Analisi & Commenti

Il progetto qualità e la distruzione della scuola

29/09/2003

di Alberto Giovanni Biuso e Dario Generali
Centro Studi dell’AND

1. Il Progetto Qualità

Da qualche anno nelle scuole italiane è stato introdotto il Progetto Qualità. In che cosa consiste? Chi lo ha voluto? Quali sono i suoi obiettivi? Che cosa sta comportando per i docenti? Alcune delle risposte a queste domande si trovano in un testo del 1999 che si intitola Il libro verde della pubblica istruzione(1) . Si tratta di una vera e propria summa dei cambiamenti radicali voluti da Berlinguer e fatti propri –in gran parte e sull’argomento del quale stiamo discutendo- dall’attuale Ministro. Uno dei nuclei fondamentali della proposta consiste nell’introduzione, anche nel mondo scolastico, della Certificazione di qualità ISO, di cui si fregiano sempre più numerose aziende. Con essa verrebbe garantita al cliente la qualità delle procedure con le quali si confeziona un prodotto, un servizio, una merce. Lo strumento operativo per introdurre simili parametri e metodologie anche nel mondo scolastico è il Progetto Qualità.
È quindi evidente che l’aziendalizzazione dell’istruzione, che molti giustamente disapprovano, è stata introdotta dai governi del centro-sinistra. Dato che il sapere non è una merce e non può essere conseguito mediante le stesse procedure con cui si fabbricano un’automobile o uno spazzolino da denti, si potrebbe pensare che la maggior parte delle scuole abbia sensatamente respinto la proposta di ottenere il marchio Qualità. E all’inizio così è stato. Ma…talmente strategico è questo progetto per il rinnovamento dell’istruzione in Italia da indurre il Ministero a non erogare finanziamenti alle scuole che non accettino il Progetto Qualità. Un vero e proprio ricatto nei confronti dei docenti, del quale si sono fatti portatori -nella maggior parte dei casi- i nuovi Dirigenti Scolastici, sostenuto con entusiasmo (disinteressato?) da gruppuscoli di docenti in ogni Istituto, quasi sempre coincidenti con lo staff scelto dal Dirigente. Le scuole autonome hanno –ovviamente- bisogno di danaro; per ottenere i finanziamenti è condizione l’accettazione del Progetto Qualità; i Collegi Docenti non hanno avuto scelta e –anche se tra discussioni, opposizioni, lamentele- hanno approvato i Progetti Qualità e le procedure per l’ottenimento del “bollino ISO 9000”. Ciò significa che i singoli Istituti hanno dovuto devolvere parte del loro scarso bilancio a delle società private specializzate nella Certificazione della qualità ISO –in media 10.000 Euro a scuola. Ecco un notevole esempio del modo in cui in Italia si spreca il danaro pubblico. E perché di uno spreco si tratti, lo dimostreremo più avanti, parlando delle concrete procedure di ottenimento della certificazione.

