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Condizione dei docenti italiani, dalle indagini internazionali un quadro impetuoso

di Redazione

L’indagine della Rete europea Eurydice, pubblicata in coincidenza con la Giornata mondiale degli insegnanti, descrive un quadro puntale ed analitico delle retribuzioni degli insegnanti e dei capi di istituto delle scuole in Europa.


Dall’indagine emerge la non poco lusinghiera situazione che riguarda la condizione degli insegnanti italiani, nel confronto con quella degli altri paesi europei: bassi stipendi, assenza di carriera, lungo precariato.

Anche il rapporto OCSE 2022, conferma che le retribuzioni degli insegnanti italiani sono in coda alle classifiche Ocse. In media, gli insegnanti della scuola primaria tendono a guadagnare meno, mentre gli insegnanti della scuola secondaria superiore generalmente guadagnano di più. Nella maggior parte dei Paesi, le differenze di stipendio tra i vari livelli di istruzione sono pertanto legate alle differenze nei requisiti minimi di qualifica richiesti per diventare insegnante. L’Italia, da questo punto di vista, risulta una delle poche eccezioni, poiché gli stipendi iniziali di base degli insegnanti del livello secondario sono più alti rispetto a quelli del primario, pur dovendo possedere tutti gli insegnanti una laurea magistrale, come titolo di accesso alla professione.

Anche il potenziale di aumento degli stipendi di base nel corso della carriera varia notevolmente. A seconda del Paese, infatti, gli stipendi iniziali possono aumentare durante la carriera di un insegnante dal 16% (in Danimarca e Serbia) al 143% (a Cipro). Il numero medio di anni necessari per raggiungere il massimo della retribuzione va dai 12 anni in Danimarca ai 42 anni in Ungheria. In Irlanda, Cipro, Paesi Bassi e Polonia, lo stipendio iniziale degli insegnanti può aumentare di oltre il 60% nei primi 15 anni di servizio.

Ci sono poi paesi, e questo è anche il caso dell’Italia, in cui gli insegnanti hanno bisogno di una significativa anzianità di servizio per raggiungere aumenti di stipendio piuttosto modesti. Nel nostro paese, infatti, gli stipendi iniziali degli insegnanti raggiungo il livello più alto solo dopo 35 anni di servizio. Più o meno lo stesso accade in Spagna dove gli insegnanti raggiungono l’aumento massimo del 42% dopo ben 39 anni di servizio.

Infine, per quanto concerne i capi di istituto, in Europa, sono quasi sempre pagati su una scala retributiva diversa rispetto a quella degli insegnanti e i loro stipendi spesso aumentano in base alle dimensioni della scuola. Inoltre, le responsabilità e l’esperienza dei capi di istituto determinano differenze significative nei loro stipendi nella maggior parte dei sistemi educativi.

In alcuni sistemi educativi lo stipendio minimo di base dei capi di istituto è inferiore allo stipendio degli insegnanti con 15 anni di esperienza. In molti altri, invece, è superiore in tutti i livelli di istruzione. In Italia, lo stipendio minimo di base per i capi di istituto è, per esempio, il doppio dello stipendio di un insegnante con 15 anni di servizio.

Le conoscenze e le abilità degli insegnanti e dei capi di istituto, così come il loro impegno nel lavoro, sono fattori essenziali per il raggiungimento di risultati educativi di alta qualità. E’ dunque importante che quelli impiegati per insegnare e dirigere scuole, siano i più qualificati e in grado di soddisfare le nuove esigenze poste dalla professione. Nell’attuale società ci si aspetta che gli insegnanti non trasmettano solo nozioni ma che fungano da facilitatori dell’apprendimento, che sostengano l’uso delle nuove tecnologie e della comunicazione; mentre i capi di istituto devono fornire la leadership per il personale, sostenere il loro sviluppo professionale, migliorare le prestazioni scolastiche, gestire le risorse finanziarie.

Inoltre, la crisi del COVID-19 ha notevolmente aumentato le sfide da affrontare sia per gli insegnanti che per i capi d’istituto. La chiusura fisica delle scuole e il rapido passaggio all’apprendimento istantaneo è stato un test per la loro resilienza e adattabilità. La pandemia da COVID-19 e il rapido passaggio dalla didattica in presenza a quella a distanza hanno ulteriormente sottolineato il fondamentale ruolo svolto dagli insegnanti nel fornire a tutti gli studenti parità di accesso a un apprendimento di qualità. Come evidenziato nella Comunicazione della Commissione europea sulla realizzazione dello spazio europeo dell’istruzione entro il 2025, “gli insegnanti, i formatori e il personale didattico sono il fulcro dell’istruzione” […] e svolgono il ruolo più importante nel rendere l’istruzione un’esperienza proficua per tutti i discenti”.

