Di Francesco Greco
Insegnare nella scuola dell’infanzia ritengo sia un’esperienza affascinante, faticosa ma sicuramente unica, per la peculiarità degli allievi che la frequentano.
I bambini, sicuramente, non si presentano come “tabulae rasae” su cui fissare contenuti di apprendimento; certamente si presentano con il loro piccolo universo di esperienze e di conoscenze non contaminato dalle discipline, cioè da quella forma di organizzazione del sapere che si definisce man mano che si prosegue negli studi, fino a divenire sempre più strutturata e fine. Ai livelli più alti degli studi, l’iperspecializzazione, l’attenzione sul particolare tende a divenire così forte che spesso perde di vista il generale, vede l’albero, ma non la foresta. Per il bambino questo non avviene, egli cerca sempre di collegare le nuove esperienze a quelle che già possiede e, in questo comportamento cognitivo, esprime una certa unità del suo sapere.
Recenti studi hanno evidenziato l’importanza di questo segmento di istruzione mettendo in relazione l’investimento nei primi anni di vita scolastica con gli esiti scolastici successivi e i successi lavorativi. L’analisi dei costi e dei benefici evidenzia come maggiori sono gli investimenti, maggiori sono le probabilità di proseguire con successo negli studi successivi e che più tardi si interviene più costoso diventa rimediare a comportamenti e ad esiti scolastici negativi. Gli interventi successivi devono, infatti, sostenere anche i costi di modificare situazione problematiche già consolidate. D’altronde, questo avviene in ogni campo, in cui diventa importante la corretta impostazione e definizione delle condizioni di partenza. L’intervento educativo sui bambini della scuola dell’infanzia sicuramente avrà un effetto cumulato nel tempo e, pertanto, per alcuni aspetti, predittivo del loro agire sociale, del loro futuro scolastico e lavorativo.
Al pensiero di questa grande responsabilità che incombe sugli insegnanti della scuola dell’infanzia, non può non andare anche il riconoscimento e la gratitudine dei futuri uomini, e dei loro genitori, per il contributo che essi avranno saputo dare nel favorire la loro crescita culturale, umana e professionale. Un pensiero che è anche il cuore di questo importante momento celebrativo della scuola dell’Infanzia statale.
Insegnare, una professione delicata e complessa
Ogni lavoro ha le sue peculiarità, il lavoro del docente ha le sue che lo rendono delicato e complesso. Il docente ogni mattina deve affrontare mutevoli situazioni e molteplici sono le persone con le quali deve interagire; ogni mattina, nello svolgimento della sua attività, deve mobilitare e curvare le sue competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionale alle specificità del gruppo, o dei gruppi classe, nel quale svolge la sua attività di insegnamento, ai bisogni educativi e formativi degli studenti. Tutto ciò richiede padronanza dei nuclei fondanti della propria disciplina, profonda conoscenza dei quadri concettuali ed epistemici del sapere che deve trasmettere e far acquisire ai suoi allievi.
Il docente deve saper connettere informazioni, concetti, valori afferenti al quadro dei saperi del suo insegnamento; egli è chiamato a rendere significative, interessanti, rilevanti e motivanti le conoscenze. Se la conoscenza viene vissuta come scoperta, diviene quasi certamente patrimonio duraturo dell’universo dei saperi della persona che apprende, diversamente rischia di essere collocata in quella parte di memoria labile, temporanea, che presto lascerà il posto ad altre conoscenze.
Proprio per questo, egli deve ogni giorno immaginare e progettare la sua attività e ciò implica decisioni, selezione costante di contenuti e di metodologie rispetto ad obiettivi, aree di conoscenza e risultati attesi.
Il ruolo della formazione
In tutto questo il ruolo della formazione è essenziale, il docente, come ogni professionista, non può non mantenere un rapporto costante con i saperi del suo insegnamento, con gli avanzamenti delle conoscenze e delle tecniche, delle metodologie e delle migliori pratiche. Dal confronto con altre esperienze e realtà può ricevere indicazioni per riorganizzare il proprio lavoro e migliorare le metodologie didattiche. L’esplorazione e l’approfondimento dei campi del suo sapere disciplinare e l’attenzione alle acquisizioni scientifiche possono stimolare atteggiamenti riflessivi-propositivi e contribuire ad accrescere i saperi disciplinari e la qualità dell’insegnamento.
Per favorire quest’approccio cognitivo-riflessivo, però, il docente deve essere messo nelle condizioni di selezionare e scegliere, in relazione ai suoi bisogni, le attività di aggiornamento e di formazione che ritiene le più opportune e corrispondenti al quel particolare momento del suo percorso professionale e agli impegni che derivano dai suoi attuali incarichi di lavoro. Egli deve poter mantenere verso ogni forma di sapere, e dunque anche verso ogni attività di formazione che si propone di approfondirlo o di spiegarlo, un approccio aperto e critico. Solo da un’interazione culturale consapevole e motivata, da cui possano derivare elementi importanti di crescita delle proprie conoscenze e competenze professionali, potranno esserci ricadute sui contesti educativi e nella pratica didattica.
Il docente, un professionista responsabile della sua formazione
Proprio per questo, la formazione non deve essere mai concepita come un mero adempimento burocratico, ancor di più come attività imposta o calata dall’alto, ma deve rispondere adeguatamente alle esigenze culturali e professionali del docente a cui si rivolge. Va da sé, che la formazione dei docenti, pur riguardano i singoli, può interessare l’ambito sociale, e l’ambiente di pratiche condivise, all’interno del contesto classe – scuola che delimitano l’ambiente scolastico.
Una formazione, dunque, lasciata alla libera scelta del docente, non obbligatoria e non condizionante il suo sviluppo professionale. Il docente deve poter valutare i propri bisogni formativi, il contesto in cui opera e le esigenze che questo pone, riscontrare lo stato delle sue conoscenze, delle sue abilità e competenze, e decidere, se necessario, di scegliere a quali attività di formazione partecipare per rispondere alle sollecitazioni ad approfondire, acquisire nuovi contenuti di conoscenza e nuove metodologie didattiche che lo sviluppo dei saperi richiede.
A questa libertà potrebbero non rispondere quelle attività di formazione predisposte dall’amministrazione che interessano modifiche ordinamentali, solo in tal caso, troverebbe ragione, e giustificazione, la formazione obbligatoria, non altrettanto per le attività di formazione che riguardino aspetti metodologici didattici e saperi disciplinari che devono rimanere nell’alveo dell’autodeterminazione professionale del docente.
Francesco Greco
*Testo della relazione per il Seminario celebrativo/formativo, 50 anni dalla nascita della scuola dell’Infanzia statale, “CHI BEN COMINCIA…” – Sabato 12 Maggio 2018, Scuola secondaria di primo grado “A. De Santis”, Marina di Minturno (LT)