04/10/2003
di Alberto Giovanni Biuso e Amelia Caselli
L’elaborazione pedagogico-normativa e i programmi introdotti a partire dal 1979 a noi sembra che abbiano diminuito in modo assai grave la qualità della formazione di base in Italia, soprattutto per quanto riguarda il segmento della scuola media, dove –nel migliore dei casi- si è verificato proprio il passaggio «da una scuola delle conoscenze ad una scuola delle relazioni», dove cioè si è rinunciato all’apprendimento in favore della socializzazione.
A proposito della riforma in corso della scuola secondaria, molti continuano a ripetere l’accusa (mossa più alle intenzioni che alla realtà) di volere «il ripristino di una precoce canalizzazione degli allievi verso le diverse e successive filiere formative». Noi riteniamo che si tratti, invece, di un modo per dare ai ragazzi la possibilità di indirizzarsi verso le conoscenze e le attività nei cui confronti nutrono maggiore interesse e predisposizione; la liceizzazione di tutta la formazione è stato un gravissimo errore strategico che ha condotto da una parte all’abbandono scolastico e dall’altra alla demotivazione delle eccellenze e alla fine del principio del merito. Pensiamo anche che sia ampiamente condivisibile la trasformazione dell’obbligo scolastico in un “diritto-dovere” più che in un dovere soltanto.
L’attuale progetto a noi appare quindi sostanzialmente positivo e in ogni caso un passo avanti rispetto alle riforme del ‘79, soprattutto per:
– la diminuzione del carico orario degli allievi (se diventerà effettiva…);
– il ritorno delle materie rispetto alle educazioni;
– la maggiore attenzione agli aspetti comportamentali, nel senso di una possibile sanzione delle azioni di vero e proprio teppismo e bullismo che pesano in modo gravissimo sull’azione didattica (anche se si preferisce parlarne poco);
– la cancellazione della rilevanza tutta ideologica data dal decreto Berlinguer alla storia del Novecento, in favore di un maggiore equilibrio metodologico e contenutistico;
– il mantenimento di due segmenti (elementare e media), rispettosi dell’evoluzione psicologica e culturale dei bambini-adolescenti.
Gli aspetti più discutibili delle Indicazioni nazionali ci sembrano altri, e in particolare:
1. l’enfasi eccessiva posta sulla «Educazione alla convivenza civile» che si moltiplica in una serie di “educazioni” troppo specifiche e che rischiano di delineare un vero e proprio “Stato etico” che prescrive in modo minuzioso ai suoi cittadini i “valori” in cui debbano credere;
2. il rischio di moltiplicare il già eccessivo carico burocratico dei docenti, dato soprattutto dal dover costruire piani di studio personalizzati per ogni allievo; lungi dal favorire una maggiore attenzione allo studente, quest’obbligo si concretizzerà in una serie di formulari e di giudizi lunghissimi da scrivere e trascrivere, come è già accaduto con le schede al posto dei voti;
3. una certa indulgenza verso l’utilizzo di un gergo “pedagogese” all’ultima moda, che conferma l’antico vizio di far riformare la scuola a dei tecnici che non hanno mai messo piede in una classe “reale”, con degli alunni “veri”.
(AGB)
Troppo spesso e forse sempre, infatti, la voce degli insegnanti è rimasta inascoltata o sommersa da quella di ‘esperti’ che abitavano luoghi ben distanti dalla realtà quotidiana o che vi approdavano raramente, magari in scuole ‘tirate a lucido’ per le loro visite. Questi ‘esperti’, che di solito non hanno esperito la quotidianità della scuola, dovrebbero confrontare le proprie teorie con la realtà e valutarne i risultati solo da tale confronto, possibilmente spassionato e oggettivo, senza pregiudizi e deviazioni di responsabilità, in quanto chi contribuisce a decidere le sorti della scuola e a redigere programmi deve tener conto delle strutture e delle persone vere e non immaginate o desiderate.
