Note & Interventi

Decreti legislativi legge 107/2015, le osservazioni dell’AND

Le nostre osservazioni sugli schemi dei decreti legislativi approvati dal Consiglio dei ministri il 14 gennaio e trasmessi in Palamento il 16 gennaio 2017.

Preliminarmente riteniamo opportuno ribadire le nostre riserve riguardo al comma 181 della legge 107/2015, atteso che l’art. 72 della Costituzione richiede sempre la procedura legislativa normale di esame e di approvazione diretta dei disegni di legge di delegazione legislativa, mentre la legge 107 è stata approvata al Senato con voto di fiducia espresso su un maxiemendamento; inoltre, la gran parte delle deleghe, per loro genericità e indeterminatezza, sono prive della “determinazione di principi e criteri direttivi” essenziali per l’esercizio della funzione legislativa da parte del Governo e, dunque, riteniamo siano in contrasto anche con l’art. 76 della Costituzione. Infine, alcuni schemi di decreti legislativi sono in contrasto con la stessa legge 107/2015 e/o presentano parti in contrasto con i criteri fissati dalla delega.

 


 

Scheda di sintesi

 

PER AUDIZIONE 7ª COMMISSIONE (Istruzione)

SUI DECRETI LEGISLATIVI ATTUATIVI DELLE DELEGHE – LEGGE N. 107/2015 AA.G. NN. 377, 378, 379, 380, 381, 382, 383 E 384

 

Specificamente riguardo i singoli atti si osserva sinteticamente quanto segue:

 

(ATTO N.377)

FORMAZIONE INIZIALE E RECLUTAMENTO INSEGNANTI

Riteniamo, con le precisazioni che seguiranno, condivisibili alcune disposizioni contenute nella stessa delega che sono volte ad introdurre cambiamenti che da tempo auspichiamo. Tra queste:

-l’introduzione di un sistema unitario e coordinato che comprenda sia le procedure per l’accesso alla professione, sia la formazione iniziale dei docenti;

-il carattere nazionale dei concorsi;

-l’acquisizione del diploma di specializzazione all’insegnamento dopo la vincita del concorso e il cui onere finanziario, non debba, neanche indirettamente, gravare sui docenti, essendo la selezione e la formazione di una classe qualificata di docenti un investimento sociale;

-l’acquisizione graduale delle competenze didattiche durante l’applicazione presso un’istituzione scolastica, un’impostazione già ampiamente sperimentata in altri settori.

Tuttavia, non comprendiamo:

-perché coloro che vincono un concorso nazionale non debbano aver diritto da subito ad un contratto a tempo indeterminato? Anche in epoca gentiliana, secondo le disposizioni del Regio Decreto 1051 del 1923, i professori vincitori di concorso ottenuta la nomina svolgevano i primi tre anni di servizio con il titolo di professore straordinario – come avviene oggi nell’università. Dopo i tre anni ottenevano la promozione a professore ordinario. Ma sin da subito erano professori di ruolo. Un aspetto che rende evidente quanto da tempo sosteniamo: bisogna costruire un percorso di carriera per i docenti italiani (in questo caso veramente lo chiede l’Europa: “Raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea sul programma nazionale di riforma 2014 dell’Italia”), all’interno di un sistema di governo democratico della scuola;

-Perché coloro che saranno assunti con questo nuovo sistema di reclutamento e di formazione debbano poi rifare, presso la scuola di assegnazione, periodo di formazione e di tirocinio ed essere sottoposti alla valutazione del dirigente scolastico (commi 115-120, art. 1, L.107/2015);

-Perché assegnare a coloro che frequentarono il Corso per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento la misera somma di 400,00 euro lordo dipendente mensili (meno di 300,00 euro netti)? Si può agevolmente comprendere che, per coloro che hanno famiglia, sarà quasi impossibile la sostenibilità economica della partecipazione, essendo il corso a tempo pieno. Nello schema di decreto, riteniamo si vada oltre la stessa delega, atteso che questa, pur prevedendo una disciplina relativa al trattamento economico (punto 2.2), non prevede che ci debba essere tale tipo di differenziazione tra i diversi anni del triennio (art. 8, c. 2;

-Perché tra i requisiti per l’accesso al concorso i candidati devono disporre di un minimo di 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e in quelle concernenti le metodologie e le tecnologie didattiche? Perché questo ulteriore orpello, quando poi tali discipline saranno ampiamente trattate nel corso annuale per il conseguimento del diploma di specializzazione per l’insegnamento? Un ulteriore ticket a favore delle università posto a carico di persone disoccupate che deve essere, a nostro giudizio, assolutamente cancellato.

