Governance delle istituzioni scolastiche:
Sul tema della governance delle istituzioni scolastiche sono state presentate, sin dall’inizio della legislatura, ben sei proposte di legge, cui se n’è aggiunta una settima appena lo scorso anno. Tante proposte, oltre che riflettere una diversità di approcci, evidenziano come ormai non siano più eludibili le questioni che attengono al governo delle istituzioni scolastiche e allo stato giuridico dei docenti, fondamentali per far avanzare il percorso dell’autonomia scolastica.
L’esperienza dell’autonomia scolastica dovrebbe, tuttavia, indurre ad evitare logiche top-down, in cui schemi e regole vengono calati dall’alto finanche a prescindere da quelle che sono le reali necessità di miglioramento dei sistemi scolastici. Anche perché tali logiche spesso sono l’anticamera del fallimento dei migliori propositi, come dimostrano gli insuccessi di tante proposte di cui è lastricata la storia della nostra scuola.
È evidente che non esiste una scuola in astratto, non esistono degli insegnanti avulsi dal contesto organizzativo in cui sono inseriti. Così come non esistono nella scuola categorie che permettono una facile generalizzazione di situazioni. La stessa definizione di “corpo docente” è quanto di più equivoco ci possa essere, tante sono le diversità tra un docente e l’altro: diversità di formazione, di accesso all’insegnamento, di ordine di scuola di appartenenza, di disciplina di insegnamento, di tipo di posto, etc…
Bisogna aver chiaro che la scuola è un sistema complesso, credo rappresenti in molti Paesi la parte più complessa della pubblica amministrazione. Una complessità che deriva innanzitutto dallo scopo che perseguono i sistemi educativi. Attraverso la scuola i Paesi trasmettono alle generazioni presenti, mentre accumulano per quelle future, i saperi che sono alla base dei modelli interpretativi della realtà, i saperi fondamentali che consentono ai singoli di accedere, man mano che proseguono negli studi, a saperi sempre più complessi e raffinati e di realizzare percorsi di vita professionale e sociale.
Ma è anche attraverso la scuola che si trasmettono modelli di comportamento e riferimenti valoriali che danno senso e identità ad una comunità.
Proprio per questo, anche a livello internazionale, mentre in settori, anche strategici per gli interessi di un Paese, vengono sottoscritti accordi e convenzioni che sottraggono spazi considerevoli di sovranità agli Stati, nel campo dell’istruzione le politiche educative rimangono una prerogativa degli Stati e non formano oggetto di accordi internazionali se non nella forma di una collaborazione volta a favorire lo sviluppo di opportune politiche dell’educazione.
Tanto vale anche sul versante delle politiche interne degli Stati, ove può osservarsi una regolazione alta delle politiche educative che discende da norme costituzionali e primarie, che interessa sia gli ordinamenti degli studi che le modalità generali di funzionamento e le finalità delle istituzioni educative.
A ben vedere, in Europa, il trasferimento di competenze dal centro verso le scuole rappresenta un processo relativamente recente, che prende l’avvio, con l’eccezione dei Paesi Bassi e del Lussemburgo, solo negli anni Ottanta, prima in Spagna, poi in Francia e successivamente in Gran Bretagna. Ma è negli anni Novanta che si rafforza e si estende ad altri Paesi europei. La crisi economica spinge molti Paesi ad adottare riforme generali di sistema, tra cui anche interventi di decentramento politico-amministrativo, finalizzati al recupero di efficienza delle politiche pubbliche e ad un uso più efficace delle risorse.
In questa prima fase, l’autonomia scolastica è inserita nel quadro generale delle riforme e procede di pari passo con il decentramento politico delle competenze verso le collettività locali. Le politiche di decentramento sono guidate dall’idea che il carattere di prossimità delle decisioni ai destinatari sia una garanzia di miglior utilizzo delle risorse pubbliche.
Questa è la filosofia che anche nel campo dell’istruzione guida le riforme e che vede nel decentramento la possibilità di migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’organizzazione scolastica, tanto da far assurgere l’autonomia scolastica a paradigma di ogni successivo intervento riformatore della scuola.
Nel decennio appena concluso, in molti Paesi, oltre al consolidamento del processo avviato negli anni Novanta, vengono emanate nuove norme che rafforzano i poteri già conferiti agli istituti scolastici. È quanto avviene in Spagna, in Germania, in Lituania, in Lussemburgo, in Romania, in Bulgaria, etc… In questo decennio, tuttavia, il trasferimento di nuove competenze alle scuole non è più connesso al processo globale di riforma delle strutture politiche ed amministrative, ma tende ad assumere una specifica rilevanza.
Questa seconda fase dell’autonomia scolastica, per il nostro Paese, inizia nel 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione, la quale, nell’attribuire alle regioni la potestà di legislazione concorrente in materia di istruzione, fa “salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche”. Si tratta di un punto di snodo assai importante. Il riconoscimento di una rilevanza costituzionale all’autonomia scolastica non solo amplia il quadro legislativo tracciato dalla Legge 15 marzo 1997, n. 59, ma apre la prospettiva per attribuire alla scuola un ulteriore e indispensabile grado di libertà, l’autonomia statutaria.
