Analisi & Commenti

Le teorie della mente

06/01/2005

Verso il comportamento prosociale

Empatia, altruismo e comportamento prosociale

Gli studi sul comportamento prosociale comprendono ricerche sull’altruismo, sul comportamento d’aiuto, di cooperazione e di riguardo verso gli altri; tutti comportamenti intesi come azioni volte al fine di proteggere, favorire o mantenere il benessere di un determinato soggetto sociale. Implicito in tale descrizione è un ulteriore uso del termine “prosociale” inteso come capacità cognitiva nei confronti dell’altro: tendenza, cioè, a percepire i bisogni dell’altro, ad assumerne le prospettive, a viverne le emozioni e a reagire emotivamente in congruenza con la situazione.
La categoria “prosociale” può quindi essere applicata non soltanto a comportamenti singoli, ma anche a forme stabili di relazione nel contesto sociale. E’ apparso subito chiaro agli studiosi che hanno tentato in tempi recenti dei lavori di sintesi sui molti contributi della letteratura in proposito, che con il termine “prosociale” si coprono praticamente tutti i comportamenti che non siano di antagonismo, o di danneggiamento, aggressivi o distruttivi addirittura. E’ alla luce di questa considerazione che Staub preferisce chiamare il comportamento prosociale: comportamento sociale positivo.
Inoltre la vastità del campo di studio rende praticamente impossibile trovare delle variabili che non siano, più o meno direttamente correlate al fenomeno prosociale. Come osserva Reykowski, il comportamento prosociale, in quanto forma di comportamento sociale, è controllato da un complesso sistema regolatore nel quale l’intervento di qualsiasi fattore che possa mutare lo stato del sistema può influenzare le sue funzioni regolatrici, compreso, quindi, il comportamento prosociale (Reykowski, 1982).
L’insegnamento delle tecniche mediative, in forma prettamente esperienziale, contribuisce al generarsi di una cultura della mediazione che possa intendersi come spazio per comprendere le ragioni dell’altro e mettersi nei panni dell’altro in termini cognitivi ed emotivi.
Il comportamento prosociale può essere sollecitato da fattori interni e in particolare dall’empatia come elemento motivante.
L’empatia ha un ruolo centrale nel comportamento prosociale in quanto precursore e segnale della capacità di percepire e sentire i bisogni e le esigenze altrui.
L’empatia come “capacità di sintonizzarsi cognitivamente ed emotivamente (con la mente e con il cuore) con gli altri”, con ciò che stanno vivendo, favorisce la conoscenza dell’altro e la buona qualità della relazione di aiuto. Numerose ricerche hanno trovato proprio nell’empatia uno dei fattori motivazionali più importanti del comportamento prosociale. Batson sostiene che c’è uno stretto collegamento tra empatia e altruismo. Evitare l’empatia porta al disinteresse per i bisogni degli altri. Esiste un’empatia centrata sull’altro e un’empatia focalizzata su se stessi. Si richiede uno sviluppo notevole della propria capacità cognitiva ed un esame accurato di quella persona in difficoltà che rifiuta l’aiuto, perché lo considera come una minaccia alla propria autostima, specie quando non è nella possibilità di ricambiare, può vedere l’aiuto come un segno di inferiorità dentro un rapporto che crea e mantiene dipendenza, da qualcuno definito “prosociale” o anche comportamento di aiuto. Due studiosi, Latané e Darley, descrivono il comportamento di aiuto come un processo che comporta alcuni passaggi fondamentali: notare una persona, un evento, o una situazione che possono richiedere aiuto; interpretare il bisogno; assumersi le responsabilità di agire; decidere la forma di assistenza da offrire e il tipo di implicazione personale; realizzare l’azione. Uno dei principali fattori di sviluppo della psicosocialità è l’esperienza di una sicurezza affettiva, la presenza di modelli positivi (di amore altruistico) con i quali, già da bambini, ci si possa gradualmente identificare. Nell’aiutare il prossimo, si ricevono dei benefici a livello oltre che morale e/o materiale, anche fisico.
L’importanza della reciprocità nelle relazioni altruistiche è notevole. La professionalità del terapeuta consiste anche nel ricordare che lo scopo dell’empatia è comprendere il paziente per poterlo aiutare. Ralph Greenson afferma: “Essenziale per lo sviluppo della capacità ottimale di provare empatia, pare la capacità del terapeuta di essere allo stesso tempo distaccato e coinvolto, osservatore e partecipe, oggettivo e soggettivo nei confronti del paziente. Soprattutto il terapeuta deve consentire che avvengano oscillazioni e passaggi tra questi due tipi di posizioni. Freud descrisse l’attenzione sospesa, liberamente fluttuante, che si richiede all’analista”.
Secondo Hoffman l’empatia è intesa come un’attivazione affettiva o una risposta affettiva vicaria più appropriata di un’altra alla situazione dell’altro.
Secondo Eisenberg l’empatia viene definita come percezione del bisogno dell’altro che implica comprensione e simpatia. Essa si differenzia da altri tipi di emozione.
Il contagio emotivo, frequente nei bambini, consiste nel sentire la stessa emozione dell’altro e nel rifletterla; non è una risposta cognitiva e può presentarsi in bambini molto piccoli che non differenziano chiaramente tra il proprio e altrui disagio.
La simpatia o comprensione dei sentimenti altrui: quando si risponde all’emozione altrui con un’emozione che non è identica ma congrua: è una preoccupazione simpatetica orientata verso l’altro, che potrebbe motivare l’azione altruistica.