Aver insegnato nella Scuola Media per vent’anni e aver attraversato almeno venti scuole mi ha offerto l’opportunità di verificare come i programmi del ’79 si sono concretizzati. Fatti , non opinioni né tantomeno pregiudizi.
Quali sono state le conseguenze di una obbligatorietà imposta ad alunni e a famiglie recalcitranti?
Certamente molti adolescenti sono stati messi al riparo dalla strada e dal lavoro minorile, come è giusto che sia in ogni società civile, ma nel meccanismo qualcosa non ha funzionato e bisognerà pur prenderne atto, se è vero, come è vero, che l’obbligo alla frequenza ha portato con sé, per taluni, l’autorizzazione a non far nulla!
‘Obbligo’ anche per i professori a promuovere potenziali delinquenti per non averli tra i piedi, per evitare una più prolungata e più grave contaminazione con altri alunni che avevano la volontà di apprendere qualcosa di buono per la loro vita e per il loro futuro, per non allontanare dalla scuola pubblica alunni i cui genitori volevano per i propri figli una preparazione seria e quindi per non trasformare la scuola in un ghetto di adolescenti arroganti e violenti.
In questo senso la macchina è già da lungo tempo davvero incontrollabile, ma a causa delle promozioni!
Non avendo la scuola né gli strumenti né le possibilità per un reale recupero sociale (ma poi non sarebbe questo compito di altre istituzioni e non della scuola soltanto?), si cerca di allontanare gli alunni peggiori in tempi brevi per evitare ripetenze inefficaci per il singolo e dannose per la collettività, grazie anche al supporto di un sistema di valutazione estremamente confuso.
Che posto hanno il saper leggere e scrivere nella valutazione di fine anno? A quanto risulta dalla mia non piccola esperienza, esattamente quanto il saper saltare, suonare uno strumento, colorare e…cucinare! E già…perché quando si deve decidere se promuovere o far ripetere una classe, intorno a quel tavolo, le valutazioni delle singole discipline hanno tutte lo stesso valore. Anzi, alcune come storia, geografia e scienze, che pur hanno, ciascuna, una loro singola voce nella scheda, non valgono nulla perché il voto del professore di lettere o di matematica, che insegna più materie, vale un solo voto! Sono queste le conseguenze delle ‘educazioni’?
I primi a capire il meccanismo sono i ragazzi che hanno saputo e sanno fare i loro conti! Che non ci si lamenti poi che la licenza di terza media non sia una garanzia di alfabetizzazione!
Non si tratta di insegnanti di serie A e di serie B (la ‘serie’ la fa l’insegnante, non la materia!). Si tratta piuttosto di stabilire, una volta per tutte, se quel ‘leggere scrivere e far di conto’, diventati molto, troppo spesso obiettivi per un non esiguo numero di alunni della Scuola Media, siano prioritari, paritari o secondari rispetto alle ‘educazioni’ .
Da non sottovalutare, nel funzionamento del meccanismo promozioni-ripetenze, il ruolo della scheda voluta dal Ministero Berlinguer che ha senz’altro complicato, a ben guardare, il sistema valutativo con l’introduzione di semplicistici «non sufficiente, sufficiente, buono, distinto, ottimo». Il ‘non sufficiente’, unica valutazione al di sotto della sufficienza, garantisce, di fatto, la sufficienza a molti ‘non sufficiente’.
E poi, quale significato dare all’aggettivo sufficiente? Ha un valore ‘assoluto’, secondo il significato che il termine ha sempre avuto nella tradizione scolastica italiana, o è relativo agli obiettivi individuali, alimentando in quest’ultima accezione non poche confusioni? Questo, in verità, non ce l’ha spiegato nessuno e molti docenti tacciono per paura del fantasma della vecchia scheda introdotta nel ’79 che ci impegnava ore e ore dentro e fuori scuola per scrivere giudizi che, di fatto, non rispondevano quasi mai alle teorie che le avevano introdotte, che ogni preside voleva stilati secondo i propri criteri, che spesso i genitori non capivano e che avevano bisogno di ore di spiegazione per renderli comprensibili ai ragazzi.
