Note & Interventi

Volesse il cielo …

 

Con i loro figli gli uomini possono sbagliare in tre modi:

perché trascurano del tutto la loro educazione,

perché si accorgono troppo tardi dell’importanza di questa

o perché i maestri ai quali li affidano insegnano

cose che non servono.

Vi sono persone il cui animo gretto

impedisce loro di assumere un insegnante qualificato;

e sempre avviene che si paga più uno scudiero

che l’educatore del proprio figlio.

Volesse il cielo che fossero meno numerosi coloro

che spendono di più per i loro capricci

che per l’educazione di un figlio.

 

Erasmo da Rotterdam, “L’educazione precoce e liberale dei fanciulli” (1529)

 

 ***

 

L’art 36, comma 1, della Costituzione riconosce il diritto del lavoratore ad una giusta retribuzione, proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

Una norma di civiltà e di progresso dimenticata dalla politica e dal legislatore, ma non dai lavoratori che devono far fronte ogni giorno ad un costo della vita sempre più lontano dalle loro retribuzioni.

L’ultimo Rapporto ISTAT (Report, 11 giugno 2019) attesta una spesa media mensile per consumi delle famiglie residenti in Italia di 2.571 euro, a fronte di un reddito medio mensile per famiglia di 2.550 euro. Si tratta come è ovvio di valori medi, dato che sono ben poche le famiglie che dispongono di un reddito medio mensile di 2.550 euro. Di certo, tra queste non rientrano quelle degli insegnanti che hanno una retribuzione media mensile di 1.400 euro.

Ci sarebbe da chiedersi come facciano gli insegnanti con una tale retribuzione ad assicurare a sé stessi e alla propria famiglia “un’esistenza libera e dignitosa”?

È evidente che gran parte dei 1.400 euro di reddito siano impegnati nell’acquisto di beni alimentari, che l’Istat quantifica nel 18% della spesa totale, in valori assoluti 462 euro. È altresì evidente che i restanti 1000 euro non siano sufficienti ad assicurare alcuno spazio di libertà per provvedere alla cura del proprio sapere specialistico e per mantenere uno status sociale corrispondente alla funzione svolta, dovendo, ovviamente e necessariamente, essere impegnati per l’acquisto di beni primari. Bisognerebbe, ancora, aggiungere (anzi sottrarre alla retribuzione percepita) altri oneri finanziari connessi allo svolgimento della professione. Infatti, gli insegnanti, a differenza di altre categorie, non percepiscono alcuna indennità aggiuntiva quando viene loro assegnata una sede  di servizio che comporta altri oneri finanziari accessori, quali pasti e spese di viaggio (si veda le cosiddette cattedre orario esterne, formate tra scuole e comuni diversi, spesso distanti decine di chilometri); nessuna provvidenza economica, in caso di trasferimento d’ufficio verso una sede lontana dal luogo di residenza (emblematico è il caso del piano assunzionale della “buona scuola”,  in conseguenza del quale i docenti sono stati esiliati a migliaia di chilometri dalla propria famiglia, con disagi e costi, spesso al di sopra dell’intera retribuzione); nessuna tutela legale nei casi di problematiche connesse allo svolgimento della loro funzione (l’assistenza legale è però prevista in favore dei dirigenti, in aggiunta alla corresponsione di aumenti cospicui ed a cadenza annuale, decuplicati rispetto agli aumenti miseri attribuiti ai docenti).

La risposta, dopo avere evidenziato alcune specificità della condizione dei docenti italiani, è anch’essa di tutta evidenza. I docenti italiani percepiscono stipendi che li pongono ormai al di sotto della soglia di povertà, tra gli ultimi posti della classifica europea delle retribuzioni. Una situazione che certo non valorizza il loro prezioso ruolo, né nel contesto lavorativo né in quello sociale.

I docenti hanno pagato e continuano a pagare a caro prezzo la crisi economica che attanaglia il Paese, mentre la politica nega ogni giorno la speranza che possa essere accolta la supplica di Erasmo da Rotterdam “Volesse il cielo che fossero meno numerosi coloro che spendono di più per i loro capricci che per l’educazione di un figlio.”

 

 

 

 

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