In attesa dei dati sulla consultazione promossa dal governo Renzi sul progetto denominato “La Buona scuola”, preannunciati per la prossima settimana, si susseguono in un tam-tam continuo da ogni parte d’Italia, le prese di posizioni, per niente benevoli, da parte di docenti, personale ata, studenti e genitori, sia in forma singola che associata. Il dato che emerge, e di questo va dato atto all’iniziativa del Governo, è che la consultazione ha avuto l’effetto di un sasso lanciato nello stagno che ha provocato reazioni a catena, evidenziando non solo le contraddizioni e le innumerevoli, ataviche difficoltà in cui si dibatte la scuola italiana, ma anche un immenso patrimonio di intelligenze, competenze, forte motivazione, amore per una scuola democratica e per una professione svolta non per mestiere, ma per “passione”.
Pur non essendoci ancora i risultati certi, un dato si può già cogliere senza timore di essere smentiti: è necessario smetterla, finalmente, con il pregiudizio contenuto già nel titolo del documento del Governo, che vorrebbe “dare all’Italia una Buona Scuola”, che pone come presupposto che la scuola attuale non sia buona, a prescindere. Viene in sostanza perpetrato un errore grave, già commesso dai governi precedenti e che rischia di provocare un ennesimo pantano di pseudo sperimentazioni ed iniziative caotiche e dannose, alle quali cercare poi dover porre riparo.
La Buona Scuola non si crea dal nulla, esiste già, anche se ne è stata messa a dura prova la sua esistenza con la politica dei tagli lineari di risorse e i sommari giudizi distruttivi di personaggi che, probabilmente, non hanno mai capito niente di scuola. Le risposte di quanti hanno deciso di confrontarsi con il questionario sollecitato dall’iniziativa del Governo, non lasciano spazio ad equivoci rispetto al documento proposto, ma contengono anche i contenuti, le idee e indicano percorsi concreti per rilanciare la scuola italiana, mettendola in condizione di migliorare ancora. Il primo elemento sul quale si pone un forte accento sono le risorse, e non sembra la via giusta quella indicata nel documento del governo che dichiara insufficienti quelle pubbliche, per cui occorrerà attingere a finanziamenti privati. In materia di scuola, occorre ribadirlo ed è emerso con chiarezza dal confronto di queste settimane, si gioca il destino del Paese e lo Stato deve mettersi al passo con gli standard europei, e non può ridursi a fare calcoli ragionieristici e di partite di giro camuffate da investimenti.
Altre questioni centrali, che restano lì come nervi scoperti, sono quella dell’aumento dei poteri del dirigente scolastico, che rischia di scardinare i principi della democrazia nella scuola; progressioni stipendiali, mobilità del personale della scuola a livello regionale o locale, attribuzione incarichi aggiuntivi; l’abolizione degli scatti di anzianità, previsti in tutti i contratti e l’accesso alle progressioni per il solo 66% del personale; penalizzante e mortificante per la totalità dei docenti, in quanto stabilisce in partenza una soglia di meritevoli e una percentuale di personale che sarà esclusa da qualsiasi progressione di stipendio e che, fatto ancora più grave, impedisce la formulazione di criteri oggettivi di merito per tutti.
Infine, un altro elemento per nulla secondario che è stato posto al centro del confronto: l’equiparazione della scuola pubblica con la scuola privata, in nome di un discutibile concetto di pluralismo che, secondo molti, contravviene al dettato costituzionale ed al principio di uguaglianza a cui la scuola pubblica s’ispira.
Pio G. Sangiovanni