Note & Interventi

Insegnamento-apprendimento, processo chiave dei sistemi educativi e formativi *

 

L’insegnamento è un “marcare il segno”, lo svolgimento di un’azione che “mira a rendere sensibili,

percepibili, le conoscenze, le competenze, i valori che si intendono proporre all’azione di apprendimento”

e il cui esito è costantemente mediato da un complesso processo di connessione e

di condivisione con conoscenze preesistenti e con costruzioni sociali di nuovi significati.


 

 

* Estratto dal libro “Introduzione all’analisi dei sistemi educativi”

di Francesco Greco (Autore)

Editore: Armando Editore, Roma, 2005, pp. 253

ISBN-10: 8883588487 –  ISBN-13: 978-8883588488

 


https://www.libreriauniversitaria.it/introduzione-analisi-sistemi-educativi-greco/libro/9788883588488

 https://www.ibs.it/introduzione-all-analisi-dei-sistemi-libro-francesco-greco/e/9788883588488

https://www.amazon.it/Introduzione-allanalisi-dei-sistemi-educativi/dp/8883588487

 


 Estratto da Parte II, capitolo 2.1, pag. 99-102


Identificare nell’insegnamento/apprendimento il processo chiave dei sistemi educativi e formativi non può che assumere, in questo contesto, il significato di un ri-centramento di quelle categorie antinomiche (insegnamento/apprendimento, insegnante/discente, valutazione/autovalutazione) che da sempre percorrono la dimensione teoretica dell’educazione e che portano a considerare le evidenze dei problemi educativi all’interno di una dimensione ecologica dell’educazione.

Apprendimento e insegnamento, infatti, da sempre vivono una simbiosi evolutiva, in cui l’apprendimento, motore di qualsiasi sviluppo dell’uomo nel tempo e nello spazio, aperto al cambiamento, si correla all’insegnamento, come costruzione sociale, storicamente situata[1], in un processo multifattoriale di interazione continua, dai molteplici e differenti significati. L’insegnamento è un “marcare il segno”, lo svolgimento di un’azione che “mira a rendere sensibili, percepibili, le conoscenze, le competenze, i valori che si intendono proporre all’azione di apprendimento”[2] e il cui esito è costantemente mediato da un complesso processo di connessione e di condivisione con conoscenze preesistenti e con costruzioni sociali di nuovi significati.

In questa prospettiva, l’individuo che apprende svolge un ruolo attivo, di elaborazione e ri-costruzione delle conoscenze, in cui il sapere diviene una costruzione personale significativa, che si sviluppa all’interno di un contesto sociale storicamente definito, nel quale il soggetto che partecipa diviene parte costituente dello stesso processo di apprendimento. Nella scuola il contesto sociale primario si identifica nella classe: qui gli allievi possono agire e ricevere sostegno e motivazione all’interno delle loro zona di sviluppo prossimale[3]; in questa regione possono raggiungere livelli di prestazione, più difficili da raggiungere per via individuale. È in questo micromondo che la loro ecologia concettuale, costituita da informazioni, credenze, visioni, viene a contatto con il sistema delle conoscenze formalizzate, di cui l’istituzione scolastica è espressione. Un contatto che innesca un’interazione, che può sostenere un processo di ristrutturazione e di re-visione delle conoscenze e delle concezioni preesistenti, con implicazioni emotive, cognitive e metacognitive.

Un passaggio, tuttavia, non lineare, come non lineare è il passaggio dalle conoscenze informali, a quelle formali, alle competenze. Nella scuola questa dinamica continua ad essere condizionata da rituali burocratici, spesso vuoti quanto defatiganti, filtrata da schemi formali precostituiti, che ne rendono difficile il rapporto con le problematiche della prassi educativa, mediata da un sapere normalizzato, codificato e dogmatizzato, qual è quello essenzializzato e impoverito depositato nei manuali scolastici ove è scandito finanche nei processi di acquisizione e di applicazione. La scuola, ancor più di recente, è affetta da un’ansia parossistica di verifica dei risultati scolastici, poggiata sul confronto di quantità indicizzate di esiti cognitivi, cui si attribuisce, a torto, una fraintesa dimensione valutativa, che non ha e non può avere, sulla stessa scuola e sugli insegnanti, una deriva idealista di controllo assoluto del funzionamento dell’organizzazione scolastica, mutuata da contesti basati sull’erogazione di singolarità di prodotto e su processi definiti in eventi circoscritti, re-identificabili e ripetibili, che fanno del funzionamento della scuola il fine, anziché lo strumento.

Uno stato di cose che impone una riaffermazione della centralità del processo di insegnamento/apprendimento all’interno del processo formativo e una riconsiderazione dello stesso individuo in apprendimento, non più come una pellicola da impressionare con sequenze di contenuti didattici, ma un “costruttore attivo della propria conoscenza, che va guidato nel processo di interazione con persone, strumenti, risorse, artefatti culturali diversi, al fine di fargli padroneggiare abilità di auto-controllo, auto-direzione (e di) auto-valutazione del proprio apprendimento”[4] e in cui la personalizzazione del percorso di apprendimento si presenta come la frontiera più avanzata per il raggiungimento di obiettivi formativi, prima ritenuti poco praticabili se non ambiziosi.

 

Efficacia dell’insegnamento: anatomia di una complessità

Un approccio all’efficacia dell’insegnamento non può non considerare la sua implicita complessità, che rinvia ad un corpo stabile di saperi disciplinari e a “una metodologia capace di promuovere un’azione educativa intenzionale, sistemica, organica e continua”[5], che ne fanno un dispositivo articolato e istituzionalmente determinato.

