Note & Interventi

I docenti tengono unita la società, malgrado il “distanziamento sociale”

 

Il mese di marzo 2020 più che “passerà alla storia” è “già storia”, e questo ancora prima che fosse completamente trascorso. Indubbiamente lo sarà per il virus COVID 19 che ha provocato la Pandemia nell’era della globalizzazione, ma lo sarà anche per aver squarciato il velo su una società, costruita sull’illusione a tutti i livelli, una società descritta “su carta”, ma non corrispondente nella realtà.

Nella comunità scolastica, se non ce ne siamo ancora accorti, questo castello di carta si è svelato attraverso un canale inaspettato: la didattica a distanza.

Dopo una prima illusione sui tempi di ripristino della normalità, la scuola si è trovata di fronte all’urgenza di attuare senza preavviso la didattica a distanza.

I dati del Ministero dell’Istruzione ci parlano che al 23 marzo 6,7 milioni di studenti su 8,3 milioni sono stati raggiunti dalle video-lezioni.

In questo mese abbiamo letto e sentito decine di riflessioni riguardo la DAD; analisi di studiosi, ma soprattutto commenti di famiglie, esperienze di docenti e perplessità di studenti, di quelli, in sostanza, che si trovano in prima linea a sperimentare, per la prima volta concretamente, l’apprendimento a distanza.

La prima cosa che è emersa è il fallimento della formazione fatta negli anni precedenti. Ci si è accorti che per un quinquennio e anche più siamo stati tutti raggirati dai promotori dei corsi di formazione, quelli ufficiali, promossi dal MIUR e dagli ATP. Tanto, tantissimo tempo impiegato per apprendere e non apprendere tutt’altro di quello che era necessario. Molti docenti, se non tutti, hanno seguito i corsi organizzati dalle scuole e dagli ambiti territoriali, spesso in cinema e grandi teatri, con gruppi composti da 300, anche 600 docenti iscritti (e questo già dovrebbe far riflettere) a fare, o meglio, ascoltare non si sa bene cosa.  Un corso di formazione in cui erano previste 3 ore, per esempio, poteva essere organizzato più o meno così. Prima mezzora, il caos per raccogliere le centinaia di firme. Seconda mezzora saluti del Dirigente dell’USR. Terza mezzora, saluti del Dirigente Scolastico della scuola polo. Quarta mezzora, intervento di una qualche azienda esperta in digitalizzazione/informatica/scolastica. Ultima ora, presentazione di un Power Point, spesso noioso, spesso incomprensibile graficamente (scritte piccole, quanto inutili), o la presentazione di un “Coding” con un gatto chiamato Scratch, in cui si mostravano due o tre funzioni, o meglio codici, a dimostrazione delle potenzialità (sappiamo tutti, invece, che per apprendere un qualcosa di pratico bisogna invece fare e non semplicemente ascoltare).

Fatto sta che nel 2020, in teoria, almeno sulla carta, tutti i docenti hanno in tasca uno, due o tre certificati che attestano il possesso dei requisiti per una “scuola digitale” e sono competenti in materia.

A marzo del 2020 si è scoperto che non è proprio così. Ma nello stesso tempo si è scoperto che centinaia di migliaia di docenti e alunni, in pochi giorni hanno da soli appreso e applicato quello che i corsi “imposti” dal ministero e dalle scuole non erano riusciti a fare in 5 anni. È il successo della libertà di insegnamento, che tra le altre cose afferma l’inutilità di tutto un apparato amministrativo/burocratico costruito intorno ad esso. Con qualche giorno di ritardo il Ministero dell’Istruzione interviene con una nota (388 del 17 marzo), provocando non poca indignazione, forse perché ha suscitato l’impressione che più che dettare delle linee guida utili ed efficaci, questa nota abbia mirato in qualche modo a riappropriarsi tempestivamente del controllo burocratico dell’insegnamento/apprendimento.

Il Ministero dell’Istruzione invia questa ultima nota il 17 marzo 2020 “Emergenza sanitaria da nuovo Coronavirus. Prime indicazioni operative per le attività didattiche a distanza”, in essa è affermato che “La didattica a distanza, in queste difficili settimane, ha avuto e ha due significati. Da un lato, sollecita l’intera comunità educante, nel novero delle responsabilità professionali e, prima ancora, etiche di ciascuno, a continuare a perseguire il compito sociale e formativo del “fare scuola”, ma “non a scuola” e del fare, per l’appunto, “comunità”. Mantenere viva la comunità di classe, di scuola e il senso di appartenenza, combatte il rischio di isolamento e di demotivazione. (…) Dall’altro lato, è essenziale non interrompere il percorso di apprendimento. (…) Ma è anche essenziale fare in modo che ogni studente sia coinvolto in attività significative dal punto di vista dell’apprendimento, cogliendo l’occasione del tempo a disposizione e delle diverse opportunità (lettura di libri, visione di film, ascolto di musica, visione di documentari scientifici…) soprattutto se guidati dagli insegnanti.”