Preoccupazione personale: questo è un sentimento negativo, che nasce in risposta al disagio altrui.

Hoffman si distanzia dalla tesi psicoanalitica classica che vede l’altruismo come una forma di egoismo, ma sottolinea la natura impulsiva e istintiva delle risposte altruistiche, che emergono indipendentemente dal perseguimento di scopi egoistici e sono sostenute da emozioni e sentimenti empatici. Con il progredire dell’età le risposte empatiche si arricchiscono di altri significati, oltre a riconoscere le emozioni e a reagirvi istintivamente: sul piano dello sviluppo cognitivo identificare e comprendere il significato delle emozioni altrui costituisce un’abilità complessa e discriminativa, che implica il superamento dell’egocentrismo.
Solo se i soggetti sono in grado di differenziare il proprio stato emotivo da quello di un altro possono sviluppare sentimenti di compassione e compartecipazione emotiva, capaci di sollecitare tentativi di aiuto adeguati ad alleviare lo stato di bisogno altrui.

Teorie della mente: lo sviluppo della competenza metarappresentativa

La capacità metacognitiva degli adulti viene acquisita gradualmente durante lo sviluppo. Un passo importante si ha quando il bambino giunge a riconoscere di avere degli stati mentali e che stati mentali sono presenti anche negli altri, in questo caso essendovi la possibilità che quelli altrui differiscano dai propri. Le “teorie della mente”, espressione introdotta nel 1978 da Premack e Woodruf , si riferiscono alla capacità del bambino di attribuire stati mentali a sé e agli altri. Classiche sono al riguardo le prove di “falsa credenza” utilizzate per valutare la capacità in questione. L’impostazione narrativa secondo cui la comparsa delle teorie della mente sarebbe da attribuire all’acquisizione, da parte del bambino, degli schemi canonici di interpretazione delle azioni e delle intenzioni dei soggetti umani che sono disponibili nel mondo culturale in cui egli è immerso. Avendo assimilato i ‘copioni’ o gli ‘scenari’ tipici del proprio ambiente, il bambino sarebbe in grado di ‘leggere’ ciò che accade nelle menti altrui prevedendo che esse si conformino a tali schemi comportamentali. Secondo Bruner la narrazione è una delle forme più diffuse e più potenti di comunicazione. Quando il bambino è in grado di designare per nome le cose, il suo interesse linguistico si focalizza sull’azione umana e i suoi risultati e sull’interazione umana. La vita e il sé che ci costruiamo sono la risultante dei tentativi di attribuire senso e significato alle cose, al mondo, alla realtà. La psicologia culturale individua le regole che gli esseri umani applicano per creare significati all’interno di contesti culturali. Risulta sempre necessario chiedere che cosa le persone fanno in un contesto, servendosi del metodo autobiografico. La psicologia culturale tende a dimostrare che la mente umana e la vita umana sono il riflesso della cultura, della storia, della biologia. La rivoluzione del cognitivismo ha allontanato la psicologia dal suo obiettivo che è lo studio di come il soggetto interpreta il suo mondo, i suoi simili, se stesso. Tale studio non può essere costretto nei limiti angusti del pensiero scientifico tradizionale. Secondo Bruner la ricerca di spiegazione e il ridurre tutto in termini di causa-effetto è una banalizzazione che impedisce di comprendere i significati dell’esperienza umana. Bruner propone una psicologia culturale di cui è elemento essenziale il pensiero narrativo contrapposto al pensiero scientifico e paradigmatico. Dunque la psicologia deve ricercare non le cause, ma i significati dei comportamenti.

