Note & Interventi

Una proposta per l’organizzazione della Didattica Integrata nella scuola secondaria

 

Secondo quanto previsto nel DPCM del 3 dicembre 2020, dal prossimo 7 gennaio 2021, l’attività didattica in presenza riprenderà anche nella scuola secondaria, seppur limitata al 75% della popolazione scolastica. In questa nota inviata dal prof. Francesco Greco, presidente dell’Associazione Nazionale Docente, al ministro dell’Istruzione, on. Lucia Azzolina, vengono esposti i punti essenziali di un modello di organizzazione della didattica che possa consentire, nella prospettiva della riapertura delle scuole, di svolgere l’attività in presenza osservando criteri di sicurezza sanitaria e di validità pedagogico-didattica, mentre, per la parte a distanza, gli elementi che militano per il superamento delle piattaforme proprietarie e quelli che rendono opportuno il ricorso a piattaforme e software open source.

 


 

Al ministro dell’Istruzione

on. Lucia Azzolina

 

 

 

 

Una proposta per l’organizzazione della Didattica Integrata nella scuola secondaria

 

Premessa

Nell’ultimo DPCM del 3 dicembre 2020, è confermata l’attività didattica in presenza (art. 1, c. 10, lettera s) per i servizi educativi per l’infanzia, per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione, mentre per le istituzioni scolastiche di secondo grado l’attività didattica in presenza riprenderà dal 7 gennaio 2021 e sarà limitata al 75% della popolazione scolastica.

Oltre ad un laconico riferimento a forme flessibili nell’organizzazione dell’attività didattica (la potestà organizzativa e didattica già rientra nella sfera dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, articoli 4 e 5 DPR, 8 marzo 1999, n. 275), il DPCM non introduce alcun criterio che le istituzioni scolastiche dovranno adottare nel porre questa imponderabile limitazione di un diritto universale ad alcuni studenti. Un limite che certo le scuole non hanno il potere di imporre.

Ma al di là di questa non secondaria questione, che sicuramente sarà opportunamente approfondita, lo scopo di questa nota è ben altro. Intanto, non può essere sottaciuto che la sospensione delle attività didattiche in presenza è stato il prevedibile epilogo della mancata modificazione di alcuni elementi strutturali delle nostre scuole, sia qualitativi che quantitativi (numero classi, rapporto alunni/classe, distanziamento fisico). Tutti elementi che il prossimo 7 gennaio, alla riapertura delle scuole, ritroveremo con il loro carico di criticità. In tale prospettiva, porre limitazioni all’attività didattica in presenza sarà una necessità, posta, prima ancora che dal DPCM, dalle immutate carenze strutturali delle nostre scuole e dalla mancata organizzazione dei servizi complementari, in primis i trasporti. Ma certo una limitazione non può essere posta apoditticamente in termini percentuali come scritto nel DPCM, senza spiegare perché questa percentuale piuttosto che un’altra e, soprattutto, è inaccettabile che si demanda alla “fantasia” delle scuole la ideazione di criteri divisori degli studenti, tra chi partecipa in presenza e chi a distanza. Non meno importante è chiedersi, come si coniuga l’imposizione di una didattica in presenza limitata al 75% degli studenti con criteri che assicurino a tutti pari opportunità di istruzione e corrispondenti omogenei criteri di valutazione? È evidente che tale impostazione impedirà ad una parte consistente, circa ¼ degli studenti di ogni classe, di seguire le lezioni allo stesso modo degli altri. Per questi, quali metodi e criteri di valutazione si utilizzeranno?

Pertanto, riaffermato che la scuola è il luogo deputato alla socializzazione e condivisione dei saperi codificati che sono alla base della conoscenza umana e che ciò si realizza, in presenza, nella classe e che in questo specifico contesto di apprendimento che si anima la relazione educativa e si crea il rapporto empatico e dialettico tra docente e discente. Altre modalità di relazione educativa, nella scuola, possono rappresentare l’eccezione, non la regola.

Ciò premesso con questa breve nota si intendono proporre alcuni punti essenziali di un modello di organizzazione della didattica che possa consentire, nella prospettiva della riapertura delle scuole, di svolgere l’attività in presenza osservando criteri di sicurezza sanitaria e di validità pedagogico-didattica, mentre, per la parte a distanza, di evidenziare gli elementi che militano per il superamento delle piattaforme proprietarie e quelli che rendono opportuno il ricorso a piattaforme e software open source.