2. Qualità e toyotismo

Nei processi produttivi, il Progetto Qualità è stato inventato dalla casa automobilistica giapponese Toyota, dal quale ha quindi preso nome il toyotismo, un nuovo sistema di produzione volto a sostituire nelle fabbriche e nelle aziende il vecchio fordismo. Che cosa sia il toyotismo nella sua applicazione al mondo della scuola è ormai un’esperienza dolorosamente condivisa da tutti i docenti. Di pari passo all’attuazione, quantunque ristretta e più dichiarata che reale, dell’autonomia si è venuto infittendo il dibattito relativo ai nuovi modelli di professionalità docente, funzionali al mutato quadro normativo. In linea con l’immagine impiegatizia della professione docente sostenuta ed accreditata dal sindacalismo confederale, da Confindustria e da quelli che, da diverse legislature, il Ministero della Pubblica Istruzione aveva individuato come esperti del settore, si è sempre più identificata questa nuova professionalità con le competenze organizzative, progettuali e sistemiche, giungendo ad indicare appunto il toyotismo(2) come un modello esemplare a cui cercare di far adeguare i comportamenti degli insegnanti e di tutto il personale della scuola, con il quale i primi avrebbero dovuto collaborare su un piano di parità e di complementarità professionale. Da qui il fiorire di corsi d’aggiornamento gestionali, organizzativi, di psicologia dei gruppi, addirittura di acquisizione e gestione della leadership e altro ancora di questo genere. La caratteristica comune di tutti questi corsi era poi quella di richiamare un impianto di natura aziendalistica e di presentarsi come «un tentativo esemplare di normalizzazione dell’eterogeneità ideologica dei docenti, come un primo, significativo passo verso l’eliminazione dell’odiata libertà d’insegnamento. L’organizzazione di uno sforzo sistematico di trasmissione gerarchica – dal centro alla periferia, dagli ispettori agli insegnanti – di un pensiero unico, di un verbo pedagogico dato per assoluto, necessario, indiscutibile»(3) .
Le nuove parole d’ordine pedagogiche del toyotismo scolastico sono costituite da slogan quali «successo formativo garantito a tutti», «customer satisfaction», «efficienza ed efficacia dell’insegnamento». Come raggiungere questi straordinari obiettivi? Per rispondere, proviamo ad analizzare un modulo (il 210-A) pensato nell’ambito del Progetto Qualità, dedicato al «Piano di progetto / Programmazione didattica», utilizzato in una scuola della Lombardia. Il modulo si compone di cinque pagine, in ognuna delle quali sono inserite –oltre al nome della scuola- la data e il numero di revisione del documento. Nella prima pagina va indicato il tipo di Istituto (Liceo, ITC, Professionale, se tradizionale o sperimentale), le denominazioni del progetto/materia, degli insegnanti coinvolti, della commissione (ovviamente esiste anche una «Commissione Progetto Qualità»). Lo spazio successivo si occupa delle finalità e degli obiettivi. A pagina 2 troviamo sette colonne dedicate rispettivamente alle Attività (suddivise a loro volta in Fase 1, Fase 2, Fase 3), agli obiettivi, ai contenuti, al tipo di verifica, alla durata in ore, alla data di inizio, alla data finale. Nella terza pagina le colonne sono tre: tipo di verifica, indicatori di performance (da 1 a 6), il giudizio/voto (da 1 a 6 anch’esso); nella parte in basso si trova una sezione dedicata alla validazione del progetto con i rispettivi indicatori di validazione. Pagina 4: livelli classe (alto, medio, basso), obiettivi trasversali considerati, obiettivi specifici considerati, risultati attesi, risorse umane, risorse materiali. Infine, a pag. 5 troviamo di nuovo l’indicazione dell’attività, la metodologia/strumenti, i contenuti, i risultati attesi, la durata, la data iniziale, quella finale, il tipo di verifica utilizzato. A conclusione del tutto campeggiano il numero di edizione del documento, la data, il nome di chi lo ha redatto, controllato (il “Team di Lavoro”), approvato.
Quale il fine di questa barocca proliferazione di colonne, righe, moduli, che vanno riempiti ogni giorno, da parte di ogni
docente, per ogni tipo di attività svolta (lezione frontale, esercitazione scritta, verifica orale, ore di laboratorio, utilizzo del videoproiettore e ogni altra possibile attività didattica)? Le risposte ufficiali sono: ottimizzare le risorse, ridurre gli sprechi, verificare le attività. Gli obiettivi reali, consapevoli o meno, di questa metastasi aziendalistica, di questo cancro che sta uccidendo la scuola pubblica in Italia dopo averla annientata negli Stati Uniti, sono: la mercificazione del rapporto educativo, la cancellazione della libertà di insegnamento, la burocratizzazione estrema dell’attività scolastica, la trasformazione/riduzione del sapere in una merce prodotta con gli stessi metodi che la Toyota adotta per costruire le sue automobili.
I colleghi che hanno dovuto sottoporsi a simili procedure aziendalistiche ci hanno riferito alcuni dei risultati: crollo dell’efficacia didattica anche a causa della quantità di tempo impiegata nel dover compilare i moduli, rinuncia a molte attività precedentemente svolte, crescita esponenziale della competizione e della conflittualità interna agli Istituti. Ma “il bello” (per così dire) è che alla fine dell’anno gli ispettori incaricati della verifica di questi processi hanno approvato tutto –qualunque fosse stato il livello “di qualità” raggiunto- con la motivazione che si tratta di un’esperienza iniziale e quindi da “valutare con comprensione”. Un enorme spreco di energie umane, di risorse economiche, di tempo, che non può che avere come sua conseguenza diretta un depauperamento culturale degli studenti. Perché non si deve dimenticare che la customer satisfaction assunta come obiettivo in una scuola è sempre esiziale, poiché se fosse necessario ottenere la soddisfazione dei genitori considerati come clienti, sarebbe necessario fingere una scuola severa nelle sue manifestazioni formali, ma poi tollerantissima nei suoi aspetti sostanziali: a nessuno piace veder bocciare il proprio figlio, quantunque lo meriti a pieno titolo. Se il criterio dovesse essere quello di mantenere il cliente a tutti i costi, andrebbe da sé che l’ultima cosa da fare sarebbe quella di bocciare studenti, come, in effetti, accade nella maggior parte delle scuole private oggi esistenti(4) .