La didattica autobiografica all’interno dei contesti relazionali

Modelli teorici di riferimento: Modello ecologico e Teorie della mente

Progetto d’intervento

 

DESTINATARI E CONTESTO

Ragazzo con disagio emotivo-affettivo-relazionale che vive in contesti altamente relazionali (scuola, famiglia, gruppo di pari), ma con scarsi stimoli di riflessione culturale e di metarappresentazione, senza particolare predisposizione alla metacomunicazione e metacognizione, finalizzata all’evoluzione di un pensiero narrativo, anche introspettivo.

FINALITA’

Portare l’alunno ad un livello di autoconsapevolezza tale da guidarlo e preservarlo da atteggiamenti fortemente lesivi a danno suo e dei compagni, suscitando in lui dinamiche autoriflessive ed introspettive, rispetto alla propria storia di vita e di formazione, tramite attività orientate al metodo autobiografico. Il progetto si propone di stimolare e valorizzare la propensione alla valorizzazione di sé e dei contesti relazionali di interazione quotidiana.

OBIETTIVI

Migliorare la situazione di disagio in cui imperversa l’allievo.

Invogliare la predisposizione al dialogo, alla metacomunicazione nel tentativo di mediare e favorire la gestione del conflitto, in un’ottica di educazione alla cooperazione, alla comunicazione in modalità e contesti positivi, con insegnanti, compagni e personale della scuola. Disincentivare gli atteggiamenti violenti e non costruttivi nei confronti di tutti. Imparare a riflettere su di sé, sul proprio agito, sulle azioni positive a lui rivolte (metacognizione). Accentuare le capacità introspettive che arricchiscono la persona.

CAMBIAMENTI SULL’EDUCATORE

Volontà di stimolare una felice e piena relazione ed esperienza di vissuti in comune dalla vicinanza e dai risultati conseguiti dall’alunno. Maggiore autocontrollo personale. Maggiore propensione all’ascolto, alla tolleranza, al dialogo con un allievo e di conseguenza con tutti gli allievi.

CAMBIAMENTI SULL’ALLIEVO

Socializzazione positiva e non violenta all’interno di tutti i contesti relazionali. Predisposizione all’autoriflessione e all’introspezione, alla gestione dei conflitti, per poi riflettere tali acquisizioni nelle dinamiche relazionali reciproche con tutti gli altri e nei vari contesti d’interazione. Evoluzione del pensiero metacognitivo e narrativo all’interno dei contesti sociali d’interazione quotidiana.

STRATEGIE PER PROMUOVERE IL CAMBIAMENTO (azione metabletica)

Acquisizione da parte dell’allievo della capacità di compilare un diario su cui annotare le proprie esperienze, per poi commentarle insieme all’insegnante ogni volta. Attivare una didattica autobiografica che susciti l’evoluzione e l’esplicazione di un pensiero narrativo che induca il ragazzo a riflettere su di sé, attraverso meccanismi di metacognizione, agevolati dalla metacomunicazione con l’insegnante. Verrà predisposto un itinerario dialogico in cui si valorizzeranno le predisposizioni alla narrazione di sé, tramite meccanismi didattici di decentramento emotivo e cognitivo. Il cambiamento consta nell’acquisizione di capacità di pensiero autoriflessivo e metacognitivo, attribuendo significato e senso al contesto e all’esperienza di formazione.

 

Laura Tussi

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