Giova ricordare che la Carta Costituzionale riconosce autonomia statutaria non solo agli enti territoriali, “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”, art. 114, c. 2, ma anche alle istituzioni di alta cultura, alle università e alle accademie, art. 33, c. 6. Il processo di esercizio effettivo di tali potestà, tuttavia, come ben sappiamo, ha avuto una lunga gestazione. Se, infatti, si prescinde dalle regioni, la cui storia è ben nota, e da quella dei comuni che solo nel 1990 con la legge 142 si sono potuti dotare uno statuto, le università hanno dovuto aspettare la legge 168 del 1989; le istituzioni artistiche e musicali prima la legge 508 del 1999 e poi il regolamento di attuazione emanato nel febbraio del 2003.
Ma mentre l’autonomia che la Costituzione riconosce agli enti territoriali si fonda sulla natura elettiva dei loro organi di governo, quale proiezione della sovranità delle comunità che amministrano, quella delle università e degli istituti di alta formazione artistica e musicale, si fonda anche sulle garanzie che la Costituzione riconosce all’insegnamento (art. 33, C.). Parimenti vale per l’attribuzione dell’autonomia statutaria alle scuole che, nel rispetto delle norme generali fissate dallo Stato, diverrebbero titolari di un potere normativo coerente con la loro missione, imperniato sulla funzione che legittima la loro stessa esistenza, l’insegnamento-apprendimento. In altro modo, con l’autonomia statutaria le scuole sarebbero legittimate a darsi finalmente un modello di organizzazione il cui cuore batterebbe in modo sincronico con il processo che gestiscono.
Porre l’insegnamento-apprendimento al centro dell’organizzazione, quale elemento fondante dell’istituzione scolastica, significa ridisegnare il ruolo e le funzioni dei suoi organi di governo all’interno di una visione condivisa dell’agire organizzativo. Ciò rende necessaria una metodologia di costruzione delle decisioni che presuppone un modus operandi basato sulla partecipazione e sulla responsabilità in ogni fase del processo decisionale, dall’elaborazione del progetto educativo, all’attuazione, alla valutazione dei risultati. Partecipazione, responsabilizzazione e condivisione, a loro volta, implicano un modello di leadership distribuita, caratterizzato da competenze professionali elevate e da qualità personali che consentono di svolgere ruoli chiave in modo autorevole e di accettare la valutazione come momento irrinunciabile del proprio operato.
In breve, partendo dall’autonomia statutaria e da una diversa articolazione delle competenze, della formazione e della composizione degli organi delle istituzioni scolastiche, si possono delineare alcuni degli aspetti chiave di una governance democratica della scuola, assai diversa da quella autocratica mutuata da altri contesti e, oggi, imposta alla scuola.
Il governo democratico dell’istituzione scolastica presuppone, innanzitutto, una chiara differenza tra funzioni di indirizzo e di gestione; anche queste ultime, demandate, come avviene in molti Paesi europei, ad un organo collegiale (la direzione). Va da sé che l’abbandono del modello burocratico e dirigistico di derivazione aziendalistica renda, poi, necessari la temporaneità del mandato del rappresentante dell’istituzione scolastica e il suo conferimento attraverso l’elezione (preside elettivo) da parte della comunità scolastica rappresentata nel Consiglio di Istituto. Si tratterebbe per il nostro sistema scolastico, com’è facile immaginare, di una importantissima innovazione. Per il preside eletto, cosi come avviene in altri Paesi europei, la temporaneità dell’incarico e il suo conferimento attraverso l’elezione non potrebbero che accentuare il carattere di missione della sua azione che diverrebbe imprescindibile dalla qualità e dai risultati del processo di insegnamento-apprendimento e dal rapporto con l’insegnamento, che sarebbe solo sospeso per la durata del mandato.
Il reindirizzamento dell’organizzazione sugli apprendimenti porta con sé, inoltre, la necessità di una riarticolazione funzionale del ruolo di coloro che sono preposti alla loro acquisizione, con chiari riflessi sullo sviluppo della professione. Ruoli diversi richiederanno, infatti, competenze e responsabilità diversificate, oltreché la disponibilità a svolgerli in contesti differenti e, dunque, uno sviluppo della professione degli insegnanti in fasce funzionali non gerarchiche, che consenta ai docenti, che per merito raggiungono la fascia superiore, di ricoprire ruoli rilevanti, compreso quello di preside dell’istituzione scolastica.
Si deve, inoltre, considerare che le garanzie poste dalla Costituzione possono trovare attuazione solo se sono salvaguardate l’autonomia professionale degli insegnanti e la loro piena partecipazione al governo democratico dell’istituzione scolastica. Da qui, si rileva che lo stato giuridico dei docenti non può più essere assimilato, come ora anche sul piano disciplinare, a quello di altri dipendenti della pubblica amministrazione, ma richiede una propria disciplina e uno specifico sistema di tutele affidato ad organismi tecnico-rappresentativi della professione (Consiglio superiore della docenza). È lapalissiano che la libertà di insegnamento è intimamente legata alle condizioni del suo effettivo esercizio e che ogni limitazione, se volta a perseguire altri fini, non può che assumere i tratti di un’indebita ingerenza.
Francesco Greco