Analisi & Commenti

Proposta di valorizzazione dei docenti di scuola secondaria dediti alla ricerca

01/08/2004

Teo Orlando
dottore di ricerca in filosofia

La questione relativa alle ‘differenziazioni’ tra gli insegnanti non va posta in termini di carriera, di area separata (anche se la CGIL, e in particolare il preside Panini, mi dovrebbero spiegare perché si è tanto strenuamente opposta all’area separata per i docenti quanto ha invece perorato quella per i dirigenti – e tra un po’ per i direttori amministrativi…) e di presunte gerarchie meritocratiche: tutto ciò rischia solo di spaccare la categoria e di creare reazioni come quella scatenata con l’idea del cosiddetto ‘concorsone’ di Berlinguer, poi naufragata.
Visto che definire quali siano gli insegnanti ‘migliori’ è un’impresa disperata, se non impossibile (il ‘buon insegnante’ assomiglia al ‘bene’ secondo il filosofo britannico George E. Moore: è una proprietà indefinibile), mi sembra più opportuno istituzionalizzare maggiormente le differenziazioni dei compiti e le diverse vocazioni che già oggi a vario titolo caratterizzano il corpo docente. Infatti, ci sono docenti che si occupano di attività gestionale-amministrativa, collaborando con l’ufficio di presidenza; docenti che sono particolarmente interessati alle funzioni strumentali al POF; docenti che, invece, preferiscono dedicarsi alla ricerca e allo studio in un contesto extrascolastico e universitario; docenti che collaborano con riviste e giornali o attendono alla libera professione; docenti, infine, che si preoccupano solo di trasmettere il loro sapere con l’impegno didattico quotidiano. Ognuna di queste categorie andrebbe valorizzata in modo diverso, ma non secondo scale gerarchiche.
In particolare, per quanto riguarda il rapporto scuola/università, ritengo che il modello francese sia quello più rispondente alle nostre esigenze, grazie in particolare all’esistenza dell’agrégation, una specie di superabilitazione conseguita la quale i docenti hanno uno sconto sull’orario scolastico e possono insegnare anche all’università (dove il loro orario si completerebbe, con la prospettiva poi di passare definitivamente all’università, anche come formatori di altri docenti). In attesa di creare qualcosa come l’agrégation anche in Italia, si potrebbe cominciare a tener conto degli insegnanti forniti di dottorato di ricerca, attualmente il massimo titolo di studio conseguibile in Italia.
In questo modo non si creerebbero tanto insegnanti di serie A e di serie B, ma si valorizzerebbe semplicemente la maggiore vocazione di taluni alla ricerca, mentre quelli che vogliono essere valorizzati nelle attività di supporto alla didattica e, in generale, organizzative e gestionali lavoreranno di più nella scuola con un monte ore scolastico maggiorato.
Se infatti venisse posta ai sindacati la questione dei docenti che collaborano con l’università non in termini economici, ma in termini di agevolazione della loro attività di ricerca, può darsi che sarebbero più sensibili verso queste richieste. Io penserei a:
1) Uno sconto sull’orario, che da 18 ore su cinque giorni potrebbe passare progressivamente a 14 su quattro e 12 su tre (un semi-part time), a retribuzione invariata.
2) Una corsia preferenziale per l’attivazione di contratti di insegnamento universitari nei corsi di laurea triennale e in quelli specialistici che sostituiranno le SSIS.
3) L’affidamento di corsi di aggiornamento per i colleghi che invece stanno a scuola a tempo pieno. Penso che difficilmente si potrebbero fare obiezioni, anche perché già ora molti colleghi si trovano nelle situazioni 1 e 2 (ma sono costretti a ricorrere al part time da 9 a 12 ore con stipendio diminuito di almeno 1/3).
Ho poca fiducia, tuttavia, che sindacati e MIUR accolgano proposte del genere: come al solito noi dei modelli stranieri tendiamo a copiare il peggio (ad es. l’alleggerimento dei contenuti, l’abolizione degli esami di riparazione, la progressiva emarginazione delle lingue classiche, ecc.) e non il meglio (appunto l’agrégation, il raccordo scuola-università, un’offerta facoltativa, secondo le preferenze e le attitudini, di alcune discipline negli ultimi anni di liceo, le classi preparatorie alle cosiddette Grandes Écoles in Francia, ecc.).

 

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