di Redazione.
Siamo alla coda finale della Maturità 2024, e torna di attualità una domanda che rimbalza da tempo, e che diventa sempre più incalzante: ma la Maturità, questa Maturità, può essere ancora considerata un esame?
E che valore può essere dato a un titolo che comunque da anni viene assegnato con votazioni spesso mirabolanti (in molti casi più alte nelle zone in cui le rilevazioni standardizzate mostrano i livelli di apprendimento in media più bassi), e promozione praticamente assicurata a chiunque riesca ad essere ammesso alle prove d’esame, inclusi quelli che si presentano in istituti in cui si realizza un’anomala esplosione di iscritti tra il quarto e il quinto anno, magari dopo aver condensato un certo numero di “anni in uno”?
Da tempo, almeno da quando Tuttoscuola pubblicò il suo “Primo Rapporto sulla qualità nella scuola” (2007), e ripetutamente negli anni, la nostra testata ha provato a porre il problema e a presentare in forma problematica qualche alternativa, da una maggiore personalizzazione della prova orale alla trasformazione dell’ultimo anno della secondaria superiore in un anno di preparazione all’esame solo su due, massimo tre materie scelte dallo studente, da collegare obbligatoriamente alle successive scelte universitarie, fino alla sostituzione delle prove con la valutazione/certificazione (esame) delle competenze acquisite nel tempo, che dovrebbero essere documentate in modo attendibile sulla base di un apposito portfolio individuale.
Una certificazione-esame che dovrebbe avere lo stesso valore legale del diploma, visto che la nostra Costituzione prevede “un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi” (art. 33, comma 5).
Un’altra soluzione sarebbe quella di far gestire l’esame non più dalle Commissioni ma da un soggetto certificatore indipendente, come propone un esperto di scuola di lungo corso come Giovanni Cominelli (già membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi tra il 2002 e il 2004).