 

Dalla nota per la didattica a distanza emerge, quindi, un aspetto inatteso.

La comunità scolastica riscopre il proprio ruolo, che è capacità di creare, inventare, mantenere e rafforzare relazioni che riscoprono un antico tessuto sociale in grado di comprendere e aiutarsi.

Gli insegnanti tengono unità la società, soprattutto in un momento in cui si attua il “distanziamento sociale”. Sembra un po’ un ossimoro: la didattica a distanza riduce le distanze.

Fin qui la nota ministeriale, che corregge un po’ il tiro rispetto a quella precedente, di fatto riconosce, o è costretta a riconoscere, alla scuola e alla categoria dei docenti un ruolo non solo di primaria importanza, ma necessario, irrinunciabile, per la sopravvivenza della società stessa.

Non dobbiamo stupirci di questo, anche se probabilmente il processo di aziendalizzazione della scuola ha portato nell’oblio questo concetto. Quello che dovrebbe stupire, invece, sono alcune dichiarazioni, a mio avviso inopportune, di certi rappresentanti dei Dirigenti Scolastici, anche se non ci dovrebbero stupire più di tanto. In alcuni, per fortuna pochi, è prevalsa la preoccupazione di perdere il “controllo” sul corpo docenti, che, improvvisamente, hanno fatto pensare di poter cavarsela meglio da soli, ed è effettivamente così. Attraverso la DAD, i docenti entrano praticamente nelle case degli alunni, dove ci sono anche i genitori, che fin dal primo momento si sono resi conto che gli insegnanti non sono come qualcuno li aveva descritti, fannulloni e incompetenti, ma sono esattamente il contrario e, per di più, sono ricchi di umanità. Lo erano anche prima, intendiamoci, ma si è fatto di tutto affinché nessuno se ne accorgesse.

Il documento ministeriale, inoltre, fornisce una descrizione della didattica a distanza sottolineando la grande importanza dell’azione di progettazione: “le attività di didattica a distanza, come ogni attività didattica, per essere tali, prevedono la costruzione ragionata e guidata del sapere attraverso un’interazione tra docenti e alunni”.

In questo punto, pur non mettendo assolutamente in discussione l’efficacia e l’ineluttabilità della progettazione, (che Pier Cesare Rivoltella, presidente del Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Innovazione e alla Tecnologia, accosta allo  studio di una sceneggiatura senza la quale non ci sarebbe una buona rappresentazione teatrale,) tuttavia, così come espressa, la nota si presta a libere interpretazioni e difformità di opinioni e azioni, che in una situazione così imprevista qual è l’emergenza in corso, paradossalmente ottiene l’effetto opposto, e non per colpa dei docenti.

La nota ministeriale descrive alcune azioni possibili:

  • il collegamento diretto o indiretto, immediato o differito, attraverso videoconferenze, videolezioni, chat di gruppo;
  • la trasmissione ragionata di materiali didattici, attraverso il caricamento degli stessi su piattaforme digitali;
  • l’impiego dei registri di classe in tutte le loro funzioni di comunicazione e di supporto alla didattica, con successiva rielaborazione e discussione operata direttamente o indirettamente con il docente;
  • l’interazione su sistemi e app interattivi educative propriamente digitali.
  • No al solo invio di materiali o la mera assegnazione di compiti, che non siano preceduti da una spiegazione relativa ai contenuti in argomento o che non prevedano un intervento successivo di chiarimento o restituzione da parte del docente.

Purtroppo queste indicazioni del Ministro hanno provocato inquietudine  in molti dirigenti scolastici, che si sono affrettati a emanare direttive, più o meno ufficializzate, in maniera completamente difforme gli uni dagli altri, provocando in alcuni una gara (con se stessi?) a chi fosse il più bravo (che poi mi chiedo chi si considera il più bravo nella mente di un dirigente, chi riesce a sottomettere i subalterni o chi collabora con loro in un clima cooperativo?).

Sarà un caso, ma molti problemi sono sorti dopo questa nota.