Le condizioni di lavoro degli insegnanti non sono sempre competitive sul mercato del lavoro, come evidenziato dalla relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione (“Education and Training Monitor”, Commissione europea, 2019, pp. 39-40), da cui si evince, per esempio, che spesso gli insegnanti guadagnano meno di altri lavoratori con un’istruzione di pari livello e questo può incidere sulla capacità di assumere insegnati e mantenerli in servizio. Inoltre, sono aumentati il carico di lavoro e le aspettative: gli insegnanti si trovano di fronte a situazioni “sempre più impegnative in termini di ruoli da svolgere, responsabilità da assumere e aspettative da soddisfare di discenti, dirigenti scolastici, responsabili delle politiche, genitori e comunità”. Oltre all’insegnamento, devono spesso fare fronte a numerosi compiti amministrativi, partecipare alla gestione scolastica, fornire supporto e orientamento ai discenti, pianificare e trovare tempo per una collaborazione tra pari, continuando nel contempo a sviluppare e mantenere la qualità del loro insegnamento e i risultati dei discenti in termini di apprendimento. Infine, la pandemia da COVID-19 ha recentemente esercitato una pressione senza precedenti sugli insegnanti, i quali si sono dovuti adattare rapidamente al nuovo ambiente di lavoro digitale, che per alcuni ha comportato un aumento del carico di lavoro incidendo sull’equilibrio tra vita privata e professionale.

La complessità e la varietà delle competenze richieste rappresenta una sfida per tutta l’istruzione nazionale. Per quanto riguarda le prospettive di carriera, la capacità di offrire percorsi multipli per la progressione di carriera può aumentare la motivazione degli insegnanti a scegliere la professione e a rimanervi e quindi, l’attrattività del lavoro12. Il Gruppo di lavoro ET 2020 ha sottolineato l’importanza di vedere la scuola sotto una prospettiva diversa, ovvero di non considerare più l’insegnamento come una professione isolata, confinata e unidimensionale, bensì come un ruolo interconnesso con la famiglia più allargata delle varie professioni nel settore educativo permettendo a ciascun individuo di progredire in percorsi di carriera multipli, diversificati e di arricchimento professionale (Commissione europea, 2020).

La remunerazione è un elemento chiave per rendere l’insegnamento una professione più attraente insieme ad altri fattori, quali, condizioni di lavoro, prospettive di carriera, opportunità di sviluppo professionale e riconoscimento. La remunerazione gioca un ruolo importante nell’attirare le persone alla professione e nella professione garantire che gli insegnanti in servizio si sentano apprezzati e sufficientemente motivati per fornire un insegnamento di alta qualità.

Questa questione diventa sempre più importante poiché le autorità educative in molti Paesi Europei devono affrontare la carenza di insegnanti e l’invecchiamento delle Politiche che incidono sui guadagni e sulle prospettive di carriera degli “occupati” nell’istruzione. Il settore dovrebbe pertanto essere parte integrante di strategie globali per migliorare l’attrattiva della professione docente, sia per gli insegnanti in servizio che per i potenziali candidati.

In Italia, per il nuovo esecutivo, il rinnovo del contratto e l’aumento delle retribuzioni potrebbe essere un buon viatico per ristabilire un buon rapporto con il mondo della scuola. Le retribuzioni dei docenti italiani sono in coda a tutte le classifiche, l’Italia è l’unico Paese in cui gli stipendi sono sostanzialmente fermi, anzi rispetto al potere di acquisto sono diminuiti, mentre in tutti gli altri paesi sono mediamente aumentati del 6%.

Ciò che emerge dall’indagine è che la scuola italiana è fatta in gran parte da buoni insegnanti, ma la cui bravura è spesso azzerata da un’organizzazione burocratica e centralizzata. Infatti, ormai è nota la condizione in cui versano gli insegnanti, che rispecchia la debolezza di un sistema scolastico che appare non reggere più le difficoltà di una società attraversata da profonde fratture sociali e ove strati sempre più ampi di popolazione rasentano la soglia della povertà con evidenti effetti sulle difficoltà che interessano tanti studenti. La scuola non è, e non deve essere considerata un costo, ma un investimento sociale da cui dipende il presente e il futuro di un Paese.

 

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