Tale complessità emerge dal carattere composito della sua natura pedagogica, ad un tempo processuale, contestuale, relazionale, pragmatica e plurale[6], che lo lega inscindibilmente all’ambiente di apprendimento, nelle sue dimensioni spaziali e temporali, del qui ed ora unico e irripetibile, in cui la teoria si mescola con la prassi per tradursi in comportamenti professionali, che tengano conto della pluralità dei soggetti in apprendimento e sappiano coniugare le azioni con gli obiettivi del percorso formativo.

Si tratta di caratteri che rendono l’insegnamento un’attività multiprospettica, che mal si presta ad essere ricondotta a forme di rappresentazione idealtipiche, universalmente valide. Il suo essere azione situata, connessa alle specificità del contesto di apprendimento, la rende, pur all’interno di un quadro teorico di riferimento, un’attività riflessiva condotta nel corso dell’azione, che ricava dalla pratica indicazioni per guidare, ri-strutturare e reimpostare la stessa azione[7], integrando costantemente competenze diverse riconducili al savoir, savoir faire, savoir être. Il suo carattere adattivo all’imprevedibilità e mutevolezza delle situazioni educative, rende, inoltre, difficile definire i fattori che ne qualifichino l’efficacia. Da qui la necessità di un approccio all’efficacia dell’insegnamento, più pragmatico che teorico.

Il recupero della dimensione empirica dell’insegnamento è essenziale per spostare la riflessione da un piano teorico ad uno di analisi degli aspetti della prassi professionale che possano evidenziarsi come fattori di efficacia dell’insegnamento. L’approccio pragmatico consente di entrare nel black-box del contesto di apprendimento che caratterizza lo specifico di quel micromondo di relazioni educative e di pratiche, rappresentato dalla classe. Ed è in questo contesto, sui comportamenti effettivi messi in atto, che si possono riscontrare quelle evidenze che rendono l’insegnamento un insegnamento efficace.

In questa direzione, dunque, l’adozione di un qualunque modello di analisi, che possa aiutare a descrivere, classificare, misurare ed interpretare quanto avviene nella classe, non può prescindere dal contesto di apprendimento, che gli attribuisce valori e significati condivisi, dal carattere dinamico del processo educativo e dalla specificità dei percorsi individuali e collettivi di formazione.

Quando, infatti, l’azione didattica si intreccia con valori/ideali, che rappresentano la missione formativa della scuola, di quella scuola in cui concretamente si svolge il processo di apprendimento, essa è chiamata ad un’azione di integrazione e di riconciliazione di visioni alternative, in cui ogni decisione è destinata a riverberarsi sull’agire formativo dei soggetti che compongono quella specifica comunità di apprendimento, rappresentata dalla classe. Da qui deriva il valore relativo dell’efficacia dell’insegnamento, il cui principio cardine è “la flessibilità delle scelte in funzione delle condizioni contestuali”[8]. È nel contesto, infatti, che si manifestano quelle influenze che permettono interazioni sociali, costruzione di significati e lo svolgimento di pratiche che favoriscono lo sviluppo delle competenze.

Nondimeno, mentre nei contesti di apprendimento collaborativi e interattivi, ogni partecipante ha l’opportunità di considerare la prospettiva dell’altro e di agire in termini riflessivi, tali da favorire un alto sviluppo cognitivo, sociale e affettivo, tale condizione risulterebbe difficile da realizzare in ambienti di apprendimento impostati su modalità trasmissive del sapere. L’insegnamento, in tal caso, finirebbe per replicare ad infinitum un sapere statico e decontestualizzato, in cui cade la relazione con la formazione del soggetto, con l’idea di cultura che esso deve rielaborare e che necessita, attraverso un dialogo personale continuo, di “riviverli il più possibile, di farli agire in sé, di suscitare in sè –attraverso di essi- orientamenti e vocazioni” [9]. L’insegnamento lineare, invece, finisce per ipostatizzare la relazione dinamica che lega l’insegnamento all’apprendimento, fino a negare alla radice il significato stesso di processo all’insegnamento/apprendimento.

Basta la sola considerazione di questi aspetti per comprendere la complessità cui dovrà far fronte un qualunque tentativo di approccio all’efficacia dell’insegnamento basato su procedimenti algoritmici di indagine. A differenza di questi modelli, la ricerca pedagogica, proprio perché ha nella sua natura l’incertezza, il probabile e il possibile, può disporre di strumenti di indagine che le permettono di andare là dove i primi si sono fermati, di comprendere l’ammutinamento delle variabili, la parzialità del punto di vista del ricercatore e di immergersi nella scatola nera dell’insegnamento/apprendimento, secondo una dinamica ricorsiva di ipotesi-progettazione-azione-valutazione-riflessione.

 


[1] J. Bruner, La ricerca del significato, Feltrinelli, Milano, 1994

[2] I segni rappresentano il medium comunicativo, la cornice di riferimento, entro cui leggere e interpretare i sistemi di relazione e di comunicazione interpersonale del contesto di apprendimento, le caratteristiche culturali e professionali dei docenti, le singole azioni didattiche. M. Pellery, Progettazione didattica, SEI, Torino, 1994

[3] L. S. Vigotskij, Mind and society, Cambridge Univertsity, New York, 1978

[4] L. Mason, Costruire conoscenze: contesti di insegnamento-apprendimento e processi formativi, in P. Orefice (a cura di), Formazione e processo formativo, Franco Angeli, Milano, 1997.

[5] R. Massa, Istituzioni di pedagogia e scienze dell’educazione, Editori Laterza, Bari, 1999.

[6] Vedi M. Castoldi, capitolo successivo.

[7] D. A, Schön, Il Professionista riflessivo, Edizioni Dedalo, Bari, 1993.

[8] M. Castoldi, Ibidem

[9] F. Cambi, Saperi e competenze, Laterza, Bari, 2004.

 

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