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Vietare i social ai minori di 16 anni per Legge? Sì … a condizione che …

Si tratta di un orientamento sempre più diffuso che richiede però anche una svolta di tipo meta-culturale alla società

di Redazione.

“Social: vietare l’accesso ai minori?” – è questa la domanda che viene posta da TuttoscuolaNews nel primo editoriale del N.1146 di lunedì 11 novembre 2024 riaprendo, di fatto, un dibattito sempre attuale che attraversa trasversalmente tutta la società e le Istituzioni. A cominciare, naturalmente, dal mondo della Scuola, proprio per l’innegabile e decisivo impatto sul clima scolastico, sulle attività di insegnamento/apprendimento e su tutto ciò che concorre allo sviluppo della personalità delle nuove generazioni.

Di fronte allo stillicidio di episodi sempre più complessi e allarmanti che si verificano quotidianamente, il ministro Valditara, interpretando innegabilmente un sentimento diffuso di forte preoccupazione, ha dichiarato che è necessario “vietare l’utilizzo dei social ai minori di 15 anni” come soluzione per “proteggere i nostri giovani”.

Una posizione che vede concordi anche esperti del settore come il pedagogista Daniele Novara e lo psicoterapeuta Alberto Pellai i quali hanno proposto di vietare per legge l’uso degli smartphone a scuola fino a 14 anni (già contenuto in una circolare del MIM) e l’iscrizione ai social non prima dei 16 anni.

«I bambini che utilizzano strumenti tecnologici e interagiscono con gli schermi – hanno dichiarato – subiscono due danni: uno diretto, legato alla dipendenza; uno indiretto, perché l’interazione con gli schermi impedisce di vivere nella realtà le esperienze fondamentali per un corretto allenamento alla vita». Si tratta, ci tengono a precisare Novara e Pellai, che la loro non è una presa di posizione anti-tecnologica «ma l’accoglimento di ciò che le neuroscienze hanno ormai dimostrato: ci sono aree del cervello, fondamentali per l’apprendimento cognitivo, che non si sviluppano pienamente se il minore porta nel digitale attività ed esperienze che dovrebbe invece vivere nel mondo reale».

Un orientamento che, com’è ovvio, si estende ben oltre i confini nazionali. In Australia, per esempio, il primo ministro Anthony Albanese ha annunciato che entro fine novembre approderà in Parlamento una legge specifica del tutto simile. Tale decisione è basata sul fatto che, dagli studi effettuati emerge che gli algoritmi dei social media mostrano contenuti inquietanti a bambini e adolescenti e che un’età adeguata all’accesso ai social sarebbe quella dei 16 anni.

“Se la maggior parte degli esperti concorda sul fatto che i social media possono danneggiare la salute mentale degli adolescenti, – conclude l’editoriale di TuttoscuolaNews – molti si dividono sull’efficacia del tentativo di metterli «fuori legge». Per alcuni esperti, i divieti non fanno altro che ritardare l’esposizione dei giovani ad applicazioni come TikTok, Instagram e Facebook, invece di insegnare loro a navigare con consapevolezza in «spazi» complessi. Permangono, inoltre, dubbi sulle modalità di attuazione, dato che esistono strumenti in grado di aggirare i requisiti di verifica dell’età. Siamo forse a una svolta che, comunque, per avere consistenza dovrà trovare sostegno e condivisione da parte della società civile, a cominciare dalle famiglie”.

“Una svolta” Dunque? Sembrerebbe proprio di sì, anche se il vero problema è che, una volta sancito il “divieto”, poi bisogna farlo rispettare in modo sistematico e intransigente, per non cadere in quello che viene rappresentato dal vecchio adagio “fatta la legge, trovato l’inganno”. Tenendo sempre presente però che siamo di fronte a una battaglia formidabile che assume una dimensione di tale complessità che non può prescindere da una grande svolta di tipo meta-culturale che coinvolga tutta la società, di cui la Scuola rappresenta soltanto un segmento, sia pure importantissimo.

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