-Perché il tirocinio deve durare 36 mesi? Il tirocinio di un magistrato dura appena la metà del tempo e quello di un dirigente scolastico appena tre mesi. Si tratta com’è ovvio di una scelta che, unita al contratto a tempo determinato, non fa altro che mantenere precari tutti i nuovi docenti per almeno 36 mesi;

-Perché non si dà attuazione alla delega nella parte (punto 6, c. 181, lettera b) che prescrive il riordino delle classi disciplinari di afferenza e delle classi di laurea magistrale, in modo da assicurarne la coerenza ai fini dei concorsi e si demanda, contra legem, la materia ad un regolamento ministeriale?

-Perché si continua ad insistere su principi di semplificazione e di flessibilità con riferimento alla modifica delle norme di attribuzione degli insegnamenti? Riferimenti che evidentemente sottendono una visione del docente alla stregua di un operatore generico senza alcun rapporto con i contenuti della disciplina. Tanto è confermato nella delega, ove si prevede che i contenuti si possano acquisire con percorsi di formazione in servizio, così da consentire l’attribuzione di insegnamenti affini. D’altronde i dirigenti scolastici possono attribuire, secondo il c. 79 dell’art. 1 della legge 107/2015, insegnamenti anche a docenti privi di abilitazione, “purché in possesso di titoli di studio validi per l’insegnamento della disciplina”.

Riteniamo, per questi motivi:

-che non debbano essere necessari 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e in quelle concernenti le metodologie e le tecnologie didattiche per l’accesso al concorso;

-che la sottoscrizione del contratto a tempo indeterminato debba avvenire alla conclusione del primo anno, con il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento; che la conferma in ruolo, debba avvenire alla conclusione del tirocinio, che non deve durare più di un anno;

-che sia stato un grave errore non aver escluso il periodo di formazione e di tirocinio, previsto dai commi 115-120 della legge 107/2015, per coloro che saranno assunti con il nuovo sistema e che l’adozione del decreto legislativo, in presenza di questa evidente contraddizione solleva dei chiari dubbi di legittimità.

Pertanto, RITENIAMO CORRETTO INVITARE IL GOVERNO A RINUNCIARE ALLA DELEGA, RITIRANDO IL DECRETO;

-auspichiamo, naturalmente, che venga modificato anche il comma 117, dell’art. 1 della legge 107/2015 che attribuisce al solo dirigente scolastico il potere abnorme di decidere sul futuro lavorativo e professionale del docente. Tale potere, per la sua rilevanza, deve essere attribuito ad una commissione.

 

(ATTO N. 378)

DISABILITA’ E INCLUSIONE SCOLASTICA

L’introduzione del Gruppo per l’inclusione territoriale (GIT), con competenza a proporre la quantificazione delle ore di sostegno da affidare a ciascuna scuola, sposta su un organismo esterno alla scuola, la competenza riguardo alla proposta dell’organico di sostegno. Noi riteniamo che questa competenza debba rimanere in capo alla scuola.

Cosi come riteniamo vada in senso contrario con le finalità dell’inclusione l’innalzamento del numero di alunni per classe iniziale che accoglie alunni con disabilità, dall’attuale massimo di 20 alunni a 22.

A nostro giudizio, queste modifiche, insieme ad altre, denotano un impoverimento della Legge 104/1992 e ledono i diritti e la dignità degli studenti e delle loro famiglie.

Osserviamo, inoltre, che al fine di garantire una maggiore continuità didattica, il vincolo di permanenza dei docenti nel ruolo di sostegno viene innalzato per garantire la continuità didattica a 10 anni. Purtroppo, l’obiettivo della continuità didattica continuerà a non essere garantito poiché il decreto vincola la permanenza nel ruolo di sostegno, ma non limita la possibilità di chiedere il trasferimento ogni anno da una scuola ad un’altra.

Allora riteniamo che il limite dei dieci anni vada riportato a cinque per ambedue le situazioni, titolarità e mobilità annuale.

 

(ATTO N. 379)

ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE

All’art. 6, lettera C, si prevede che, nel rispetto dei vincoli di bilancio, l’istituzione scolastica al fine di arricchire l’offerta formativa stipuli contratti d’opera con esperti del mondo del lavoro e delle professioni, ferma restando la possibilità di ricevere finanziamenti da soggetti pubblici e privati, ma nulla dice su ruolo e funzione dei docenti in servizio nella scuola riguardo ad attività volte ad arricchire l’offerta formativa, quasi a volerli esautorare dalla formazione professionale degli allievi per attribuirla in esclusiva a personale esterno.

Similmente, alla lettera F, si prevede la costituzione di un comitato tecnico-scientifico a composizione mista docenti ed esperti esterni, provenienti dal mondo del lavoro, delle professioni e della ricerca scientifica con funzione propositiva e consultiva circa l’organizzazione di attività, degli insegnamenti di indirizzo e l’utilizzazione di spazi di autonomia e flessibilità, dimenticando che tale funzione è già svolta dal collegio docenti, unico organismo in grado di effettuare, con cognizione di causa, scelte sulle attività da svolgere, sulla loro organizzazione e sugli insegnamenti da impartire.

