Analisi & Commenti

Dal lavoro nero al lavoro… grigio e…… le ricadute sulla formazione

10/06/2003

in margine al dlgs sulla riforma del mercato del lavoro


Una amara ironia

Sembra che alcune forze politiche, in seguito all’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del primo schema di decreto legislativo applicativo della legge delega 30/03, abbiano intenzione di proporre un’ulteriore modifica alla Costituzione! Si tratterebbe di un emendamento aggiuntivo all’articolo 1, comma 1, la cui nuova versione sarebbe la seguente:
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro precario”.


Le priorità dell’educazione nelle società complesse

A parte l’amara ironia, vi sono alcune serie considerazioni da fare sui contenuti del decreto e sulle ricadute che le soluzioni prospettate, in termini di occupazione e mercato del lavoro, potranno avere nel mondo della formazione.
Ma perché chi si occupa di scuola e di formazione deve mostrare interesse ad un decreto che riguarda il mondo del lavoro?
Il fatto è che il lavoro e l’educazione non costituiscono più oggi, e tanto meno domani, due mondi a sé stanti, ma due aspetti, pur autonomi ma interagenti, di una medesima realtà in cui opera l’uomo/cittadino/lavoratore che, nelle società ad alto sviluppo, non cessa mai di apprendere e di svolgere contestualmente un ruolo attivo per tutta la sua esistenza. Non c’è ricerca educativa e sociopedagogica – ed a livello internazionale soprattutto – che non affermi che è finita l’epoca in cui “prima” si studia e “poi” si lavora. Esiste un continuum tra formazione e lavoro e viceversa, reso ancora più forte dal fatto che ormai nelle società avanzate il lavoro attinge sempre più al cervello che alle mani.
Comunque, ci sono sempre alcuni passatisti che temono che da qualche parte si voglia subordinare la formazione (e l’educazione e l’istruzione) alle esigenze dell’industria, ma non è così! La questione è un’altra: che mai nella storia dell’uomo c’è stata “educazione” in astratto, decontestualizzata dalle esigenze conoscitive e produttive di “quel” determinato assetto sociale! Rivendicare l’autonomia dell’educazione non può significare il suo isolamento! Se questo nesso – in forme sempre diverse, ovviamente – c’è sempre stato, ciò comporta in primo luogo che in una società avanzata e complessa come la nostra (come quella di tutti i Paesi ad alto sviluppo) tali legami vadano rintracciati e analizzati per quello che sono!
E questi legami consistono proprio nel fatto che la “società della informazione e della conoscenza” – che non è uno slogan né un luogo comune – esige, appunto, che la capacità di gestire e produrre le informazioni e quella di acquisire e produrre conoscenze costituiscono una delle finalità prime di qualsiasi processo formativo. Ed è con questa priorità che si misura l’autonomia dell’educazione e del sistema di istruzione.

I cambiamenti nell’assetto produttivo e nella forza lavoro

Se queste sono le premesse teoriche e le prospettive pratiche, il ruolo del lavoro è sempre più affidato alla responsabilità personale, allo spirito di ricerca, alla inventiva, all’uso intelligente delle tecnologie, alla capacità di lavorare in team e – perché no! – anche allo spirito imprenditoriale. Ed il lavoro dovrebbe assumere un rilievo ed un peso, per la persona e per la società, ben diversi da quelli della tradizione millenaria, quella del lavoro come fatica, sofferenza, castigo!
I nostri padri Costituenti avevano avvertito che il fondamento di un nuovo Stato potesse e dovesse consistere, appunto, nel lavoro. E si trattò di una grande svolta, concettuale, civile, politica. E scrissero quel precetto costituzionale grazie al quale il lavoro non va inteso come una condanna, ma come una connotazione strutturale e civile della nuova Italia repubblicana e dei suoi cittadini: il lavoro come dignità della persona, come un valore connaturato con lo stesso essere cittadini.
E va anche detto che quel precetto costituzionale costituiva più un auspicio che la rappresentazione di una realtà. Era l’Italia del secondo dopoguerra in cui la forza lavoro era ancora quella classica, costituita da contadini, operai, artigiani, impiegati. E si era ancora lontani da quel boom socioeconomico che tra gli anni Cinquanta e Sessanta avrebbe cominciato a stravolgere il nostro assetto produttivo e la composizione stessa della forza lavoro.
Lo sviluppo economico e tecnologico, dei rapporti di produzione, dei processi lavorativi e dello stesso tenore di vita ha comportato l’insorgere di figure professionali sempre nuove e diverse che hanno imposto una sorta di riscrittura di mestieri, occupazioni, attività, competenze. Per non dire delle ulteriori modifiche imposte dai flussi immigratori, dai nuovi rapporti che si sono determinati tra domanda e offerta di lavoro. Si tratta di fenomeni complessi, ampliamente studiati dai diversi istituti di ricerca nazionali ed internazionali, a fronte dei quali era pur necessario operare in termini istituzionali e legislativi.
La legge Treu e la legge Biagi (la 196 del ’97 e la 30 di quest’anno) hanno recepito queste esigenze ed hanno dato il via a provvedimenti quanto mai attesi e necessari, ma…

