo.
È proprio la curvatura su una prospettiva monocratica ed autoritaria, assunta dal modello di autonomia scolastica, introdotto dalla legge 59/97 e rafforzato da altre norme successive (L.107/2015), a rappresentare uno degli aspetti di maggiore criticità delle nostre scuole.
Superare tale modello rende necessario definire una nuova architettura democratica dell’organizzazione scolastica che garantisca ad ogni componente partecipazione e responsabilità nelle scelte e nei risultati (leadership distribuita); un ridisegno dei poteri gestionali, distinti da quelli di indirizzo, affidati ad un organo collegiale (Direzione Esecutiva), dotato di ampie competenze e ad un preside eletto e a tempo che, oltre a possedere un alto profilo culturale e professionale, goda anche di quella autorevolezza necessaria (leader educativo) che solo la comunità nella quale opera può riconoscergli (primus inter pares).
III. CARRIERA DOCENTI
Una strutturazione orizzontale e reticolare dell’organizzazione scolastica richiede una riarticolazione funzionale del profilo professionale dei docenti. Un sistema di leadership distribuita, richiederà, infatti, esperienze e competenze diversificate, connesse alla mutevolezza di ruoli, oltre che la disponibilità a svolgerli in contesti differenti.
Da qui la necessità di introdurre una carriera per i docenti articolata in fasce funzionali non gerarchiche. Al riguardo, si possono ipotizzare tre fasce: una prima fascia aperta a tutti i docenti; una seconda limitata ai docenti che superano una selezione per titoli; una terza a cui accedono i docenti che superano una selezione per titoli ed esami svolta a livello nazionale.
La fascia di appartenenza, oltre a rappresentare una progressione di carriera, consente l’accesso a funzioni diverse dall’insegnamento. La progressione stipendiale avviene anche all’interno della fascia oltre che con il passaggio alla fascia successiva. I docenti della terza fascia possono essere eletti presidi di un’istituzione scolastica, anche diversa da quella di titolarità. L’incarico è rinnovabile, al termine si ritorna all’insegnamento. I docenti della seconda fascia possono svolgere incarichi di coordinamento di dipartimenti, di consigli di classe, di gruppi di lavoro, di tutoraggio e altre attività e ruoli programmati e definiti dall’istituzione scolastica.
IV. ORGANO DI GARANZIA DELL’INSEGNAMENTO
Appare chiaro che le garanzie poste dalla Costituzione a favore dell’insegnamento possono trovare attuazione solo se sono salvaguardate l’autonomia professionale degli insegnanti e la loro partecipazione al governo democratico dell’istituzione scolastica.
Pertanto, si rileva che lo stato giuridico dei docenti non può più essere assimilato, come ora anche sul piano disciplinare, a quello di altri dipendenti della pubblica amministrazione, ma richiede una propria disciplina e uno specifico sistema di tutele affidato ad un organismo tecnico-rappresentativo della professione (Consiglio superiore della docenza), con competenza su ogni questione che riguarda lo stato giuridico e i procedimenti disciplinari.
V. AUTONOMIE RESPONSABILI
I piani di dimensionamento della rete scolastica, così come previsti dalla normativa vigente, sono finalizzati a discriminare le istituzioni scolastiche in relazione alle dimensioni dei singoli istituti (numero di alunni) senza tener conto che in ambiti territoriali assai ristretti possano esserci istituti scolastici della stessa tipologia. Ciò, spesso, ha dato luogo a duplicazioni di corsi di studio con sottoutilizzo delle risorse e senza alcun reale vantaggio per l’utenza scolastica, oltreché instabilità degli organici e discontinuità nell’attività didattica, per il continuo avvicendamento dei docenti.
Si tratta, allora, di definire degli ambiti organizzativi a livello sub provinciale, in cui siano garantiti un’offerta formativa articolata e univoca dei diversi percorsi di studio e un organico funzionale stabilizzato del personale docente che consenta in modo flessibile di assorbire esuberi e carenze, senza effetti, nel medio periodo, sulla mobilità esterna. Ciò renderebbe inutile il ruolo degli ex provveditorati (che potrebbero essere soppressi), le cui funzioni -sostanzialmente la gestione degli organici e della mobilità- andrebbero svolte da un organismo territoriale di coordinamento delle autonomie scolastiche. Non si tratterebbe di costituire nuove strutture burocratiche, ma organismi rappresentativi delle autonomie scolastiche dotate di una struttura minimale per il supporto tecnico delle stesse. Tanto dicasi per gli Uffici Scolastici Regionali che potrebbero essere soppressi e le loro funzioni in parte ritornare a livello centrale e in parte traferite ai nuovi organismi territoriali di coordinamento delle autonomie scolastiche. I risparmi di spesa sarebbero notevoli, investiti nelle scuole contribuirebbero a migliorare la qualità e l’efficacia dell’intero sistema educativo.