Si finisce, in tal modo, per penalizzare il ruolo del docente che viene privato della sua fondamentale funzione di indirizzo e guida nella formazione del discente, a vantaggio di non meglio individuate categorie di professionisti ed operatori del mondo del lavoro, privi delle necessarie competenze didattico pedagogiche.

La scelta, poi, di connotare l’istruzione professionale come prevalentemente pratica con conseguente riduzione dei saperi teorici, inverte inopportunamente il rapporto di mezzo a fine tra lavoro e scuola, ove la esperienza lavorativa deve essere prevista in funzione ed a servizio dell’arricchimento delle competenze e conoscenze dell’allievo e non, viceversa, l’istruzione concepita a servizio del mondo del lavoro.

 

(ATTO N. 380)

Sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni

ART.1 Principi e finalità, Commi 1 e 2

Le scuole Infanzia – Primaria – Secondaria di 1° grado statali costituiscono nel nostro Paese un sistema formativo integrato ormai da tempo. Le Indicazioni Nazionali per il curricolo della Scuola dell’Infanzia e del primo ciclo di istruzione 2012 affermano che “l’itinerario scolastico dai 3 ai 14 anni, pur abbracciando tre tipologie di scuola caratterizzate ciascuna da una specifica identità educativa e professionale, è progressivo e continuo. La presenza, sempre più diffusa, degli Istituti Comprensivi consente la progettazione di un unico curricolo verticale e facilita il raccordo con il secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione”. Nel sistema formativo integrato 3-14 anni ( o 3-19 anni negli Istituti Omnicomprensivi) c’è attenzione a tutti gli alunni sin dalla più tenera età -soprattutto a quelli con bisogni educativi speciali-, forti della possibilità di intervento precoce. Gli insegnanti degli Istituti Comprensivi condividono ogni aspetto della vita scolastica e promuovono scelte didattiche significative ed esperienze di apprendimento efficaci con attenzione a ciascun alunno. I Collegi dei docenti congiunti, le assemblee coi genitori in continuità orizzontale e verticale, il curricolo verticale unitario, metodologia e didattica condivise per costruire il profilo finale dello studente delineato dalle Indicazioni Nazionali 2012 tuttora vigenti, tenendo conto delle competenze-chiave europee, ne sono il corollario perfetto. Inoltre corsi di aggiornamento e progetti comuni rafforzano la professionalità di tutti i docenti e la consapevolezza che la Scuola dell’Infanzia è il primo segmento del percorso scolastico italiano, compatto e vincente proprio in virtù dell’unitarietà gestionale, strutturale e metodologico – didattica degli Istituti Comprensivi o Omnicomprensivi. I docenti dei vari ordini e gradi scolastici, professionisti della cultura in egual modo, vantano un raccordo continuo sicuramente benefico per gli alunni. Che non può e non deve essere ignorato. Il sistema formativo integrato statale 3-14 anni è in vigore ed è indubbio che funzioni bene! Perché dunque parlare di “sistema integrato di educazione e istruzione 0-6 anni”? Alla luce di quanto realizzato e costruito dalla Scuola dell’Infanzia Statale dal 1968 ad oggi esso ci appare riduttivo e settoriale.

È doveroso dunque chiarire COME il sistema integrato 0-6 anni possa essere compatibile col sistema formativo integrato 3-14 anni (o 3-19 anni) testé definito. La Scuola dell’Infanzia Statale NON sarà più inclusa nel sistema d’istruzione 3-14 anni? O sarà considerata una “coperta troppo corta” tra i servizi educativi 0-3 ed il Primo ciclo d’istruzione?

Ci chiediamo poi con quali motivazioni pedagogico – didattiche si possa dimenticare/annullare/ cancellare quanto costruito negli ultimi 50 anni riguardo l’identità educativa e professionale della Scuola dell’Infanzia Statale! Disgregare il percorso formativo unitario definito nelle Indicazioni Nazionali e sancito dagli Istituti Comprensivi sarebbe un regresso inammissibile per una società civile che voglia definirsi tale. Dunque si operi per potenziare la Scuola dell’Infanzia Statale all’interno del sistema d’istruzione italiano ora vigente anche annettendo la fascia 0-3 anni al percorso unitario 3-14 anni esperito da anni ed ora vigente per arrivare ad un sistema integrato 0-14 anni.

L’Europa non ci chiede di privare la nostra Scuola Statale delle sue robuste e profonde radici ma semplicemente di istituire Nidi!

Comma 3

L’unicum servizi educativi e Scuole dell’Infanzia previsto dal Sistema integrato 0-6 anni risulta – come già detto – indubbiamente limitato e limitante rispetto al percorso scolastico Infanzia – Primaria – Secondaria di 1° grado sancito dalla legge vigente e in atto negli Istituti Comprensivi. L’affermazione “il Sistema integrato di educazione e di istruzione promuove la continuità del percorso educativo e scolastico, con particolare riferimento al primo ciclo di istruzione” sottende poi una scissione della Scuola dell’Infanzia Statale dal primo ciclo d’istruzione? Essa è già strettamente connessa al Primo ciclo d’istruzione e vi opera in continuità orizzontale e verticale. L’accenno alle attività di formazione comune degli operatori dei servizi e dei docenti dell’Infanzia Statale ci riporta alla deduzione precedente: la Scuola dell’Infanzia Statale scissa dal percorso unitario 3-14 anni con cui attualmente condivide anche la formazione?