 

Didattica in presenza

La nostra proposta parte dalla necessità di coniugare i limiti dell’attuale situazione (in particolare, mancanza di spazi adeguati) con un modello di organizzazione delle attività che riduca il numero degli studenti presenti nella scuola e nelle classi, assicurando comunque un’attività didattica corrispondente alle esigenze degli studenti e agli obiettivi formativi normativamente definiti. Il punto di partenza è dato dallo spunto offerto dai CFU (Crediti Formativi Universitari) che, come è noto, trovano applicazione in campo universitario e rappresentano le unità di misura della quantità di lavoro di apprendimento, compreso lo studio individuale, richiesto allo studente per acquisire conoscenze e abilità nelle attività formative previste dai singoli corsi di studio.

Un CFU corrisponde a circa 24 ore di attività formativa, di cui un terzo è rappresentato dalla lezione frontale, mentre i restanti due terzi, dallo studio individuale dello studente. Nelle scuole l’elemento organizzativo di riferimento è rappresentato dall’Unità Oraria di 60 minuti. In rapporto ai quadri orari di ogni singola classe si assegnano i docenti e si organizza l’attività didattica. Nell’esperienza quotidiana di molti insegnanti, il tempo dedicato alla spiegazione di un nuovo argomento è circa un terzo dell’UO (20 minuti) che, tra l’altro, corrisponde al tempo in cui l’attenzione degli studenti è più alta, mentre i restanti due terzi (40 minuti) sono utilizzati per attività di approfondimento, esercitazione, verifica.

Per cui, ove, da una parte, si tenga conto di questi elementi che caratterizzano l’articolazione dell’attività didattica in classe e dall’altra le esigenze sanitarie e le condizioni strutturali delle nostre scuole, con la trasposizione concettuale dei CFU all’Unità Oraria (UO), si renderebbe possibile la riorganizzazione delle attività didattiche, in coerenza con le esigenze pedagogiche e con quelle sanitarie del distanziamento, limitatamente al tempo imposto dalla situazione epidemica.

Pertanto, partendo dalle raccomandazioni delle autorità sanitarie che individuano nel distanziamento un presidio fondamentale per evitare la diffusione del virus, il primo obiettivo, del modello di organizzazione che si propone, è quello di ridurre il numero degli alunni in classe e, più in generale, nella scuola. In funzione di questo obiettivo, l’attività didattica dovrà necessariamente essere organizzata in due sessioni, dimezzando così il numero degli studenti presenti. Altra indicazione fortemente raccomandata dalle autorità sanitarie è quella della riduzione del tempo di esposizione a probabili contagi. Questa indicazione non può che avere come obiettivo la riduzione della permanenza degli studenti in classe. In funzione di questo secondo obiettivo, i docenti, per come indicato con i CFU, svolgeranno in presenza solo la parte dedicata alla lezione frontale, corrispondente ad un terzo di ogni unità oraria (20 minuti), cui si aggiungerà il tempo necessario per gli adempimenti amministrativi (registrazione presenze, avvicendamento in classe dei docenti), per un orario complessivo di circa 30 minuti. Il tempo di permanenza a scuola e in classe degli studenti, corrisponderà ad un tempo di pari durata, complessivamente la metà del monte orario giornaliero. Lo svolgimento delle attività didattiche in presenza organizzate in due sessioni e la riduzione del tempo di permanenza in classe, avrà così permesso di assicurare a tutti pari opportunità di istruzione, senza far perdere pregio pedagogico all’organizzazione didattica. Ovviamente, per gli studenti con bisogni educativi speciali si potrà, in relazione alle specifiche situazioni, prevedere la sola partecipazione in presenza nelle due sessioni.

Le due sessioni si potranno svolgere nella mattina, mentre nel pomeriggio potrebbero essere organizzate attività di tutoraggio per esercitazioni e approfondimenti svolti a distanza. Le attività pomeridiane potrebbero essere svolte dagli stessi docenti curriculari, se disponibili, per massimo sei ore aggiuntive o da docenti allo scopo temporaneamente assunti.

 

Didattica a distanza

Alla proposta di un diverso modello di didattica in presenza si lega a doppio filo la questione della didattica a distanza. Il primo è la condivisione del carattere di necessità, l’altro la chiamata ad un ruolo di supplenza/integrazione all’attività in presenza.