Molti genitori hanno lamentato la “moltiplicazione” delle attività in casa aggravate, in alcuni, casi da difficoltà pratiche. Alcune famiglie, soprattutto nel meridione d’Italia, sono composte da più figli in età scolare, e a volte con anche uno o più genitori, a loro volta docenti. Come dividersi il computer quando ce n’è solo uno in dotazione a casa? Ci sono poi alcune scuole che hanno dato indicazioni per svolgere un orario quasi conforme a quello scolastico pre-emergenza, creando ulteriormente caos, altre scuole, invece, con lungimiranza e senso pratico della realtà hanno adottato orari molto ridotti, essenziali, ma funzionali.

Molti studenti, inoltre, non possiedono proprio un pc e utilizzano per le attività il loro smartphone, molto spesso obsoleto. Spesso, e ancora una volta soprattutto nel meridione, ci sono problemi di connettività. E quando non ci sono problemi di connettività, esistono notevoli problematicità per l’accesso a piattaforme che non sono sempre supportate con i dispostivi mobili. Ancora, molte famiglie non possiedono una stampante. Tutte queste difficoltà erano state brillantemente gestite nella prima fase dell’emergenza dalla libera iniziativa dei docenti, che si sono inventati ogni artificio per non lasciare indietro nessuno, come si conviene a dei bravi insegnanti. Alcune volte, purtroppo, ci è parso che l’intervento di obblighi e progettazione (sterile) proposti da alcuni dirigenti non ha portato ad alcun beneficio, ed è sembrato, in alcuni casi, che si volesse piuttosto riguadagnare il terreno di quella scuola fatta di carte e burocrazia, inconsistente e quanto mai dannosa in questa emergenza, più che operare con efficacia nell’esclusivo interesse degli alunni. Alcuni hanno addirittura progettato una valutazione, che alla luce di quello che è stato appena detto, appare da subito una assurdità. Quanto incide nella valutazione il dispositivo (telefono, tablet, computer)? Quanto incide la connessione? Quanto incide l’aiuto dei genitori e dei fratelli o sorelle?

Per non parlare degli studenti con DSA, che in alcuni casi potrebbero anche ribaltare la loro posizione. Un aspetto che si è da subito evidenziato, alcuni studenti particolarmente irrequieti nell’attività scolastica tradizionale, improvvisamente si rivelano eccellenti nelle attività a distanza, vuoi per un riscatto, vuoi per altri fattori psicologici, vuoi perché riescono a essere più scaltri nel “copiare”. Come valutarli? Ma, queste eccezioni a parte, la grande maggioranza dei DSA, purtroppo, si troverà con un ostacolo in più da superare.

La nota ministeriale ricorda di porre particolare attenzione agli studenti con DSA:“occorre dedicare, nella progettazione e nella realizzazione delle attività a distanza, particolare attenzione nel rispetto dei piani didattici personalizzati stilati. La strumentazione tecnologica, con cui tali studenti hanno, di solito, già dimestichezza, rappresenta un elemento utile di facilitazione per la mediazione dei contenuti proposti. Occorre rammentare la necessità, anche nella didattica a distanza, di prevedere l’utilizzo di strumenti compensativi e dispensativi, i quali possono consistere, a puro titolo esemplificativo e non esaustivo, nell’utilizzo di software di sintesi vocale che trasformino compiti di lettura in compiti di ascolto, libri o vocabolari digitali, mappe concettuali”.

Ma dal mondo della realtà, ragazzi e famiglie ci raccontano delle notevoli difficoltà che incontrano. Come valutare?

Non dimentichiamo poi che con la DAD è facile dare corso a velleità narcisistiche di efficienza, da parte di chi la eroga. Efficienza falsa, illusoria se non in alcuni casi ipocrita. È ovvio che le aspettative burocratiche di un Dirigente amplificheranno anche il rischio di questo fenomeno.

In conclusione, i docenti sono chiamati in questo difficile momento a rivedere e semplificare la progettazione, scegliendo con cura gli obiettivi da raggiungere e le competenze da implementare, tenendo conto del nuovo contesto di apprendimento.

Adesso è il Ministero che deve fare la sua parte con oculatezza e giudizio. A breve deciderà quale sarà la sorte di questo anno scolastico, come e se fare gli esami di fine ciclo, come e se recuperare debiti, ma deve farlo con chiarezza e senza creare ulteriori diseguaglianze. Il mio consiglio è quello di rivolgersi prevalentemente agli insegnanti, a prenderli come esempio per una volta, ascoltando meno tutte quelle associazioni e fondazioni che molto spesso, troppo spesso, perseguono interessi personali, che sono interessi di molto profitto e poca cultura.

Auspichiamo che il Ministro sappia dimostrare, come quotidianamente dichiara, di operare solo e soltanto nell’esclusivo interesse di tutte le alunne e di tutti gli alunni della scuola italiana, facendo le stesse nostre riflessioni, e anche di più.

 

Paolo Luciani

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