L’occupazione “fai da te”!

A fronte di un mercato del lavoro estremamente variegato, oggi – cosa che nessuno nega – era opportuno individuare linee di tendenza ma anche dei vincoli, all’interno dei quali “leggere” la complessità del fenomeno in termini politici ed istituzionali e “regolarlo” in termini legislativi.
Lo schema di decreto approvato il 6 giugno dal CdM, invece, non fa altro che prendere atto – se si può dire così – dell’esistente e farne una semplice, ma assai pericolosa, fotocopia! Si tratta di una semplice legittimazione dell’esistente! Insomma, laddove sarebbe stato assolutamente necessario mettere ordine, fissare dei paletti, si dà invece l’avvio ad una vicenda contrattuale frammentaria e frammentatissima che a chi offre lavoro darà scarsissime garanzie e a chi avanza la domanda darà tutte le possibilità immaginabili ed inimmaginabili di “giocare al ribasso”!
Quando Luciano Gallino su “La Repubblica” del 7 giugno bolla lo schema di decreto con un articolo intitolato L’occupazione usa e getta, interpreta pienamente lo spirito e la lettera delle intenzioni di questo Governo! Andrei oltre! Sembra aprirsi una prospettiva di occupazione “fai da te”! Hic Rhodus, hic salta! E salti chi può!
Mi limito ad enunciare alcuni dei “punti forti” del decreto: il contratto di inserimento (ex contratto di formazione-lavoro), il progetto individuale di inserimento (ex rapporti di collaborazione coordinata e continuativa), lavoro intermittente o a chiamata, lavoro ripartito o a coppia, lavoro interinale o in affitto, lavoro occasionale, lavoro a tempo parziale (part time). Sono altrettanti articoli che vanno letti ed analizzati con estrema attenzione, e si evincerà che il datore di lavoro godrà di margini di manovra assai ampi.
Nella relazione che accompagna il decreto si legge che i provvedimenti enunciati favoriranno l’emersione del lavoro nero, ma in effetti ne permettono la legittimazione, perché contratti non scritti di questo tipo già ce ne sono a iosa. In effetti non cambia nulla oppure, se si vuole, si può dire che si passa da un lavoro certamente nero ad un lavoro chiaramente… grigio!
La questione dell’apprendistato meriterebbe una attenzione maggiore; nel decreto se ne indicano tre tipologie: a) per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione; b) professionalizzante; c) per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione. A mio vedere, su tale questione pesa positivamente tutta una ricerca pregressa dalla quale emergono linee che non possono essere disattese. Né ritengo che il decreto debba essere respinto in toto; c’è tutta una prima parte (i primi quattro titoli) che ha un suo rigore, anche se meriterebbe una analisi mirata.
Ma ciò non toglie che le attese più importanti, quelle soprattutto dei giovani in cerca di prima occupazione, siano largamente disattese!

