04/09/2003
«Così è, se vi pare», la formula pirandelliana si adatta bene ai titoli dei quotidiani del 15 ottobre, giornata successiva allo sciopero dei docenti. Leggiamone, infatti, qualcuno:
Scuola: sciopero riuscito a metà (Corriere della Sera); A scuola non passa lo sciopero (Il Sole 24 ore); La scuola si è fermata ma non troppo (Il Tempo); Scuola, sciopero fallito (Il Manifesto); La scuola in piazza: atto primo (Avvenire); Guerra di cifre sullo sciopero della scuola (La Stampa).
Fra gli articoli dedicati a questo argomento, il più interessante ci è parso quello di Giuseppe Montesano sul Mattino del 15/10: «lo sciopero è oggi solo la punta di un iceberg. Il segnale di una insofferenza che non appartiene ai soli insegnanti, ma a tutta la società civile. La scuola è invocata o maledetta a seconda di umori e interessi, ma quasi sempre se ne parla a sproposito. Da almeno dieci anni, essa è diventata ora un capro espiatorio, ora la chiave per risolvere tutti i problemi, ora la madre di tutte le colpe. (…) Sulla scuola si gioca un grande equivoco: si immagina che essa debba risolvere ciò che non può risolvere (…). I politici e le famiglie si svegliano di colpo a ogni fatto di cronaca, e invocano la scuola come panacea di ogni male. E dove finiscono le loro responsabilità? Svanite, come per miracolo. (…) Perché mai i ragazzi dovrebbero rispettare le regole del gioco se l’esempio non gli viene dato da tutti gli adulti? (…) In realtà fino a oggi la scuola ha nel bene e nel male supplito alle mancanze di tutte le altre istituzioni civili di questo Paese, ma ora è sull’orlo del collasso perché le contraddizioni sono diventate soffocanti. La scuola educa attraverso la cultura, perché (…) l’educazione stessa è un fatto culturale: le sia allora dato modo di adempiere quello che è il suo vero compito». Si tratta di un intervento come di rado se ne leggono sulla stampa quotidiana, capace di andare alla radice del problema scuola, di richiamare ai propri compiti e responsabilità le istituzioni e le famiglie che nella scuola trovano un alibi fin troppo comodo per le loro inadempienze, di ricordare la funzione culturale e proprio per questo educativa e civile della scuola. Non si insegnano le regole e poi i contenuti disciplinari, si insegna il vivere civile e l’armonia della persona attraverso la dimensione culturale del quotidiano fare scuola. È esattamente a questo scopo che l’A.N.D. è nata e opera.
Qualunque sia stato l’esito dello sciopero, crediamo quindi che per i docenti sia arrivato il momento di pensare a forme di espressione e di protesta meno generiche, più mirate all’individuazione dei problemi specifici della scuola, più propositivi. Come A.N.D. tenteremo senz’altro di fare la nostra parte. Per cominciare, cercheremo di seguire con attenzione gli sviluppi sia della Finanziaria 2003 che del prossimo contratto. Marco Ludovico, sul Sole del 3/10, prospetta aumenti retributivi pari a circa 155 euro lordi, a fronte della introduzione di criteri «meritocratici» da individuare mediante «sistemi di valutazione concordati e trasparenti» e sul numero del 5/10 dello stesso quotidiano si afferma che, allo scopo di «razionalizzare», il Miur intende «rivedere tutto il piano delle cattedre, degli insegnamenti e degli orari. Per ora siamo ancora alla fase dello studio». Riteniamo assolutamente necessario che delle modifiche e delle proposte le quali toccano le conoscenze disciplinari e le competenze culturali degli insegnanti debbono essere «studiate» insieme ai docenti. Fin da subito, comunque, chiediamo di reintrodurre nella Legge finanziaria la possibilità di ottenere il rimborso di parte delle spese effettuate per acquistare libri, abbonarsi a riviste pedagogiche, rimanere all’altezza degli sviluppi in corso nelle proprie discipline. Il comma 4 dell’art. 16 della Finanziaria 2002 stanziava a questo scopo 35 milioni di euro, dei quali però nella nuova Finanziaria non c’è più traccia. Si trattava di cifre certamente assai modeste (intorno ai 46 euro per ogni docente che documentasse le spese di aggiornamento) ma era anche un piccolo segno dell’attenzione verso quegli insegnanti ancora disposti a studiare e a leggere, pagando di tasca propria. Paradossale, a questo proposito, è che la scuola invece di essere finanziata, finanzi essa stessa altri settori della spesa pubblica. È quanto riferisce Alessandra Ricciardi, su Italia Oggi del 15/10: «la scuola con i suoi tagli rimpinguerà le casse dello stato di 425, 8 milioni di euro nei prossimi quattro anni», secondo una stima della Camera dei Deputati. «Si è persa poi traccia del fondo per l’autoaggiornamento degli insegnanti. (…) I risparmi che la razionalizzazione delle spese consentirà di conseguire non saranno comunque reinvestiti, tranne una quota parte, all’intero del sistema di istruzione».
Ricordiamo che l’A.N.D. è l’unica Associazione alla quale aderiscano docenti sia medi che universitari. Uno dei suoi obiettivi primari è l’istituire un rapporto più stretto fra i diversi settori della formazione. Ora, in ambito universitario si fa sempre più evidente il fallimento della riforma che ha istituito le cosiddette lauree brevi, tanto che «pesanti critiche» arrivano anche da un documento redatto da docenti che appartengono all’area dell’opposizione parlamentare. Ne riferisce Michele Coccia sul Tempo del 16/10. Il livello culturale e le competenze professionali dei corsi che preparano alle lauree triennali si stanno rivelando, infatti, talmente bassi che molti ordini professionali hanno già deciso di «escludere, anche in base a standard europei, i laureati triennali dagli sviluppi più alti delle varie professioni». E dire che le motivazioni più importanti del 3+2 si riferivano proprio a un rapido inserimento nel mondo delle professioni qualificate e “all’adeguamento all’Europa”, formula magica che ormai rappresenta un grimaldello per scardinare quel che pure di positivo c’è in Italia.
Molti quotidiani del 16/10 hanno dato notevole rilievo alla comunicazione dei risultati di un test di autovalutazione che ha coinvolto 2.832 scuole di vari ordini. Da esso si evince che «gli studenti italiani sono “deboli” in italiano e matematica, soprattutto se frequentano un istituto professionale», come riferisce sul Sole 24 ore Alessia Tripodi. Formuliamo tre brevi osservazioni che non ci sembra di aver letto sulla stampa: chiunque abbia compilato un questionario allo scopo di sintetizzare la complessa esperienza di ogni scuola, sa che di rado c’è una reale corrispondenza fra quanto si dichiara e quanto di fatto accade. Italiano e matematica sono fra le poche discipline che si studiano in tutte i tipi di scuola e per tutta la carriera scolastica, di questo fattore si è tenuto conto? Per ciò che riguarda gli istituti professionali -ma anche in generale- ci saremmo stupiti se i risultati fossero stati diversi, visto che ormai in troppe scuole i docenti sono impossibilitati a svolgere la loro attività didattica di fronte a gravi problemi disciplinari. Si restituisca alla scuola la sua funzione culturale prima che socializzante e poi si ripeta il test. Scommettiamo che i risultati sarebbero diversi.