Analisi & Commenti

Scuola: la realtà e il vuoto

02/02/2004

di Fabio Brotto

Fabio Brotto ci trasmette una sua ’Cronica’ che volentieri pubblichiamo

(http://www.bibliosofia.net/files/CRONICA_22.htm )

REALTÀ. L’irrazionale è reale, e il reale irrazionale. È conforme al disordine delle cose, dunque, che in tutte le scuole i Dirigenti confabulino fin dall’inizio dell’anno scolastico con le rappresentanze degli Studenti al fine di far svolgere con successo la inevitabile, imperdibile ed ineffabile Autogestione. Forse il termine può dare qualche problemino giuridico, oltre che didattico, ed allora i Dirigenti, nella loro lungimiranza ed italica sapienza, eviteranno di utilizzarlo nei loro documenti ufficiali. Parleranno, invece, di iniziative studentesche, di settimana di sperimentazione didattica, di riparametrazione dei rapporti docenti-allievi in un circolo virtuoso delle competenze, di approfondimenti disciplinari decontestualizzati e riformalizzati, di valenza formativa dei momenti informali, ecc. ecc.Vedranno poi di far sì che i collegi dei docenti si assumano delle responsabilità nel gestire la gestione(auto) degli Studenti, diventata altro. Gli Studenti e i docenti continueranno invece ad usare la parola autogestione: gli uni per esaltarne le virtù (non tutti però, solitamente gli allievi migliori non l’amano molto e la reputano, giustamente, una perdita di tempo, e poi oggi gli Studenti non si esprimono molto, e praticano un’amplissima delega ai loro Kapetti), gli altri per deplorarla vanamente. Di una cosa però v’è certezza assoluta: la voce dei docenti, se mai sarà udibile, sarà assai flebile. Essa è anche confusa, non è capace oggi di denunciare le contraddizioni del sistema: non è in realtà neppure una voce, ma un bisbigliare di voci discordi. Del resto, io credo che non saremmo a questo punto se la debolezza dei docenti non fosse anche e prima di tutto una debolezza professionale, strettamente legata al rapporto che essi hanno con le loro discipline, spesso precario. Dal canto mio, se posso vantarmi di qualcosa è di aver sempre cercato di seguire il precetto evangelico: la tua parola sia sì sì, no no, il resto viene dal demonio. Perciò non chiamerò mai l’autogestione con altre parole e vaghe metafore. Mi vanto, anche, di aver scritto, in tempi ben altri da questi, nel 1969, quando facevo la terza liceo, in un giornalino studentesco di Venezia, che le assemblee di allora erano ‘palestra di demagogia e di malafede’. Lo sono anche quelle di oggi.

VUOTO. Se avessero gli occhi per leggere e vedere, ma non li hanno, e leggendo non vedono, a tutti quegli insegnanti – e sono moltissimi – che negli ultimi anni si sono dati tanto da fare ‘per cambiare la scuola’, e hanno più o meno inconsapevolmente collaborato alla sua distruzione culturale, farei leggere il racconto di Naghib Mahfuz Il vuoto (sta nella raccolta ‘La taverna del gatto nero’, trad. di C. Sarnelli Cerqua, Tullio Pironti Editore, Napoli 1993). Il protagonista di questo racconto da giovane viene colpito in ciò che gli è più caro, e si impegna per molti anni a creare le condizioni di una vendetta: quando è in grado di realizzarla, va a cercare l’odiato nemico, l’offensore, ma quello non c’è più, è morto. Il protagonista si trova quindi, tragicamente, di fronte al vuoto. ‘Che cosa terribile è il vuoto!’ (p.36). Similmente, legioni di docenti che hanno operato per riformare, cambiare, ecc. ecc., ora sono sospesi sul vuoto, nichilisti incapaci di vedersi per quel che sono. Incapaci di una qualsiasi revisione, di un minimo di autocritica, mancando loro dei veri capri espiatori (con il ministro Brichetto non funziona, dietro la sua cosmesi fa capolino il volto ghignante di Berlinguer) non restano loro che il pianto, e il nulla, e la pensione. ‘Non vi era dunque per me che la via dello spazio vuoto e mi ci diressi’.

 

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