2/12/2009
La Rai con Presadiretta richiama l’attenzione degli italiani sulla condizione dei docenti
Il programma Presadiretta di Raitre, condotto da Riccardo Iacona, trasmesso nella serata di domenica scorsa, porta all’attenzione del grande pubblico la situazione reale che interessa gran parte della scuola italiana e accende, per la prima volta, i riflettori dei grandi media nazionali su aspetti ai più sconosciuti, che riguardano non solo le strutture e l’organizzazione della scuola, ma anche la drammatica condizione di molti docenti.
Nel servizio curato da Domenico Iannaccone viene messo in rilievo, tra l’altro, il girone dantesco dei dannati della supplenza che pur di poter lavorare, dopo aver completato un percorso di studio universitario, continuano ad accumulare titoli post laurea, con il solo scopo di accrescere punteggi che possano far salire di qualche posizione o quanto meno mantenere inalterata la propria situazione nelle famigerate ‘graduatorie ad esaurimento’ o, per lo stesso scopo, ad accettare supplenze sottoponendosi a sacrifici enormi come uscire di casa prima dell’alba e farvi rientro al calar della notte o, ancora, a ricercare supplenze gratuite presso i diplomifici privati.
A Iacona va senza dubbio riconosciuto in primis il merito di aver sfatato un luogo comune, divenuto demagogicamente cavallo di battaglia di un ministro che consapevolmente sa di mentire quando chiama fannulloni i docenti italiani perché lavorerebbero solo 18 ore alla settimana e che per questo il loro stipendio, poco più di mille euro al mese, è anche elevato.
In verità, gli aspetti considerati nella trasmissione, per quanto drammatici non sono i soli a rendere evidente quanto triste è la condizione in cui versa in Italia questa categoria professionale, ininterrottamente oggetto di vituperati attacchi dalla stampa quotidiana e da chi dovrebbe interpretarne i bisogni e rappresentarne le istanze ai più alti livelli istituzionali. A far parte del girone dei dannati, infatti, non sono solo i docenti precari, ma anche tutti gli altri, quelli cosiddetti di ‘ruolo’ che ogni anno, in conseguenza della modifica degli organici perdono posto e vengono trasferiti d’ufficio in sedi spesso lontane diverse decine di chilometri da quella precedente. Questo potrebbe apparire normale, forse anche fisiologico, in realtà l’anno dopo la questione potrebbe ripetersi e ancora ripetersi negli anni successivi, senza alcuna garanzia di stabilità, mentre i costi umani e finanziari sono tutti a carico dei docenti interessati. Una condizione di perenne precarietà gestita dall’amministrazione con la cosiddetta ‘mobilità annuale’ che ogni anno interessa qualche centinaia di migliaia di docenti, costretti ad affollare nei mesi di luglio e di agosto le stanze degli ex provveditorati, in attesa di conoscere la loro sede per il prossimo anno scolastico. Cosa dire poi dei docenti la cui cattedra comprende due o tre scuole poste in comuni diversi tra loro distanti anche oltre trenta chilometri. In molti casi, trattandosi di comuni non collegati con mezzi pubblici e negli orari corrispondenti alle ore di lezione, questi docenti sono costretti ad utilizzare il proprio mezzo di trasporto, con evidenti costi aggiuntivi che gravano sul già misero stipendio.
Si tratta di aspetti tutt’altro che marginali, se si considera che interessano la gran parte dei docenti italiani, che hanno ripercussioni non solo finanziarie, ma anche fisiche e psicologiche, purtroppo non adeguatamente considerati nei contratti di lavoro e nelle tante indagine condotte sulla sindrome da burnout, che tuttavia hanno una chiara evidenza stressogena su persone il cui lavoro per quanto essenziale è continuamente dileggiato, fin quasi all’ignominia.
Tanti altri sono gli aspetti che meriterebbero un’attenta considerazione e tante sono le responsabilità di questo stato di cose a cui non è estranea la complicità consociativa di un pansindacalismo che sugli interessi della categoria ha sempre giocato al ribasso, non curante degli effetti deleteri di certe riforme che, anzi, a volte in modo subdolo e cinico, ha sostenuto se non perfino promosso, per poi farisaicamente rinnegarle nelle assemblee sindacali.
In questo generale stato di crisi che interessa la società italiana, la scuola, come altrove hanno ben capito, deve essere posta tra le priorità strategiche del Paese, ad essa non può che guardarsi come ad un sistema che come tale è insuscettibile di interventi frazionati, un sistema che non avrebbe modo di esistere senza quella che è la sua attività primaria, l’insegnamento e chi a questa delicata funzione è preposto, i docenti. Proprio per questo, oggi, ‘nascondersi lo stato d’insensatezza a cui siamo giunti sarebbe il colmo dell’insensatezza”; è tempo che le questioni serie vengano trattate in modo serio; è tempo che l’istruzione, anche in Italia, sia considerata come un investimento sociale e non come un costo da tagliare; è tempo per costruire una società nuova e un uomo nuovo, competente, ma orientato da valori forti che solo una scuola in cui si possa credere può dare.
Di questo, tutti dobbiamo acquisire consapevolezza se non vogliamo assistere inerti all’azione corrosiva di una generale perdita di orientamento e di fiducia che interessa ogni ambito dell’attività umana che, attraverso la scuola, potrebbe intaccare quella genuina speranza dei nostri studenti che con l’istruzione la vita di ciascuno possa migliorare e per questo è necessario studiare per progredire come persona e come società.