10/04/2003
di Alberto Giovanni Biuso
Direttore del Centro Studi dell’A.N.D.
In queste settimane di inizio d’anno scolastico, stiamo pubblicando -insieme alle nostre analisi e commenti- degli articoli appositamente scritti per l’A.N.D. e altri che abbiamo selezionato dalla stampa quotidiana. Si tratta di materiali che possono apparire eterogenei ma che sono in realtà accomunati da alcuni concetti-chiave, i quali si trovano ribaditi nell’ampia intervista che Giuseppe De Rita -presidente del Censis e del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario- ha concesso a Italia Oggi del 17/9. Vediamone alcuni: agli insegnanti «sempre più trattati da impiegati, va riaffidato un ruolo forte, di guida dei ragazzi»; «la scuola secondaria deve essere abbastanza unitaria, proprio perché già all’università, con 3200 corsi, c’è il rischio della polverizzazione dei percorsi. (…) Per questo, la formula del liceo classico tradizionale è sempre valida; sono convinto che gran parte delle mie sinapsi intellettuali debbano molto al latino e al greco»; il grande problema è «rimotivare gli insegnanti. E non è un problema sindacale o di status finanziario, ma di ruolo». Giudichiamo in questo senso condivisibile la proposta enunciata da una Commissione ministeriale -e illustrata, fra l’altro, sul Messaggero del 17/9- di restituire unitarietà, rigore e prestigio ai corsi di laurea, anche sostituendo la formula del 3+2 con quella di un quadriennio più unitario, seguito da un anno di specializzazione.
Sempre sulla questione universitaria, ci sembra molto interessante il commento di Anna Balducci (Italia Oggi, 17/9) alle nuove posizioni dell’Ocse, che fuoriescono dal tradizionale solco dell’aziendalismo. Finalmente si sta comprendendo che «i giovani non sono clienti da illudere o blandire con interesse». Delle scuole e delle università all’altezza della società complessa nella quale siamo immersi debbono tornare alla «centralità del ruolo del docente. Un leader la cui autorità deriva dall’esempio e non dalle prescrizioni». L’educazione e l’apprendimento, continua Balducci, sono un valore in sé, non finalizzato al «certificazionismo. (…) Una smentita secca al mercato quale massima autorità regolatrice».
A proposito di aziendalismo, Enzo Martinelli su Il Giorno del 14/9 mostra con efficacia le ragioni e le modalità del “risparmio” al quale la scuola sembra oggi costretta, ragioni la cui responsabilità è di tutto il Parlamento e di ogni forza politica: debiti con le Università; corsi di abilitazione privi della necessaria copertura finanziaria; passaggio del personale non docente da Comuni e Regioni allo Stato: «sarebbe allora opportuno che maggioranza e opposizione parlamentare (…) elaborassero qualche comune strategia per offrire ai giovani un sistema formativo più qualificato». Su Il Sole del 14/9, invece, Nicola D’Amico esprime una fiducia eccessiva nella miriade di progetti e di sperimentazioni, molti dei quali si sono in realtà rivelati o puramente di facciata o, come «i Progetti Qualità in collaborazione con le aziende», sono stati uno strumento utile solo a introdurre la logica mercantilistica nelle scuole. Crediamo, quindi, che bene abbia fatto il Ministero a porre un freno a questo proliferare ormai quasi incontrollabile di progetti frammentati e privi di una fondata logica educativa. Sullo stesso numero del quotidiano di Confindustria, Giovanni Scaminacci descrive le gravi incertezze didattiche e normative che possono nascere da un’autonomia che sta diventando causa di conflitti fra Scuole ed Enti Locali. In Sicilia, ad esempio, l’assessorato regionale ha decretato che le lezioni abbiano inizio il 30 settembre per concludersi il 14 giugno 2003. Ciò che appare inaccettabile è che «Regione e Ufficio scolastico regionale non hanno fatto conoscere le ragioni giuridiche e di opportunità di tale scelta». Sappiamo che molte scuole in Sicilia anticiperanno l’inizio delle lezioni al 23 settembre ma intanto sembra che, ancora una volta, gli insegnanti siano stati scavalcati da un potere che se non è più quello dello Stato centrale, è quello degli enti periferici, le cui decisioni appaiono spesso ancora più immotivate e causa di ulteriore grave confusione per le scuole e per le famiglie. Ha ragione De Rita, quindi, (nell’intervista citata) a paventare «un nuovo centralismo, regionale, provinciale o comunale». Sempre sulla questione dei calendari regionali e locali, Aldo Zandi (Il Secolo d’Italia, 17/9) accenna alle ragioni non propriamente didattiche ma relative a un «malcontento turistico-alberghiero: non si possono costringere al medesimo calendario scolastico tutte le regioni italiane, così diverse per clima»; col risultato, però, che quest’anno studenti e docenti siciliani dovranno rimanere nelle aule col «caldo intenso di giugno, con quanto beneficio è difficile a dirsi».
Su Italia Oggi del 17/9 il Ministro risponde punto per punto al parere negativo espresso dal Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione in merito alla sperimentazione nelle scuole materne ed elementari. Al di là degli aspetti più analitici e tecnici di questa risposta, il concetto chiave del testo della Moratti ci sembra il seguente: «l’obiettivo strategico di inserire il processo di riforma in un effettivo circuito di sperimentazione che ne verifichi via via i vari aspetti, ha determinato l’esigenza di non rinviare l’avvio dell’iniziativa sperimentale».
Segnaliamo, infine, la lettera di una docente e genitrice pubblicata su Il Mattino del 16 settembre, nella quale Ersilia Di Palo sottolinea le gravi conseguenze educative e sociali che derivano da promozioni accordate con troppo facilità, chiedendosi che valore abbia «la scuola che promuove alunni ignoranti e quale sarà il destino di questi ragazzi a cui è stata tolta la possibilità di raggiungere obiettivi utili al loro futuro culturale e lavorativo».
Milano, 18 settembre 2002
Alberto Giovanni Biuso
Direttore del Centro Studi dell’A.N.D