La chiusura delle scuole, in particolar modo nella prima fase della pandemia, e il ricorso alla didattica a distanza hanno fatto emergere molteplici criticità, dall’inadeguatezza delle infrastrutture tecnologiche, spesso addirittura assenti (molte scuole, pur utilizzando il registro elettronico, non hanno una rete Internet, per cui i docenti devono provvedere con mezzi propri e con spese di connessione a loro carico), alla carenza di formazione specifica sull’insegnamento a distanza, all’assenza di tecnici per la gestione delle strumentazioni digitali.

Tutto ciò ha determinato, nel mese di marzo di quest’anno con la prima chiusura delle scuole, una partenza da “Esercito di Franceschiello”, con il ricorso a mezzi di comunicazione più vari, dal telefono fisso al cellulare, dalla chat di WhatsApp a quella di Messenger, il tutto demandato all’iniziativa autonoma dei docenti che, pur tra tante difficoltà, hanno profuso ogni sforzo pur di non interrompere la relazione educativa e formativa con gli studenti. Nessuna scuola, salvo qualche rara eccezione, era fornita di una propria piattaforma per la formazione a distanza, tant’è che il Ministero dell’Istruzione ha dovuto far ricorso a piattaforme proprietarie messe a disposizione dai “giganti” del Web, da Google a Microsoft, che, in questa prima fase hanno vestito i panni di “Cappuccetto Rosso” e fornito il loro servizio “gratuitamente”, senza, “apparentemente” interferire con la libertà di insegnamento, senza “apparentemente” creare forme di fidelizzazione, senza “apparentemente” trarre alcun vantaggio per l’enorme mole di informazioni che ricavano dagli utenti che utilizzano tali applicativi. Ma è proprio così? E i servizi offerti gratuitamente lo saranno anche in futuro? Tanti altri interrogativi potrebbero essere posti a cui si connettono altri non meno importanti, quali la sicurezza e la riservatezza dei dati di milioni di utenti.

In questo contesto, qualche domanda non si può non porre sul Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) che ha mobilitato una ingente quantità di risorse, oltre un miliardo di euro, e per un tempo assai lungo, dal 2007 ad oggi. Bisognerebbe chiedersi, in particolare, come mai, nonostante un così forte impegno finanziario, ci sono ancora tante scuole che non hanno le infrastrutture tecnologiche minime essenziali (rete WI-fi) per l’utilizzo delle strumentazioni digitali, tra cui il registro elettronico? Come mai pochissime scuole sono dotate di piattaforme per la formazione a distanza? Quanti docenti e tecnici, dalla partecipazione ad attività di formazione finanziate con fondi del PNSD, hanno acquisito le competenze necessarie per l’organizzazione e la gestione della didattica a distanza? Tante altre domande possono essere poste, sufficienti a compilare un cahier de doléances. Ma il nostro proposito, come dicevamo, è ben altro.

Riteniamo essenziale, nella prospettiva di un più ampio utilizzo delle tecnologie digitali nella didattica, operare, sin da subito, delle scelte strategiche. Scelte volte a superare il ricorso a piattaforme e software proprietari a favore di risorse aperte ed accessibili a tutti, quali sono quelle offerte dall’open source. Anzi, proprio da un’importante istituzione pubblica, riteniamo possa e debba venire un forte impulso al sostegno e allo sviluppo di tecnologie e di software open source, liberi ed accessibili a tutti. Software a cui lavorano, a livello mondiale, importanti centri di ricerca e molteplici università che utilizzano da molti anni per le loro attività di didattica a distanza. I vantaggi sarebbero molteplici, sia sul piano finanziario (si tratta di software gratuiti), che sul piano della personalizzazione degli applicativi (sono adattabili alle esigenze dell’utente) e su quello, ancor più importante, della gestione dei dati (l’utente gestisce in autonomia i dati che può archiviare, trasferire, cancellare).

Le questioni accennate, per come evidente, meriterebbero un ben più ampio approfondimento, rispetto al quale auspichiamo che possa essere avvertita la necessità di un incontro ove poter chiarire e precisare i contenuti di dettaglio della nostra proposta.

Con le più vive cordialità.

Il Presidente

Prof. Francesco GRECO

 

 

 

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