02/08/2004
di Alberto Biuso e Dario Generali del Centro Studi dell’AND
A che cosa serve lo scempio che si sta facendo della scuola e dell’Università italiane? A molti scopi: decretarne ufficialmente la trasformazione in un luogo di pura socializzazione nel quale ciò che conta sia stare e non imparare; sfornare diplomati con scarse competenze e proclamati tali dopo brevi corsi triennali, laureati funzionali soltanto alla precarizzazione permanente del mercato del lavoro; umiliare e distruggere la professionalità degli insegnanti, caricandoli di ulteriori impegni burocratici (come la compilazione per ogni alunno e per ogni anno del cosiddetto “portfolio delle competenze”) ed evitando con cura che possa loro rimanere del tempo da impiegare nello studio serio, individuale, meditato e critico.
Nel perseguimento di tali obiettivi, dobbiamo con amarezza riconoscere, non esiste una reale distinzione fra le forze politiche di maggioranza e di opposizione. Ne è prova il disegno di legge in discussione alla Commissione Istruzione del Senato sui precari della scuola. Comprendiamo bene il dramma di molte persone che nella scuola hanno lavorato e lavorano senza prospettive di assunzione definitiva ma non si può risolvere –in realtà perpetuare- questo problema attraverso il tipico provvedimento demagogico e squalificante dell’ingresso ope legis di insegnanti che non hanno superato alcun concorso, che sono privi di abilitazione e che vengono assunti solo perché hanno accumulato punti, e cioè 365 giorni di insegnamento. Non solo: ritorna per l’ennesima volta la farsa dei corsi abilitanti che pretendono di costruire un buon insegnante attraverso metodi che somigliano a quelli pubblicizzati da alcune società specializzate nel far ottenere promozioni scolastiche ed esami universitari senza un reale impegno nello studio. Ancora una volta, il principio meritocratico –l’unico veramente democratico ed egualitario- viene sacrificato a vantaggio della demagogia sindacale, di partito, di apparato burocratico.
Ci chiediamo sotto quale governo e dopo quali profonde trasformazioni della società civile e dei costumi politici si potrà mai in Italia ottenere che nelle scuole e nelle Università il criterio per le assunzioni sia la qualità intellettuale invece che il tempo trascorso nelle aule e nei corridoi.