
di GIANLUCA PASQUALE TODISCO, Professore a contratto Università di Salerno.
La crisi della scuola di oggi non è una questione di problemi isolati, ma il risultato di una profonda frattura tra scuola e famiglia. Questo saggio esplora cinque verità scomode, tratte dalle riflessioni di pedagogisti e psicoanalisti, che svelano un sistema interconnesso di dinamiche contro-intuitive.
La prima e più devastante verità è la rottura del patto di corresponsabilità tra genitori e insegnanti. Un tempo fondato su fiducia e rispetto reciproco, questo legame è stato sostituito da una dinamica di conflitto. Lo psicoanalista Massimo Recalcati definisce i genitori come “sindacalisti dei figli” che vivono ogni azione educativa dell’insegnante come un potenziale “abuso di potere”. Questa mentalità, alimentata dal narcisismo dell’epoca e dall’iper-protezione dei figli, lascia i docenti isolati e mina la loro autorità, proprio nel momento in cui la famiglia delega completamente a loro il compito educativo.
La seconda verità riguarda la vera natura dell’insegnamento. La sua missione non è riempire la testa di nozioni, ma trasmettere il desiderio di sapere. Il vero maestro non è un semplice esecutore di programmi, ma un testimone di un amore autentico per la conoscenza. La sua passione per la materia trasforma il libro da oggetto astratto a corpo vivo, contagiando lo studente che diventa un “amante del sapere”. Tuttavia, il clima di costante sospetto e la pressione genitoriale soffocano questa passione, rendendo impossibile per il docente esprimere quella vulnerabilità e quel senso di scoperta che alimentano la curiosità.
La terza verità è che la vera forza di un maestro risiede nella sua capacità di ammettere i propri limiti. Contrariamente alla convinzione che l’autorità si basi sull’onniscienza, la grandezza di un docente si manifesta nell’ammettere di non sapere o nel mostrare una crepa nel proprio sapere. Questo “inciampo” del maestro, come racconta Recalcati, non è un segno di debolezza, ma una calamita che spinge gli studenti a indagare autonomamente. In un contesto in cui ogni gesto è sotto esame, però, gli insegnanti sono meno inclini a rischiare di mostrarsi fallibili e a pronunciare le parole “so di non sapere”, privando gli studenti di una lezione fondamentale sull’incertezza e la ricerca.
La quarta verità, sottolineata dal pedagogista Daniele Novara, è che l’antidoto alla violenza giovanile non è la repressione, ma l’educazione al conflitto. La scuola ha in gran parte abbandonato il compito di insegnare ai ragazzi a “litigare bene” e a gestire le contrarietà. L’iper-protezione dei genitori, che intervengono per evitare ogni scontro, impedisce ai figli di sviluppare le competenze emotive e relazionali necessarie per affrontare la frustrazione. Di conseguenza, gli studenti diventano emotivamente impreparati alla vita, dove la diversità di opinione e il conflitto sono inevitabili.
Infine, la quinta verità riguarda un principio normativo spesso ignorato: la priorità della continuità didattica. La legge stabilisce che il docente di sostegno, anche in assenza dello studente con disabilità, non può essere automaticamente utilizzato per supplenze. Il suo compito è legato al Piano Educativo Individualizzato (PEI), un progetto di inclusione che ha la priorità sulla gestione delle emergenze. Questo principio, sancito dalla Nota Ministeriale prot. n. 9839 dell’8 novembre 2010, ribadisce l’importanza della specializzazione e della coerenza nel percorso educativo. Tuttavia, la recente circolare ministeriale (Decreto-Legge 31 maggio 2024, n. 71, convertito con modificazioni dalla Legge 29 luglio 2024, n. 106) sulla continuità didattica ha innescato un’errata interpretazione da parte di alcuni genitori, che hanno inteso la possibilità di chiedere la conferma del docente come un diritto a richiedere anche la sua “discontinuità” in caso di disaccordo. Questo crea un’ingerenza irragionevole che danneggia l’autorità dei dirigenti e la dignità professionale dei docenti.
Tutti questi problemi portano alla violazione del Patto Educativo di Corresponsabilità, un documento che sancisce la partnership tra scuola e famiglia. Quando i genitori si oppongono al PEI, ignorano le norme o pretendono di scegliere i docenti, non stanno solo criticando, ma stanno rompendo un’alleanza etica e sostanziale. Questo porta a una rottura della fiducia, un’assenza di responsabilità condivisa e una profonda sfiducia nell’operato della scuola.
In conclusione, la crisi della scuola non si risolverà finché non si tornerà a riconoscere che l’educazione è una professione che richiede fiducia, rispetto e collaborazione. La vera domanda, come sottolinea lo psicoterapeuta Alberto Pellai, non è come “aggiustare” la scuola, ma se noi, come genitori, insegnanti e cittadini, siamo disposti a rispettare le competenze altrui per non disorientare un’intera generazione.
GIANLUCA PASQUALE TODISCO, Professore a contratto Università di Salerno.