Ci lascia inoltre basiti leggere che questo Sistema integrato di educazione e istruzione “favorisce la conciliazione tra i tempi e le tipologie di lavoro dei genitori e la cura delle bambine e dei bambini, con particolare attenzione alle famiglie monoparentali”. La Scuola dell’Infanzia Statale risponde ai bisogni e ai ritmi di apprendimento dei bambini, non ai tempi e alle tipologie di lavoro dei genitori! È palese la pericolosa deriva assistenziale verso cui potrebbe tendere la Scuola dell’Infanzia Statale, fiore all’occhiello dell’istruzione italiana.

“Lo 0-6 è il nuovo, è il futuro” dicono alcuni. Ma il futuro si costruisce senza disperdere buone prassi scolastiche passate e presenti che lo 0-6 non può certamente vantare!

ART.2 Organizzazione del Sistema integrato di educazione e istruzione

Comma 2

“Il Sistema integrato […] è costituito da servizi educativi per l’infanzia (nido e micronido, servizi integrativi, sezioni primavera) e dalle scuole dell’infanzia statali e paritarie” afferma la delega. COME è possibile unificare servizi educativi e Scuole? Hanno finalità diverse, personale diverso per formazione, gestione e contratti…si pensa dunque ad un grande “contenitore 0-6 anni”? Una babele di gestioni, competenze, personale, formazione…o un livellamento unitario “verso il basso o verso l’alto” non importa?

La Scuola dell’Infanzia Statale sia salvaguardata nella sua specificità pedagogico – didattica e resti saldamente ancorata al percorso formativo unitario d’istruzione statale 3-14 anni!

Commi 6 – 7

Nel comma 6 si afferma che “i servizi educativi per l’infanzia sono gestiti dagli enti locali”.

Poi nel comma 7 si parla della scuola dell’infanzia che “nell’ambito dell’assetto ordinamentale vigente […] assume una funzione strategica nel Sistema di educazione e di istruzione operando in continuità con i servizi educativi per l’infanzia e con il primo ciclo di istruzione”. Ribadiamo che, nell’ambito dell’assetto ordina mentale vigente la Scuola dell’Infanzia Statale è inserita nel percorso formativo unitario 3-14 anni ed assume già una funzione strategica nonché fondante per l’intero curricolo verticale Infanzia – Primaria – Secondaria di primo grado. Si affermi dunque chiaramente CHI gestirà le attuali Scuole dell’Infanzia Statali e COME questa istituzione scolastica opererà in continuità con i servizi educativi poiché col Primo ciclo d’istruzione lo si fa già all’interno degli Istituti Comprensivi

ART.3 Poli per l’infanzia, Comma 2

“I Poli per l’infanzia accolgono, in un unico plesso o in edifici vicini, più strutture di educazione e istruzione […] per offrire esperienze progettate nel quadro di uno stesso percorso educativo […] condividendo servizi generali, spazi collettivi e risorse professionali”. Tantissime Scuole dell’Infanzia Statali sono già in un unico plesso con la Primaria e/o la Secondaria di primo grado. Ci domandiamo COME avverrà questo “sconvolgimento” generale e sottolineiamo che “esperienze progettate nel quadro di uno stesso percorso educativo” sono già sancite dal curricolo verticale Infanzia – Primaria – Secondaria di primo grado. Laddove poi si afferma che si condivideranno risorse professionali ribadiamo la nostra netta opposizione ad omologazioni tra personale dei servizi educativi e docenti di Scuola dell’Infanzia Statale.

Comma 5

Si rileva e stigmatizza come per la costituzione di Poli per l’infanzia si debba provvedere anche con la riduzione del Fondo “La Buona Scuola” di cui all’art.1, comma 202 della legge 13 luglio 2015 n.107 togliendo così risorse economiche preziose a tutta la Scuola Statale.

ART.4 Obiettivi strategici del sistema integrato di educazione e istruzione, Comma 4

“La qualificazione universitaria del personale dei servizi educativi per l’infanzia […] conseguimento della laurea triennale nella classe L19 […] o della laurea quinquennale in Scienze della formazione primaria”: potranno dunque insegnare nel sistema integrato di educazione e istruzione indifferentemente educatori con laurea triennale e docenti con laurea quinquennale? Con lauree completamente differenti e altresì formazione universitaria differente? È necessario chiarire CHI insegna/opera DOVE.