Le ricadute sulla formazione

Le modalità con cui nel decreto si “leggono”, si descrivono e si legittimano le possibilità occupazionali che oggi una società estremamente articolata, complessa, flessibile offre, sono preoccupanti per almeno due motivi.
Il primo riguarda il modo stesso con cui una parte politica “legge” oggi il lavoro: una sorta di parco giochi in cui si entra e si esce a piacimento! Ma… cui prodest? Si offre un lavoro apparentemente facile allo stesso modo con cui si mettono in vendita automobili sempre più veloci e non ci si preoccupa di educare ad una guida sicura! Tutto appare agevole e forse divertente, si usa e si getta quando si vuole, quando, però, come spesso avviene… non si viene gettati via! Sul guard rail dell’autostrada, come ai margini del mercato del lavoro, di quello autentico, però, che è ben più duro di quanto non appaia dal decreto!
Come siamo lontani dalla Repubblica fondata sul lavoro! Con il decreto si vuole diffondere invece, e con sottile sapienza, l’errata consapevolezza che il lavoro flessibile è anche intercambiabile… Si rischia di generalizzare e legittimare, purtroppo, certi atteggiamenti dei giovani del Nord-est che, una volta usciti dall’obbligo di istruzione, vanno a lavorare perché il guadagno è buono e facile… mi compro l’auto veloce… vado in discoteca… mi diverto…! E dopo due o tre anni vengono espulsi perché il costo del lavoro si fa troppo alto, perché il giovane non ha gli strumenti culturali e professionali per reggere all’innovazione tecnologica, e quant’altro!
Insomma, il decreto finisce con l’ingenerare atteggiamenti e convincimenti che invece un decreto serio di un Governo altrettanto serio dovrebbe combattere.
Il secondo motivo di preoccupazione riguarda la ricaduta che atteggiamenti simili, diffusi e legittimati, possono provocare nel settore della formazione (e dell’educazione e dell’istruzione!). Se il lavoro non è sofferenza o fatica, se il mercato occupazionale offre migliaia di attività che non richiedono studi particolari, e se si può passare indifferentemente da un’attività ad un’altra senza particolari impegni, senza grossi sacrifici, perché un giovane dovrebbe guardare alle conoscenze, competenze e capacità che la scuola gli propone come a dei traguardi irrinunciabili?
Con un piccolo contrattino a termine, magari diviso con un amico, o a mezzo tempo, o a chiamata, quando capita, tiro avanti per qualche mese, poi si vedrà…
Lo spezzatino contrattuale che ci propone il decreto incoraggia il piccolo cabotaggio, la disaffezione, un insano individualismo. Fa perdere di vista la consapevolezza di appartenere ad una categoria di persone che svolgono un lavoro comunque subordinato; non accenno neanche al senso di appartenenza alla classe lavoratrice! Indebolisce di fatto e vanifica quella capacità contrattuale che non può non avere una dimensione collettiva.
Se il lavoro diventa un hobby, almeno finché la dura… e poi si vedrà, lo studio, che è pur sempre fatica, a che cosa serve?
A che cosa serve, quando la flessibilità non viene suggerita come una disponibilità ad acquisire conoscenze e competenze sempre nuove e rinnovabili in un dato campo del sapere e del fare, ma come un passaggio indifferente e disinvolto da un’attività ad un’altra? E pur sempre precaria! Oggi faccio il dog sitter, domani la cubista, dopodomani la badante, e poi ancora il pony o il pizza-express, e il disk jockey, e poi siccome sono ben palestrato, il body guard – e quante parole inglesi! Fanno tanto cult! E poi… posso sempre aprire un bel ristorantino macrobiotico… e poi, e poi…?!
Un male inteso senso del lavoro genera disaffezione verso l’apprendimento sistematico offerto dalla scuola. Ed allora, che senso avrebbe parlare di riforma della scuola?! Tanto i giovani non ci credono, le famiglie ancor meno, gli insegnanti vengono sempre più umiliati! E poi, quando il Governo predispone una riforma del lavoro così fatta… questa è proprio la goccia che fa traboccare il vaso!
E nello scenario che si apre – da un lato la contestatissima riforma Moratti, dall’altro questa proposta di riforma del lavoro – sarà molto difficile definire le norme generali sull’istruzione, tracciare i percorsi binari di istruzione e di formazione, disegnare i passaggi tra l’uno e l’altro, avviare l’alternanza formazione-lavoro! Saranno tante scatole vuote, perché i giovani saranno andati altrove…

Roma, 9 giugno 2003

Maurizio Tiriticco

 

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