di Tito Boeri e Fausto Panunzi 25.08.2008
tratto dal sito www.lavoce.info
Grazie a un editoriale di Ernesto Galli della Loggia sulla crisi di identità della scuola italiana e a un dibattito apertosi sulle colonne del Corriere della Sera, sappiamo finalmente quali siano i piani del governo sulla scuola italiana. Non che siano particolarmente promettenti. Oscillano tra passatismo e irrilevanza. Speriamo in qualche ripensamento. Senza dimenticare che una società che risparmia sull’investimento nella scuola è una società che sta rinunciando al suo futuro.
Grazie a un editoriale di Ernesto Galli della Loggia e a un dibattito apertosi sulle colonne del Corriere della Sera, sappiamo finalmente quali siano i piani del governo sulla scuola italiana.
ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO
Prima di discutere le proposte dei ministri Gelmini e Tremonti è opportuno richiamare i contenuti dell’intervento che ha avuto l’indubbio merito di stimolarle. La tesi di Galli della Loggia è che la crisi della scuola italiana sia l’altra faccia della medaglia della crisi di identità del nostro paese, incapace di “progettare il suo futuro, perché non riesce più a incontrare il suo passato”. Questa diagnosi è così astratta da rendere difficile una sua valutazione. Anche se fosse corretta, non offrirebbe comunque terapie di immediata attuazione. Come fa una società a riappropriarsi del suo passato e a definire una nuova identità? Chi dovrebbe promuovere tale processo? E quale sarebbe l’orizzonte temporale? La scuola non può permettersi il lusso di aspettare che la società italiana riconosca se stessa allo specchio, ma ha la necessità di interventi urgenti.
ORDINALE, CARDINALE E VECCHIO MANUALE
Questa necessità viene riconosciuta negli interventi dei ministri Gelmini e Tremonti, che hanno il pregio di proporre misure potenzialmente di efficacia immediata. Partiamo dalle due proposte avanzate dal ministro dell’Economia: il ritorno ai voti al posto dei giudizi e una riduzione della frequenza nel cambiamento dei libri di testo. Si tratta di interventi marginali, se non del tutto irrilevanti. I giudizi, come i voti, hanno un valore ordinale. Come 8 è meglio di 7, così ottimo è meglio di distinto. Riesce difficile capire perché la scala 9-8-7-6-5 (peraltro già applicata nei licei) sia preferibile alla scala ottimo – distinto – buono – sufficiente – insufficiente o a quella A-B-C-D usata nei paesi anglosassoni. Quanto ai libri di testo, è vero che sono cambiati nel tempo, ma lo stesso è avvenuto anche a livello di testi universitari. La ragione è che nel tempo è cambiata la modalità di studio e apprendimento degli studenti a ogni livello. Il diffondersi di nuove tecnologie come il computer ha arricchito gli strumenti didattici a disposizione degli insegnanti e i libri di testo si sono adattati a tali cambiamenti, inserendo supporti didattici come i cd dedicati al ripasso degli argomenti e una grafica meno spartana di quella dei libri di testo degli anni Settanta. Questo processo è avvenuto in tutti i paesi. Certo, vi sono case editrici che procedono ad aggiornamenti cosmetici pur di spiazzare il mercato dell’usato. Ma non ci si può affidare che agli insegnanti per impedire che queste scelte editoriali appesantiscano il bilancio delle famiglie. Esistono già tetti di spesa. Intervenendo d’imperio si corre il rischio di ritardare l’innovazione didattica.
LE QUATTRO “I”
La stessa ottica “passatista” ispira le proposte del ministro Gelmini: ripristino del voto di condotta, divisa scolastica, maestro unico, insegnamento dell’educazione civica. Inoltre, si aggiunge alla vecchia ricetta delle tre I (inglese, informatica e impresa) una quarta I (italiano), cioè lo studio della letteratura, della storia e delle tradizioni italiane. Il maestro unico, il grembiule e il voto di condotta c’erano negli anni Settanta e così anche l’insegnamento dell’educazione civica. Ma la società italiana è cambiata e così la scuola. In particolare, sono cambiati gli studenti e le loro famiglie. Il massiccio flusso di immigrati ha reso meno omogenee le classi. I bambini con disabilità, che venivano prima lasciati a casa, adesso vanno – giustamente – a scuola. La maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro ha fatto fiorire il tempo pieno, riducendo il coinvolgimento delle famiglie nel processo di apprendimento degli studenti.
Non è certo con il ritorno al passato che la scuola italiana troverà la soluzione dei suoi problemi. Cosa si può fare allora per la scuola italiana? Un sistema di buoni (voucher) che consenta alle famiglie di scegliere tra le varie scuole, anche private, mettendole in competizione, è la proposta che è stata avanzata da più parti. Ma anche l’introduzione del sistema di voucher non farebbe in alcun modo scomparire il ruolo della scuola pubblica. E per migliorare la scuola pubblica le ricette non sono molte: c’è bisogno di una iniezione di capitale fisico e capitale umano.
Molte scuole pubbliche sono ancora in edifici vecchi, spesso inadatti a ospitare le attività scolastiche. Mancano laboratori scientifici e linguistici e ci sono troppo poche aule di scienze. In altri paesi gli studenti si spostano tra diverse aule a seconda degli insegnamenti. Da noi, la carenza di aule impone di fare spostare gli insegnanti anziché gli studenti, col risultato che i docenti di materie come biologia, chimica e fisica non possono svolgere bene il loro mestiere. La scarsità di palestre adeguate e quindi l’impossibilità di consentire ai ragazzi di svolgere attività sportiva è un altro dei problemi cronici della scuola italiana, le cui conseguenze si sono evidenziate anche alle Olimpiadi di Pechino. Ad oggi, purtroppo, non è stata ancora completata l’anagrafe edilizia e quindi non sappiamo ancora quali siano le scuole che necessitano di interventi rilevanti. Un programma di miglioramento dell’edilizia scolastica non è rinviabile. Accanto al miglioramento delle strutture occorre migliorare la qualità dell’insegnamento. Una selezione più severa per l’immissione in ruolo dei docenti. Incentivazione degli insegnanti, con premi per chi svolge con dedizione il suo lavoro e sanzioni per chi invece brilla per assenteismo o scarso impegno in classe. Maggiore potere ai presidi nella scelta dei docenti e nella loro incentivazione. Taglio dei plessi scolastici marginali. Formazione e test periodici per gli insegnanti. Tutti, in qualunque parte d’Italia. Test nazionali per verificare il grado di apprendimento degli studenti che serviranno alle famiglie per conoscere il contenuto formativo di tutte le scuole italiane. Potranno così, soprattutto al Sud, esercitare pressioni sui docenti affinché migliori la qualità della didattica anziché puntare solo ad avere un pezzo di carta per i loro figli.
Tutte queste proposte costano. Ma sarebbe miope rinviare l’investimento nella scuola invocando la già eccessiva spesa per il corpo docente. Bene invece utilizzare ogni risparmio nella spesa corrente e derivante dalla chiusura dei plessi inefficienti per investire nei materiali didattici e nell’edilizia scolastica. E se ci sono insegnanti che non fanno il loro lavoro, occorre fare tutto il possibile per espellerli dal sistema scolastico. Ma senza dimenticare che una società che risparmia sull’investimento nella scuola è una società che sta rinunciando al suo futuro.