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Legge di stabilità: il ddl Carrozza e le larghe intese contro la democrazia scolastica

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Di Marina Boscaino16 novembre 2013

Un paio di giorni fa è circolata la purtroppo credibile notizia che, durante il Consiglio dei Ministri della scorsa settimana, sarebbe stata rinviata l’approvazione di un incredibile disegno di legge sulla scuola, a causa della sua complessità. Il provvedimento aggredisce non solo alcuni punti fondamentali per la scuola – stato giuridico, salari, riforma degli organi collegiali – ma al tempo stesso alcuni tra i temi più caldi e più dibattuti degli ultimi anni. Il provvedimento dovrebbe essere presentato – nelle previsioni del governo – come collegato alla legge di Stabilità; vale a dire in cavalleria, senza dibattito parlamentare e senza particolare informazione delle parti interessate: lavoratori della scuola, studenti, famiglie.

Oggi abbiamo in mano il testo. Ed è molto peggio di quanto potessimo immaginare. Si tratta di una vera e propria delega in bianco al governo di ciò che si vorrà fare della scuole nei prossimi anni. Si tratta di un documento di evidente estrazione burocratica: i brontosauri del Miur, gli uomini ottimi per ogni stagione, quelli che si sono riciclati governo dopo governo, avevano forse premura di approfittare dell’evidente disinformazione di un ministro che con la scuola non ha mai avuto a che fare, e che non fa mistero di ciò. Le hanno proposto dunque un testo e una procedura che si configurano come un  vero e proprio golpe, interpretando in modo fedele l’idea aziendalistica fortemente sostenuta dal Pd a tutti i livelli.

Questi i temi, come enumerati dal testo:

1) riforma organica del reclutamento del personale docente, che garantisca la tutela delle diversa categorie di soggetti abilitati, mantenga l’equilibrio tra le assunzioni per concorso e gli scorrimenti di graduatoria, fermo restando il rigoroso rispetto del principio del merito, e consenta lo smaltimento del precariato, anche attraverso il ricorso al corso-concorso per l’accesso all’insegnamento presso le istituzioni scolastiche;

2) organi collegiali della scuola, con mantenimento delle sole funzioni consultive e superamento di quelle in materia di stato giuridico del personale e di quelle rientranti nelle materia di competenza regionale;

3) reti di scuole, con la definizione dei compiti, degli incentivi e delle forme di coordinamento;

4) procedimenti relativi allo stato giuridico e al trattamento economico del personale della scuola, con il superamento delle disparità di trattamento e la precisa definizione dei rapporti tra le diverse fonti di disciplina pubblicistica e negoziale;

5) contabilità delle istituzioni scolastiche;

6) disciplina giuridica degli altri soggetti riconosciuti dall’ordinamento vigente in materia di istruzione e formazione;

7) organizzazione delle istituzioni dell’Alta formazione artistica, musicale e coreutica e stato giuridico del relativo personale docente.

Non voglio soffermarmi qui sugli altri punti di questo progetto, ricordando tuttavia che il blocco di salari e contratti verrà confermato dalla stessa legge di Stabilità. Ciò che mi interessa soprattutto sottolineare è la spregiudicata ed impudica determinazione di riproporre – in chiave nemmeno tanto edulcorata – l’indecenza della Aprea Ghizzoni, se solo si legga il passaggio destinato agli organi collegiali: 2) organi collegiali della scuola, con mantenimento delle sole funzioni consultive e superamento di quelle in materia di stato giuridico del personale e di quelle rientranti nelle materia di competenza regionale.

Ridurre le attuali funzioni a “consultive” significa esautorare tutti gli organi collegiali della scuola di qualsivoglia potere; e convogliare ogni facoltà decisionale su qualsiasi materia nelle mani del solo dirigente scolastico e della linea di comando a cui il medesimo fa riferimento. Vuol dire determinare in maniera oggettiva ed irreversibile la frantumazione dell’unitarietà del sistema scolastico nazionale, individuando tanti stili, tante condotte, tante modalità quanti sono gli istituti scolastici. Vuol dire aver intercettato e strumentalizzare in maniera manipolatoria ed irresponsabile la crisi identitaria della classe docente nel nostro Paese, inaugurando l’inizio di una deriva (contraria all’interesse generale) che molti insegnanti – demotivati, delusi, incompetenti o civicamente inerti – asseconderebbero volentieri.

Vuol dire aprire porte e finestre a qualsiasi incursione di interessi particolari all’interno degli istituti, con conseguenti condizionamenti, consegnando definitivamente la scuola a una prospettiva di subalternità alle esigenze di un mercato e di un mercato del lavoro che vogliono che siano “sfornati” soggetti incapaci di prestare attenzione ai propri diritti. Vuol dire destituire di qualsiasi credibilità il senso dell’autonomia scolastica costituzionalmente disegnata, che dovrebbe coincidere con la libertà di insegnamento. Vuol dire, insomma, eliminare qualsiasi spazio di democrazia e di partecipazione all’interno della scuola, privandola per sempre di pensiero divergente, pluralismo, laicità. Privare, cioè, la scuola dello Stato della scuola della Costituzione, della scuola della Repubblica.

Lacrime di coccodrillo stanno già circolando in rete. Si ricorda, per chi avesse la memoria corta o fosse stato semplicemente poco attento, che il 16 dicembre dello scorso anno il Coordinamento Nazionale per la Scuola della Costituzione ha presentato un articolato alternativo alla Aprea Ghizzoni, che la gran parte del mondo della scuola e del mondo politico non hanno ritenuto di considerare, forse ingenuamente pensando che fosse bastata la mobilitazione (in condizioni preelettorali) contro le 24 ore e il Pdl 953 per riportare tutti a più miti consigli.

Evidentemente non è stato così.

 

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