di Francesco Greco
Come è noto per domani venerdì 10 dicembre abbiamo proclamato una giornata di sciopero. Le ragioni le conosciamo tutti, alla scuola nei prossimi anni arriveranno circa 17 miliardi di euro, una montagna di denaro, ma per gli stipendi degli insegnanti poche briciole. Briciole che non andranno a tutti, ma solo a quelli, per come scritto nella legge di bilancio, che dimostreranno “dedizione”!
Ci siamo chiesti, cosa si volesse intendere con il termine dedizione e, soprattutto, quale fosse il merito e il senso di un premio da dare a chi dimostra “dedizione”. La dedizione, per come è definita nel vocabolario della Treccani, è “Il dedicarsi interamente e con spirito di sacrificio a una persona, a un’attività, a un ideale”. Ed è quello che fanno ogni giorno gli insegnanti!
Sappiamo, infatti, che gli insegnanti italiani lavorano di più dei colleghi europei eppure sono i peggio pagati; sono l’unica categoria del pubblico impiego che non ha un posto fisso, perché ogni anno possono essere trasferiti d’ufficio, anche in sedi distanti centinaia di chilometri e senza alcun indennizzo; spesso sono costretti a lavorare tra più comuni, anche molto distanti e costretti ad utilizzare il mezzo proprio senza alcun rimborso delle spese; ogni anno, in piena estate, i docenti di ruolo devono affrontare il calvario della mobilità, mentre quelli precari la roulette degli incarichi di supplenza; non hanno buoni mensa, eppure lavorano in continuità anche nel pomeriggio.
Sappiamo, inoltre, che in piena pandemia, grazie agli insegnanti, la scuola è stato l’unico settore della pubblica amministrazione, insieme a quello sanità e dell’ordine pubblico, che non si è mai fermato e che gli insegnanti dell’Infanzia hanno prestato servizio in presenza anche nelle zone rosse, rischiando di contagiarsi e di contagiare i loro familiari. Ma ci fermiamo qui!
Dunque la dedizione è una condizione implicita, propria del lavoro degli insegnanti, perché gli insegnanti ogni giorno devono preparare la lezione, devono svolgere la lezione, fare le verifiche, corregge i compiti, partecipare alle riunioni degli organi collegiali, alle attività formative e a tant’altro ancora. Tutti i giorni sono dediti al loro lavoro, non possono certo scaldare la sedia di una scrivania, anche perché non hanno nessuna scrivania. Allora perché dare un premio e perché solo ad alcuni?
Forse, allora, non è questa la forma di dedizione a cui ci si vuole veramente riferire. In effetti, un’altra forma di dedizione esiste, come ci ricorda il vocabolario della Treccani, ed è quella dell’“arrendersi al nemico, per capitolazione o per volontaria sottomissione”.
Secondo questa definizione la dedizione è la conseguenza di una resa. Una resa per sottomissione o per soccombenza. Ma arrendersi a chi? Evidentemente a chi dovrà poi concedere il premio, che individuerà gli insegnanti che volontariamente si genuflettono per essere gratificati con un premio, mentre emarginerà gli altri con il marchio di docenti non meritevoli, dentro e fuori la scuola, per indurli alla capitolazione di fronte agli occhi dei loro studenti e dei genitori.
Allora, forse, è proprio a questa forma di dedizione che ha pensato chi l’ha inserita nella legge di bilancio, la premialità quale strumento di sottomissione o di capitolazione. Nulla di nuovo!
Si sta solo tentando di reintrodurre, in modo ancor più subdolo, il sistema premiale che era alla base della “chiamata diretta” e i cui precedenti storici risalgono al Medioevo, quando Re e Principi iniziarono a premiare i cavalieri più fedeli e servili e per legarli ancor di più a loro imposero anche un giuramento di obbedienza.
Ecco è questa, a nostro giudizio, la dedizione che ci stanno chiedendo e che lo Stato Italiano compenserà con un obolo di otto euro! Ma attenzione! E’ evidente che non sarà il valore del premio che farà la differenza, ma la sua forza simbolica e cioè quella di rendere riconoscibili agli occhi del principe, e di tutti, i docenti buoni, ovvero quelli che sono proni alla sottomissione, e i docenti cattivi che sono quelli che ancora resistono nella difesa della libertà!
Ma la nostra libertà è garantita dalla Costituzione e noi quella libertà abbiamo il dovere di difenderla anche contro uno Stato che vuole calpestarla! Perché solo quella libertà può alimentare coscienze critiche e la crescita culturale di cittadini liberi e giusti e può rendere la scuola, come giusto che sia, la culla della democrazia.
Anche per questo il 10 dicembre iniziamo con una giornata di sciopero, altre ne seguiranno se necessario e anche altre iniziative, e chiediamo allo Stato Italiano di dedicarsi ai suoi insegnanti, come questi, ogni giorno, si dedicano ai figli di questo Paese.