ART.5 – 6 – 7 Funzioni e compiti dello Stato, delle Regioni, degli Enti locali

Negli articoli che definiscono i compiti di Stato, Regioni e Comuni è necessario che venga evidenziata e ribadita CHIARAMENTE la gestione diretta dello Stato per le Scuole dell’Infanzia Statali. La compartecipazione gestionale Statale, Regionale, Comunale e familiare stabilita per i servizi educativi non deve assolutamente coinvolgere la Scuola dell’Infanzia Statale che deve restare STATALE e GRATUITA come lo è con la normativa vigente.

Questo per noi deve essere un punto fermo e basilare per ogni successivo intervento sull’Infanzia.

La Scuola dell’Infanzia Statale è un’istituzione dello Stato. Gli art.3 e 34 della nostra Costituzione la sorreggono, il primo evidenziando il principio di uguaglianza e di non discriminazione dei cittadini italiani e l’art.34 il diritto di tutti all’istruzione gratuita recitando testualmente “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore impartita per almeno 8 anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti dell’istruzione. La Repubblica rende effettivo questo diritto…” È quindi dovere dello Stato istituire in tutto il territorio nazionale scuole di ogni ordine e grado – anche Scuole dell’Infanzia – e lo Stato stesso le disciplina, detta norme uguali per tutti quelli che le frequentano e che vi operano, dal nord al sud dell’Italia. Inoltre la scuola dello Stato è gratuita proprio per favorirne la generalizzazione e non operare discriminazioni di ordine sociale. Chiediamo dunque di fugare ogni proponimento atto a calare su questo particolare e importante segmento del nostro sistema educativo e scolastico, interessi estranei ai bisogni dei bambini, sia che provengano da settori economici, sia da coloro che intendono quest’ordine di scuola come un luogo di parcheggio e non un “ambiente di vita, di relazioni e di apprendimento di qualità, garantito dalla professionalità degli operatori e dal dialogo sociale ed educativo con le famiglie e con la comunità” così come sanciscono le Indicazioni Nazionali per il curricolo della Scuola dell’Infanzia e del primo ciclo d’istruzione 2012

ART.9 Partecipazione economica delle famiglie ai servizi educativi per l’Infanzia

Il riferimento alla “partecipazione economica delle famiglie alle spese di funzionamento dei servizi educativi (dunque non della Scuola dell’Infanzia Statale?)” desta molte preoccupazioni: non tiene conto dell’incapacità economica di tantissime famiglie italiane, soprattutto monoreddito, che già ora non riescono neanche a far fronte al costo della mensa scolastica! Se si chiedesse alle famiglie una quota capitaria per la gestione della Scuola dell’Infanzia Statale sicuramente le richieste di frequenza verrebbero meno dappertutto in Italia, e in particolare al centro-sud, vista la debole presenza femminile sul mercato del lavoro e la possibilità di gestione autonoma dei figli. Non è pensabile poi che, con la Scuola dell’Infanzia gestita da altri e non dallo Stato, alcuni bambini possano usufruire di ottimi servizi e altri non averli proprio, in deroga ai già citati articoli 3 e 34 della nostra Carta Costituzionale! Ma poi perché pagare ciò che ora è gratuito? Desta preoccupazione anche la possibilità/facoltà che i Comuni hanno di esternalizzare i servizi: anche la Scuola dell’Infanzia Statale potrebbe essere in futuro gestita da cooperative e fondazioni!?

ART.10 Commissione per il Sistema integrato di educazione e istruzione

Auspichiamo una folta presenza di docenti della Scuola dell’Infanzia Statale nella Commissione che il MIUR dovrà istituire.

ART.12 Finalità e criteri di riparto del Fondo Nazionale per il Sistema integrato di educazione e di istruzione.

Comma 2

“Il Fondo Nazionale finanzia […] quota parte delle spese di gestione, in considerazione dei costi dei servizi educativi per l’infanzia e delle scuole dell’infanzia”. Anche qui riteniamo necessario si chiarisca che le Scuole dell’Infanzia Statali saranno finanziate dallo Stato in tutto e per tutto.

Comma 7

Evidenziamo che, dall’emanazione della Legge 107/15 ad oggi, sono state perpetrate discriminazioni nei riguardi della Scuola dell’Infanzia Statale e di tutti i docenti che vi operano con impegno e passione: assunzioni solo sui pochi posti determinati dai pensionamenti, niente fase C -il cosiddetto potenziamento- che ha permesso invece alla scuola Primaria e Secondaria di 1° e 2° grado di avere docenti in più per ampliare l’offerta formativa. Questa disparità di trattamento rispetto agli altri ordini di scuola non ha ragion d’essere né è suffragata da valide motivazioni. Non è scuola dell’obbligo, è stato detto: non lo è neppure l’ultimo triennio della Secondaria di 2° grado per la quale però il potenziamento c’è stato. Prevedere dunque di assegnare risorse professionali relative all’organico di potenziamento per la Scuola dell’Infanzia Statale sanerebbe la discriminazione perpetrata nei confronti di quest’ordine di scuola. Chiediamo infatti per la Scuola dell’Infanzia Statale lo stesso trattamento riservato alla Primaria e alla Secondaria di primo e secondo grado. I bambini ed e i maestri dell’Infanzia hanno diritto -e lo rivendicano- alla stessa considerazione degli altri ordini di scuola. Né più né meno. Potenziamento dunque anche all’Infanzia, e che finalmente le ingiustizie abbiano termine.

