Articolo tratto da: Repubblica.it
La sentenza ha riaperto il processo a carico di una mamma toscana accusata di ingiuria ai danni della docente di sua figlia
Il genitore che insulta un insegnante per questioni inerenti il rendimento scolastico del proprio figlio non compie una semplice ingiuria, ma rischia di dover rispondere del ben più grave reato di oltraggio a pubblico ufficiale. Lo si evince da una sentenza con cui la quinta sezione penale della Cassazione ha riaperto il processo a carico di una mamma toscana, accusata di ingiuria ai danni di una docente di scuola media, insegnante di sua figlia.
Il giudice di pace di Cecina – i fatti sono avvenuti in una scuola di Rosignano Solvay – aveva dichiarato il non luogo a procedere nei confronti della donna, ma il procuratore generale di Firenze aveva presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che l’episodio andava inquadrato non nel delitto di ingiuria, ma in quello di oltraggio a pubblico ufficiale, e dunque di competenza del tribunale e non del giudice di pace. La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso e, annullando la decisione del giudice di pace, ha trasmesso gli atti alla Procura di Livorno. “Sussistono tutti gli elementi”, si legge in una sentenza depositata oggi, del reato “di oltraggio a pubblico ufficiale”, caratterizzato dalla “offesa all’onore e al prestigio del pubblico ufficiale” che “deve avvenire alla presenza di più persone”, “essere realizzata in luogo pubblico o aperto al pubblico” e “avvenire in un momento nel quale il pubblico ufficiale compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni”.
Il reato di oltraggio, abrogato nel 2005, è stato reinserito nell’ordinamento nel 2009: oggi a qualificare il reato non è la “mera lesione in sè dell’onore e della reputazione del pubblico ufficiale”, quanto, spiega la Cassazione, “la conoscenza di tale violazione da parte di un contesto soggettivo allargato a più persone presenti al momento dell’azione, da compiersi in un ambito spaziale specificato come luogo pubblico o aperto al pubblico e in contestualità con il compimento dell’atto dell’ufficio ed a causa o nell’esercizio della funzione pubblica”. Il legislatore “incrimina – si legge nella sentenza – comportamenti ritenuti pregiudizievoli del bene protetto a condizione della diffusione della percezione dell’offesa, del collegamento temporale e finalistico con l’esercizio della potestà pubblica e della possibile interferenza perturbatrice col suo espletamento”. Nel caso in esame, concludono i giudici di piazza Cavour, “tali elementi sussistevano” poichè “le ingiurie furono pronunciate nei locali scolastici in modo tale da essere percepite da più persone”; inoltre “l’insegnante
di scuola media è pubblico ufficiale” e “l’esercizio delle sue funzioni non è circoscritto alla tenuta delle lezioni, ma si estende alle connesse attività preparatorie, contestuali e successive, ivi compresi gli incontri dei genitori degli allievi”.