3. Complessità e qualità reale dell’insegnamento

Noi crediamo che la vera qualità dell’insegnare e dell’apprendere richieda paradigmi completamente diversi, a cominciare dall’analisi critica di alcuni complessi fenomeni che riguardano il modo in cui si producono, si diffondono, si apprendono le informazioni e le conoscenze nella nostra società. Bisogna, infatti, avere la piena consapevolezza di almeno tre fattori:

a) Quantità delle conoscenze/informazioni

b) Interazione fra le conoscenze/informazioni

c) Veloce obsolescenza delle conoscenze/informazioni.

Sono elementi, questi, che richiedono una nuova identità del docente, il quale per rimanere all’altezza della complessità deve:

a) dedicare tempo e attenzione a un aggiornamento costante di ciò che sa e che insegna

b) ampliare le informazioni al di là del proprio specifico ambito di insegnamento

c) saper vagliare ciò che merita di essere insegnato rispetto al superfluo, all’effimero, al semplicemente informativo.

Complessità implica infatti anche l’impossibilità di inseguire altre agenzie informative (televisione, stampa, soprattutto Internet) sul terreno dell’attualità, del cronachistico, del quotidiano per favorire invece:

a) la rielaborazione critica delle informazioni

b) il confronto costante e aperto fra le diverse posizioni degli allievi

c) l’apprendimento di un metodo di lavoro, di conoscenza, di ricerca piuttosto che il sommarsi puramente quantitativo dei contenuti.

Come dovrebbe essere ormai chiaro, dicotomie politiche quali destra/sinistra non hanno più senso se ricordiamo –e dobbiamo ricordarlo- che i processi di aziendalizzazione e distruzione del sapere che abbiamo cercato di descrivere sono stati imposti dal governo dell’Ulivo e proseguono senza alcun ripensamento con l’attuale maggioranza politica. In questo senso, crediamo che il Ministro Moratti sia di fatto l’esecutrice testamentaria della nefasta opera berlingueriana.

Non è quindi dal Ministero, non è dai pedagogisti alla moda, non è dagli efficientismi dell’ultima ora che si può sperare la salvaguardia della scuola dal tumore aziendalistico. La scuola è –ancora una volta- nelle nostre mani, nella mani di chi insegna. Sta a noi, quindi e prima di tutto:

a) sentirci professionisti e non impiegati

b) affrontare l’esperienza quotidiana in classe come una sfida, una possibilità, una ricchezza e non solo come il peso che sempre il lavoro rappresenta

c) e, per far questo, gestire la nostra professione con autonomia didattica, organizzativa, culturale

Anche dal punto di vista giuridico, i docenti non hanno nessuna autorità sopra di loro. Direttori e presidi svolgono una funzione di coordinamento e di controllo amministrativo; per il resto la nostra è una professione apicale, il che vuol dire che il suo concreto, effettivo, svolgimento dipende da noi. Ogni effettiva autonomia comporta anche la responsabilità dei risultati. Solo quando accetteremo questa implicazione non saremo più degli impiegati qualsiasi del Ministero dell’istruzione ma diventeremo davvero i professionisti che già siamo: gli esperti dell’insegnamento, i gestori dell’apprendimento e soprattutto i maestri di vita. Essere maestri in questo significato antico e sempre nuovo: è tutta qui la nostra professione, è tutta qui la qualità della scuola.

(Novembre 2003)
__________

(1) F. Butera (a cura di), Il libro verde della pubblica istruzione, prefazione di Luigi Berlinguer, introduzione di Vittorio Campione, Angeli, Milano 1999.

(2) Ivi, pag. 45.

(3) A. G. Biuso – D. Generali, Il corso di formazione delle “Funzioni Obiettivo” della Provincia di Milano, «il Voltaire», 5, 2000, p. 22.

(4) D. Generali, Confronto critico o libera concorrenza? I limiti del mercato nell’istituzione scolastica, , «il Voltaire», 2, 1999, pag. 13

 

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