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Divieto dei cellulari a scuola: una soluzione che non educa

La riflessione di una docente che pone al centro la funzione e la mission stessa della scuola, di "formare" ed "educare" a comportamenti consapevoli e responsabili

NOTE E INTERVENTI*.

Da settembre 2025, nelle scuole superiori italiane è entrato in vigore il divieto di uso dei telefoni durante le ore di lezione. Gli smartphone devono restare spenti o custoditi. L’obiettivo dichiarato è combattere distrazioni e presunti abusi, ma la misura ha suscitato reazioni contrastanti da parte di docenti, famiglie e organizzazioni di categoria.

Vietare è educativo?

È comprensibile la preoccupazione di chi vuole garantire ordine e concentrazione, ma la domanda che dobbiamo porci è un’altra: vietare è davvero educativo?

Il divieto totale può funzionare solo come palliativo momentaneo: se un telefono interrompe la lezione, impedirne l’uso produce immediata calma. Tuttavia, questo silenzio è passivo, non frutto di scelta o consapevolezza. Abituare i ragazzi a funzionare solo in assenza di stimoli significa insegnare loro a delegare la responsabilità agli adulti e alle regole imposte, invece di sviluppare la propria capacità di autoregolazione.

Non abbiamo un problema di telefoni: abbiamo un problema di attenzione. E l’attenzione non si governa con i lucchetti: si forma, si allena, si accompagna.

Educare, non controllare

La scuola non è un posto di blocco, e gli insegnanti non sono dei poliziotti. Quando ritiriamo gli smartphone spostiamo il focus dall’educare al controllare. Il messaggio implicito è devastante: “Ti tolgo lo smartphone perché non ti reputo capace di gestirlo”. Nessuno impara la responsabilità se gli viene negata la possibilità di praticarla.

La domanda giusta non è “vietare o non vietare?”, ma: quali condizioni rendono possibile scegliere bene anche in presenza dello smartphone?

I rischi del divieto assoluto

Il divieto può avere senso temporaneo, per fermare comportamenti che interrompono la lezione. Ma come strategia stabile genera tre esiti prevedibili:

  1. Eteronomia: rispetto la regola solo se controllato.
  2. Elusione: divento abile ad aggirare la norma, non a governarmi.
  3. Esternalizzazione: attribuisco all’oggetto la colpa, non sviluppo anticorpi interni.

L’obiettivo della scuola non è costruire aule immuni dagli stimoli, ma persone immunocompetenti, capaci di stare nel mondo digitale senza soccombere alla sua economia dell’attenzione.

Togliere il telefono per qualche ora è la soluzione più semplice; formare alla scelta in presenza del telefono è la più faticosa – ed è scuola, davvero.

Una via educativa alternativa

Ecco alcune strategie concrete che sostituiscono il sequestro:

  • Patto educativo digitale: regole condivise con gli studenti su quando e come usare il telefono in classe. La regola condivisa genera appartenenza, non elusione.
  • Igiene dell’attenzione: insegnare tecniche semplici come timer, pause attive, modalità aereo a blocchi e app di focus. Non moralismi, ma strumenti pratici.
  • Didattica integrata: usare il telefono come strumento di lavoro (ricerca fonti, micro-inchieste, foto-laboratori, sondaggi, podcast di classe). Così il dispositivo diventa mezzo, non meta.
  • Competenze digitali esplicite: valutare ciò che conta davvero (verifica delle fonti, sintesi, citazioni corrette, etica dei dati e privacy).
  • Spazi e tempi progettati: attività brevi, obiettivi chiari e alternanza di ritmi. L’attenzione si sostiene progettando l’esperienza, non pretendendola a comando.

* Concetta Grosso – Docente AND

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