L’apertura di un tavolo tecnico presso il Miur per discutere della cosiddetta “Delega 0/6”, di cui all’art. 1 comma 181 lettera e, della Legge 107/2015 (“istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni…”), é senz’altro un fatto importante anche se non può non essere taciuto il metodo poco lineare seguito da parte del Ministero, di convocare le rappresentanze del mondo della scuola senza fornire alcuna ipotesi di provvedimento sulla quale confrontarsi.
Bene ha fatto chi, come il presidente dell’AND Francesco Greco, ha puntualmente evidenziato tale vizio che, al di là della forma, é soprattutto sostanza. La vivace discussione che si é aperta nel merito della questione, é particolarmente interessante e richiede grande attenzione e cautela, oltre alla imprescindibile competenza specifica in quanto dalla natura del provvedimento che ne deriverà, dipende molta parte dell’impianto complessivo della scuola italiana del futuro. L’articolato della legge ribadisce il principio costituzionale che affida alle Regioni l’organizzazione dei servizi alla prima infanzia che, con la Legge 1044/71 confermata dalla Legge 238/2000, definisce l’asilo nido un “servizio sociale di interesse pubblico”, capace cioè di “assicurare un’adeguata assistenza alla famiglia e anche per facilitare l’accesso della donna al lavoro nel quadro di un completo sistema di sicurezza sociale”. Le Regioni hanno, quindi, funzioni di programmazione, coordinamento, indirizzo e verifica di attuazione degli interventi sociali, mentre ai Comuni é affidata la gestione diretta del servizio ed ogni altra incombenza di carattere amministrativo.
Un elemento di indubbia rilevanza nel quadro normativo é senz’altro quanto proposto al punto n. 3 (“l’esclusione dei servizi educativi per l’infanzia e delle scuole dell’infanzia dai servizi a domanda individuale”) che, ferma restando la non obbligatorietà per le famiglie di usufruire del servizio, introdurrebbe l’obbligatorietà di garantirne l’erogazione da parte dell’ente locale, con tutto ciò che ne consegue dal punto di vista degli oneri finanziari, in un quadro di una più complessiva rivisitazione del Nomenclatore interregionale degli interventi e dei servizi sociali, adottato nel 2009. Intervenire in un contesto del genere dovrà significare necessariamente farsi carico delle evidenti diseguaglianze esistenti a livello nazionale fra le varie aree geografiche, in termini di opportunità e diritti negati ai bambini in età pre-scolare. Eloquenti, a tale proposito i dati Istat 2012 sulla diffusione dell’offerta pubblica di asili nido e servizi integrativi per l’infanzia, attivata soltanto nel 56,2% dei comuni, ma con una drammatica forchetta tra macroaree: “Nel 2012 – registra il rapporto Istat – la quota dei comuni che gestiscono strutture comunali o erogano contributi per la fruizione di servizi privati, é aumentata al Centro-Nord (dal 63,9 al 67,2%) ed é diminuita nel Mezzogiorno (dal 36,4 al 32,8 %)”. Un dato molto articolato e problematico, come conferma l’Istat a proposito dei risultati del Piano straordinario per lo sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, previsto dalla Finanziaria 2007 che, a fronte di un generale miglioramento (i comuni che hanno attivato servizi per l’infanzia, sono passati dal 48,6% del 2007 al 56,2% del 2012), si rilevano differenze davvero imbarazzanti, passando ad esempio dal 100% del Friuli Venezia Giulia al dato della Calabria che é addirittura in controtendenza, in quanto é passato nello stesso periodo dal 14,2% all’8,8%.
Una situazione davvero intollerabile, alla quale una vera “buona Scuola” dovrà porre rimedio e le cui premesse irrinunciabili sono quelle della salvaguardia e rafforzamento della specificità della Scuola dell’infanzia, in una prospettiva organizzativa di respiro nazionale, evitando inutili e pericolosi ibridi oltre a rifuggire, naturalmente, da logiche economicistico-ragionieristiche contenute in nuce in enunciati del tipo “promozione della costituzione di poli par l’infanzia … anche aggregati a scuole primarie e istituti comprensivi” (7) o nella previsione di “istituzione di una quota capitaria per il raggiungimento dei livelli essenziali, prevedendo il cofinanziamento dei costi di gestione, da parte dello Stato con trasferimenti diretti o con la gestione diretta delle scuole dell’infanzia e da parte delle regioni e degli enti locali al netto delle entrate da compartecipazione delle famiglie utenti del servizio” (4).
Pio G. Sangiovanni