Cancellare la legge 107/2015, un imperativo categorico per la nuova compagine politica.
Non c’è stato un evento pubblico sulla scuola, prima dell’attuale legislatura, in cui non abbiano partecipato parlamentari o attivisti dei 5 Stelle e della Lega e che nei loro interventi non abbiano arringato i partecipanti con la frase, gridata in ogni dove, “quando andremo noi al governo cancelleremo la legge 107/2015”.
Oggi, non possiamo disconoscere che la montagna si appresta a partorire un topolino di razza pigmea e che i proponenti del progetto di legge 763 presentato al Senato nello scorso mese di agosto devono fare uno sforzo titanico per portare avanti un “atto legislativo dovuto e necessario” che eliminerà la chiamata diretta e gli ambiti territoriali: la prima già eliminata da un accordo tra le parti sociali e, ancor prima, relegata, dalla stragrande maggioranza dei dirigenti scolastici, nell’angolo delle cose dimenticate. Questi “coraggiosi e volenterosi” parlamentari, quand’anche non lo si voglia vedere, appaiono come gli ultimi moicani impegnati a presidiare il fortino sbrandellato della scuola italiana.
La legge 107 ha un solo articolo e 212 commi. Sarebbe bastata una legge con un solo articolo per cancellarla e per riportare la scuola nell’alveo tracciato dalla Costituzione, di luogo privilegiato di elevazione culturale, civile e sociale. Tanto, invece, è stato fatto con la cosiddetta “riforma Moratti”(legge 28 marzo 2003, n. 53) che con l’art. 7, comma 12, abolì la precedente riforma Berlinguer, varata nel 2000: “La legge 10 febbraio 2000, n. 30, è abrogata”.
Quanto poi alla compagine governativa che avrebbe dovuto realizzare i cambiamenti propagandati, la Lega ha insediato a Trastevere un ministro già dirigente scolastico e i 5 Stelle, per non essere da meno, un dirigente scolastico alla poltrona di sottosegretario che, a sua volta, ha nominato dirigenti scolastici tra i suoi più stretti collaboratori. Naturalmente, oggi, a meno che non si sia un dirigente scolastico, è difficile superare la soglia di Trastevere e incontrare il Signor ministro o i Signori sottosegretari.
Ci spiace, certo non era questo che il mondo della scuola si aspettava da un “governo del cambiamento”. Se le parole in politica hanno ancora un significato, questo non può che dedursi dalla prassi cristallizzata negli atti di governo ed in quelli legislativi che purtroppo, finora, appaiano convergere nella sintesi paradossale che “tutto deve cambiare perché tutto resti come prima”.
Sarebbe fin troppo facile gridare al tradimento, nei fatti già concretizzato, ma il senso di responsabilità che deve “vestire” ogni atteggiamento, affermazione ed azione di chi riveste un ruolo pubblico, sia esso politico o sociale, ci induce ad auspicare e sollecitare che sulla scuola si incominci a progettare e ragionare in una logica di sistema che abbia il respiro di una visione d’insieme; che si inizi, coerentemente con gli impegni pubblicamente assunti in campagna elettorale, con il rivedere e ripensare alla radice scelte aberranti e politiche nefaste che hanno caratterizzato il governo dell’istruzione degli ultimi vent’anni.
Il primo passo nella direzione di un vero cambiamento non può che comportare l’abrogazione della legge 107/2015.
Per il bene dei nostri figli, per il bene della scuola, per il bene del Paese.