ART.14 Norme transitorie, Commi 1 – 2 – 3

Guardiamo con positività al superamento degli anticipi e riteniamo sia necessario attuarlo anche NON subordinandolo all’effettiva presenza sul territorio di servizi educativi per l’infanzia, come invece si afferma nel comma 2. I bambini di 2 anni e mezzo hanno necessità educativo – didattiche differenti dai compagni più grandi, il numero elevato di alunni nelle sezioni non favorisce un loro sereno inserimento e indubbiamente rappresentano un notevole dispendio di energie per i docenti, soprattutto nelle sezioni omogenee per età. Chiediamo però che vengano superati anche gli anticipi in uscita o – in subordine – che il parere dei docenti Infanzia sull’ingresso anticipato alla scuola Primaria sia vincolante.

IMPORTANTE. È d’obbligo rilevare che i docenti di ruolo nella Scuola dell’Infanzia Statale hanno spesso titoli di studio e idoneità all’insegnamento per altri ordini di scuola. Chiediamo quindi l’inserimento di una clausola di salvaguardia ad hoc per avere precedenza nella mobilità professionale verso la Primaria e la Secondaria di primo e secondo grado per i docenti Infanzia che ne avessero titoli e requisiti. È un atto dovuto permettere loro di spendere eventuali titoli ed abilitazioni con precedenza nella mobilità professionale perché non hanno scelto di operare nel Sistema integrato 0-6 anni ma – inermi – lo subiscono.

Conclusioni

La Scuola dell’Infanzia Italiana ha radici pedagogiche profonde e importanti, basti pensare a Ferrante Aporti, alle sorelle Agazzi e a Maria Montessori! Ha sviluppato nel tempo, grazie anche alla normativa e agli investimenti dei Governi sul miglioramento dei programmi e sulla professionalità dei docenti che vi operano, un’ottima qualità del servizio e una ricaduta notevole sui gradi scolastici successivi in termini di scolarizzazione e apprendimenti; è dimostrato, infatti, che c’è correlazione tra la qualità della Scuola dell’Infanzia e il livello di sviluppo cognitivo, come di quello sociale. L’impatto può essere verificato su bambini di qualsiasi tipo di ambiente sociale, ma sembra essere assolutamente importante per bambini provenienti da ambienti socio-economici svantaggiati; anche l’insuccesso nella Scuola Primaria diminuisce proporzionalmente al tempo trascorso nella Scuola dell’Infanzia e si è rilevato che questo effetto continua nella Scuola Secondaria di 1° grado con conseguenze ancor più rimarcate per i bambini che provengono da famiglie svantaggiate. L’incisività della Scuola dell’Infanzia va ben oltre il successo scolastico e contribuisce a ridurre i problemi comportamentali, il tasso d’abbandono scolastico e perfino le statistiche della criminalità. La sua specificità e unicità è legata indissolubilmente alla Scuola Primaria e Secondaria di 1° e 2° grado come anche la formazione iniziale e in itinere dei docenti; la loro preparazione psicopedagogico didattica riguarda la fascia 3-6 anni con lo sguardo rivolto al percorso seguente e ai traguardi di sviluppo al termine del primo ciclo d’istruzione; è profondamente diversa (non migliore/peggiore) – per volere del legislatore – dal percorso formativo attuato dal personale dei servizi educativi per l’Infanzia e dai docenti delle Scuole dell’Infanzia comunali. Oltre ai titoli culturali e di formazione professionale totalmente differenti da quelli richiesti per l’insegnamento nella Scuola dell’Infanzia Statale sono diverse le modalità di reclutamento, la formazione in itinere e soprattutto i contratti di lavoro. Gli insegnanti della Scuola dell’Infanzia Statale hanno gli stessi diritti/doveri dei docenti degli altri gradi scolastici, stessa formazione universitaria iniziale, stessa funzione docente, stessa possibilità di effettuare passaggi di ruolo – dall’Infanzia agli altri gradi scolastici e anche viceversa per gli insegnanti degli altri gradi scolastici – avendone i titoli prescritti dalla legge, stessa opportunità legislativa e professionale di partecipare a concorsi ispettivi e/o direttivi per migliorare la propria carriera professionale. La costituzione dei Poli per l’Infanzia, descritti dal comma 181 “anche aggregati a Scuole Primarie e Istituti Comprensivi” vorrebbe significare per i docenti dell’Infanzia la preclusione da tutto quanto suesposto e per i bambini una prospettiva dell’educazione limitata e settoriale in cui la rilevanza dei bisogni di cura alla persona in senso meramente materiale e assistenziale prenderebbero il sopravvento anche su richiesta delle famiglie. Poiché è interesse del Paese assicurare uno sviluppo fisico, psichico e cognitivo equilibrato e sereno dei nostri bambini e delle nostre bambine che solo una Scuola dell’Infanzia capace di porli “al centro del processo di apprendimento” può assicurare, il suo assetto istituzionale, organizzativo e metodologico – didattico deve necessariamente restare immutato.