Sì…forse molti insegnanti soffrono proprio di «pigrizia e fors’anche di ignoranza» ma quel tempo che dovrebbero passare a preparare e interpretare griglie e prove strutturate sanno come spenderlo in modo più proficuo.
Essere in una classe di venti o più alunni di cui molti hanno l’argento vivo addosso, cercare di entrare in rapporto con loro magari nell’arco di una sola ora, comporta una concentrazione e un dispiego di energie che non lascia spazio ad altre attività…cartacee. Solo chi ha vissuto personalmente l’esperienza delle ore trascorse in classe riuscirà a capire davvero. Eppure sono convinta che sono proprio l’intensità e la qualità di quelle energie che, accompagnate da una seria preparazione, determinano l’efficacia e il valore dell’insegnamento, un insegnamento che -non dimentichiamocene- non sempre è fecondo perché in alcune classi non può che trasformarsi in un disperato tentativo di tenere a freno le intemperanze di allievi pericolosi e restii a qualsiasi pratica di un comportamento civile, rispettoso di sé, degli altri e delle cose.
Certo la scuola dovrebbe educare, non punire! D’accordo! Ma che fare dopo che banchi e sedie nuovi di zecca sono scarabocchiati, graffiati, bucati? Che fare se un numero di alunni che aumenta sempre di più arriva a scuola con ritardi che fino a qualche anno fa non sarebbero stati accettati? Che fare se le assenze sono ingiustificate e i genitori non sono rintracciabili? Che fare se alunni violenti minacciano in continuazione compagni più deboli? Attualmente la risposta è una sola: nulla!
Eppure bisogna in certi casi avere il coraggio di dire che la scuola ha fallito e cercare i mezzi per tutelare la comunità senza dimenticare che gli strumenti educativi vanno estesi anche a certi genitori.
E allora perché non prendere in seria considerazione il ‘comportamento’, senza che gli insegnanti si debbano vergognare di denunciare alunni scorretti per paura di essere tacciati di inadeguatezza da parte di presidi fuggiti dalle aule perché ‘non ce la facevano più’?
Non dimentichiamo poi la moda dei viaggi, delle uscite, dei corsi più o meno gratuiti (e quindi come non approfittarne?) tenuti da esperti delle più svariate educazioni. Tutte belle, tutte allettanti, ma la disciplina per insegnare la quale sono pagata che fine ha fatto? L’insegnamento e l’apprendimento si basano anche sulla ritmicità degli incontri, ma questo pare del tutto secondario…
Che dire poi della prova finale, ovvero degli esami? Colloquio pluridisciplinare? Mai visto, se non sulle riviste specializzate! Nella realtà ‘colloquio pluridisciplinare’ ha voluto dire per anni presentazione di una cosiddetta ‘tesina’ che i più fortunati potevano scrivere grazie ai suggerimenti dei genitori e che i più sfortunati scopiazzavano da qualche amico che a sua volta…
Capìta l’inutilità della ‘tesina’, i professori hanno ripreso a interrogare materia per materia con la richiesta di qualche cauto (per non urtare la suscettibilità del collega più direttamente interessato) ‘aggancio’ che potesse giustificare l’adeguatezza della prova alle direttive ministeriali.
Così va la scuola, quella vera.
Tornare indietro non solo non è possibile, non è nemmeno auspicabile. Bisogna però prendere atto delle conseguenze dei vari programmi della scuola media nata nel ’63, traendo insegnamento dai risultati positivi e dagli errori. Per far questo sono necessari onestà intellettuale e coraggio. Coraggio anche di cambiare le proprie idee se i risultati le dimostrano false o inadeguate. Sta anche qui la differenza fra un atteggiamento dogmatico e uno veramente libero.