Nel documento redatto dall’European Commission/EACEA/ Eurydice, 2014/2015 relativo alle strutture dei sistemi educativi europei (44 sistemi educativi dei 36 paesi partecipanti al programma dell’Unione europea Erasmus – Stati membri dell’UE, Bosnia ed Erzegovina, Islanda, Liechtenstein, Montenegro, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Norvegia, Serbia e Turchia) -si rileva diversificazione nell’organizzazione dell’educazione prescolare e la quasi totalità degli Stati conserva la prerogativa di gestire direttamente tali istituzioni raggiungendo eccellenti livelli di istruzione.

Alla luce di quanto finora esposto, auspichiamo che si provveda:

al ritiro della delega sul “sistema integrato 0-6 anni”;

alla salvaguardia della specificità della Scuola dell’Infanzia Statale all’interno del percorso scolastico Infanzia – Primaria – Secondaria di 1° e 2° grado funzionale e ormai consolidato nel tempo;

a sanare le discriminazioni poste in essere per i docenti della Scuola dell’Infanzia Statale rispetto ai colleghi degli altri ordini di scuola poste in essere sin dall’emanazione della legge 107/15;

a permettere la fruizione delle abilitazioni all’insegnamento nelle Scuole Primarie e Secondarie di primo e secondo grado con precedenza nella mobilità professionale per i docenti Infanzia che ne avessero titolo;

alla generalizzazione dei Nidi, delle sezioni Primavera e delle Scuole dell’Infanzia sotto l’egida dello Stato, agganciando il segmento 0-3 al percorso di istruzione 3-14 anni ora vigente, liberandolo così dai servizi a domanda individuale che lo relegano al ruolo assistenziale e di welfare.

 

(ATTO N. 381)

DIRITTO ALLO STUDIO

Intervenire sul diritto allo studio, nell’attuale situazione di difficoltà finanziaria delle famiglie italiane e, dunque, di progressivo deterioramento delle possibilità di accesso all’istruzione, avrebbe dovuto essere l’espressione di una forte volontà di dare piena attuazione all’art. 34 delle Costituzione, per assicurare ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi di raggiungere i gradi più alti degli studi (comma 3).

In ragione di ciò, cercare di rendere effettivo il diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite, come recita il comma 4 dell’art. 34 C., in maniera selettiva, per concorso.

Per cui, non riteniamo corretto l’esonero dalle tasse per tutti indiscriminatamente. Mentre, riteniamo necessario:

-che si utilizzino le risorse per accrescere e migliorare i servizi scolastici;

-che si renda obbligatorio in ogni istituzione scolastica garantire il comodato d’uso gratuito dei libri adottati;

-che si incentivi il merito scolastico, assicurando, un sostegno finanziario complessivo da restituire, senza interessi, quando il futuro lavoratore avrà la capacità economica di farlo.

Riteniamo seria ed equa la revoca del bonus ai diciottenni e l’utilizzo di queste risorse per potenziare il diritto allo studio.

 

(ATTO N. 382)

CULTURA UMANISTICA

Lo schema di decreto si caratterizza per una sequela generica di buone intenzioni, ma che, tuttavia, andranno inesorabilmente a scontrarsi con i problemi di natura finanziaria e dell’assenza di risorse che da sempre penalizza il mondo della scuola e della scuola pubblica in particolare.

È necessario, quindi, che l’intera tematica venga inserita organicamente a sistema, facendo in modo che si evitino in partenza elementi che, da preziose opportunità, si trasformino in orpelli e gineprai inestricabili dal punto di vista operativo e gestionale.

Si rileva una evidente confusione nel merito, in quanto il rilancio della cultura umanistica non può prescindere dalla promozione degli studi che riguardano l’uomo e la formazione armonica di un cittadino libero e consapevole, depositario di senso critico e di agire autonomo e responsabile, in ogni situazione di vita reale.

Ci sembra assolutamente fuorviante il fatto di voler uniformare aspetti e logiche di tipo materiale e commerciale (Patrimonio culturale e valore del Made in Italy) con elementi profondi che appartengono alla sfera della nostra cultura e della nostra civiltà. Il patrimonio culturale italiano ha in sé un valore intrinseco inestimabile, che va custodito, salvaguardato e rilanciato in termini di progetto di crescita personale, umana e sociale degli studenti in prima istanza e della società di riferimento più in generale.

In sostanza, sembra di rivivere in modo rovesciato l’infelice affermazione fatta qualche anno fa da un ministro della Repubblica che sosteneva che “con la cultura non si mangia”. Generalizzando, infatti, con l’impostazione del decreto pare si voglia ridurre la cultura umanistica in “qualcosa che si mangia” o in qualcosa che possa essere immediatamente mercificata.

 

(ATTO N. 383)

SCUOLA ITALIANA ALL’ESTERO

Osserviamo che pur avendo le scuole italiane all’estero il fine della promozione della lingua della cultura italiana all’estero, con la modifica normativa che si propone di fatto si assoggetta le istituzioni scolastiche all’organizzazione scolastica dei paesi ospitanti. L’istituzione scolastica redige, infatti, il piano triennale dell’offerta formativa, ma sul piano deve essere acquisito il parere preventivo del capo della rappresentanza diplomatica o dell’ufficio consolare. Per cui, con l’eccezione dell’insegnamento della religione cattolica che è impartito secondo le disposizioni applicabili nel territorio nazionale, per gli altri insegnamenti si mira ad agevolare l’inserimento degli studenti italiani nei sistemi scolastici locali e, dunque, a perseguire un fine opposto a quello che giustifica l’esistenza stessa di queste istituzioni scolastiche all’estero.

Rileviamo, inoltre, un peggioramento delle condizioni contrattuali ed economiche:

– reclutamento non trasparente: i docenti sono selezionati tramite un colloquio anche con modalità telematiche e collocati in un elenco, non in una graduatoria, da cui attingere discrezionalmente per le nomine. Una vera e propria omologazione alla legge107/2015, introducendo la “chiamata diretta” dei docenti da un elenco/albo anche per le scuole italiane all’estero;

– limite di durata del mandato, sei anni non ripetibile.

 

(ATTO N. 384)

VALUTAZIONE ED ESAMI DI STATO

Riteniamo opportuno soffermarci su alcuni articoli in particolare:

-Art. 3 (Ammissione alla classe successiva della scuola primaria) – c. 1. Nella scuola primaria, i docenti della classe in sede di scrutinio, con decisione assunta all’unanimità, possono non ammettere l’alunno alla classe successiva solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione.

Si tratta di una formulazione assolutamente generica che non definisce alcun criterio di valutazione negativa, anzi sancisce un principio di arbitrio e di discrezionalità da parte del consiglio di classe che non offre alcuna garanzia di certezza di diritto. Parlare di “casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione”, non significa assolutamente nulla, laddove invece, trattandosi di un segmento particolarmente delicato e fondamentale nella formazione del fanciullo, si rende assolutamente necessaria una formulazione circostanziata e inequivocabilmente chiara che determina una decisione molto grave.

-Art. 7 (Prove nazionali sugli apprendimenti degli studenti della scuola secondaria di primo grado) – c. 4. Le prove di cui al comma 1, si svolgono nel mese di aprile e rappresentano requisito di ammissione all’esame conclusivo del primo ciclo di istruzione.

Prima di istituzionalizzare le prove Invalsi, inserendole organicamente nel sistema di autovalutazione d’istituto, riteniamo sia necessario definire in modo preciso il rapporto fra Invalsi e istituzioni scolastiche, prevedendo anche un modo per partecipare, da parte di queste ultime, alla individuazione e formulazione delle tipologie e delle modalità di formulazione delle prove. Ciò al fine di evitare che le stesse siano calate dall’alto e in modo avulso dal sistema di istruzione e formazione scolastica.

-ART. 6 (Ammissione alla classe successiva nella scuola secondaria di primo grado ed all’esame conclusivo del primo ciclo) – c. 1. Il consiglio di classe delibera l’ammissione alla classe successiva e all’esame conclusivo del primo ciclo sulla base di una valutazione complessiva, non inferiore a sei decimi, relativa alla sufficiente acquisizione dei livelli di apprendimento previsti al termine del percorso.

Anche in questo caso siamo di fronte ad una formulazione imprecisa e che non si pone come obiettivo prioritario il raggiungimento di livelli di competenze adeguati in tutte le discipline. Infatti, si ritiene che non si debba parlare di “valutazione complessiva, non inferiore a sei decimi”, ma di una valutazione non inferiore a sei decimi in tutte le discipline, evitando così che gravi lacune o assenza del raggiungimento di competenze specifiche possano essere “colmate” facendo ricorso ad una “media” aritmetica dei voti.

ESAMI II CICLO

-ART. 15 (Ammissione dei candidati interni) -c.2, lettera d) votazione media non inferiore ai sei decimi compreso il voto di comportamento.

Si richiama e si conferma quanto già sostenuto in riferimento all’art. 6 comma 1. In questo caso, tuttavia, si sottolinea la necessità ancora maggiore di adottare la modifica proposta in quanto si tratta di esame conclusivo dell’intero percorso di studio “obbligatorio”, e si potrebbe verificare il paradosso di ammettere a sostenere l’esame di Stato, con il meccanismo della media dei voti, chi magari non ha mai studiato in modo regolare e con profitto, una disciplina anche di indirizzo.

 

 

 

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