Note & Interventi

Stipendi degli insegnanti, una vergogna tutta italiana

di Francesco Greco, Presidente Associazione Nazionale Docenti


Docenti italiani, i colleghi poveri dei docenti europei

Lo scorso 16 settembre 2021 è stato pubblicato l’annuale Rapporto dell’OCSEEducation at a Glance 2021 che esamina e confronta i sistemi educativi dei paesi OCSE e di alcuni Stati partner. I dati che interessano il nostro Paese hanno confermato un progressivo peggioramento delle condizioni retributive degli insegnanti, sempre più distanti dalla media OCSE e di quella della UE.

Il rapporto colloca l’Italia tra i dieci Paesi dell’OCSE ad aver speso la percentuale più bassa del PIL per l’istruzione e con stipendi degli insegnanti in progressivo peggioramento,

Tra il 2005 e il 2020, nei Paesi dell’OCSE con dati disponibili per tutti gli anni del periodo di riferimento, gli stipendi tabellari degli insegnanti con 15 anni di esperienza e con le qualifiche più diffuse sono aumentati (a prezzi costanti) dal 2% al 3% ai livelli di istruzione primaria e secondaria di primo e secondo grado a indirizzo generale, nonostante un calo degli stipendi seguito alla crisi finanziaria del 2008. In Italia, gli stipendi degli insegnanti a questi livelli sono diminuiti del 5%.

Già il Consiglio dell’Unione Europea nel 2019 (Raccomandazione sul programma nazionale di riforma 2019 dell’Italia, UE, Bruxelles, 9.7.2019) aveva chiaramente evidenziato la gravità della condizione degli insegnanti italiani,

 

 gli stipendi degli insegnanti italiani rimangono bassi rispetto agli standard internazionali e rispetto ai lavoratori con un titolo di istruzione terziaria. Le retribuzioni crescono più lentamente rispetto a quelle dei colleghi di altri paesi e le prospettive di carriera sono più limitate, basate su un percorso di carriera unico con promozioni esclusivamente in funzione dell’anzianità anziché del merito. Ciò si traduce in una scarsissima attrattiva della professione di insegnante per le persone altamente qualificate e in un effetto disincentivante sul personale docente, che a sua volta ha un impatto negativo sui risultati di apprendimento degli studenti.”

 

Difatti, è sufficiente un rapido sguardo ai dati forniti dall’Unione Europea per capire qual è la situazione retributiva dei docenti italiani rispetto a quelli dei colleghi degli altri paesi europei. La retribuzione media annua degli insegnanti italiani è di 28.147 euro, meno della metà di quella dei colleghi della Danimarca (60.444 euro) e, a seguire, inferiore a quella dei colleghi della Germania (55.926 euro), dell’Austria (48.974 euro), dei Paesi Bassi (47.870 euro), del Belgio (44.423 euro), della Finlandia (44.269 euro), della Svezia (40.937 euro), del Regno Unito (37.195 euro), della Francia (33.657 euro) e del Portogallo (29.941 euro).


Retribuzioni più basse, ma anche tempi più lunghi per raggiungere le fasce stipendiali più alte

In Italia, la retribuzione degli insegnanti è scaglionata in sei fasce, il passaggio di fascia avviene dopo molti anni, per il passaggio alla seconda fascia occorrono ben 8 anni. La retribuzione massima si raggiunge dopo 35 anni di servizio, praticamente a ridosso del pensionamento, contro una media europea di 24 anni. Mentre in Finlandia sono sufficienti 16 anni di servizio per avere il massimo della retribuzione.

Cionondimeno, l’analisi comparativa della condizione professionale non può essere limitata al solo dato stipendiale e alla struttura retributiva, altri aspetti dovrebbero essere considerati, che tra l’altro affermano una specificità tutta italiana. Si tratta, innanzitutto, di elementi strettamente connessi alla prestazione lavorativa, per come incardinata nell’organizzazione scolastica, che hanno una ricaduta diretta sull’effettiva retribuzione. Tra questi, è paradigmatica la condizione degli insegnanti della scuola secondaria, titolari sulle cosiddette “cattedre orario esterne”, ovvero cattedre articolate fino a tre scuole e due comuni. Gli insegnanti, in tali casi, prestano servizio su più sedi, a volte distanti diverse decine di chilometri, e con spese di viaggio interamente a loro carico. È ovvio che si tratti di costi connessi allo svolgimento dell’attività lavorativa e che non dovrebbero gravare sull’insegnante, ma ciò non avviene, mentre hanno un effetto diretto sulla retribuzione effettivamente percepita che è decurtata dagli oneri sostenuti per le spese di viaggio. Altra situazione significativa, gli organici degli insegnanti vengono definiti ogni anno ed annualmente le situazioni soprannumerarie vengono trattate con trasferimenti coatti (edulcorati nel linguaggio burocratico-sindacale con il termine “mobilità d’ufficio”) verso sedi distanti spesso decine di chilometri e, ancora, con oneri di trasferimento a carico degli insegnanti. È ovvio che al costo economico, in questo caso, si aggiungono quelli psicofisici, dovuti allo stress per la perenne instabilità che li affligge e che rende anche i cosiddetti “insegnanti di ruolo”, insegnanti precari a vita. Si deve, infatti, considerare che tali operazioni si ripetono ogni anno e constano di diverse fasi che generano un surreale girone dantesco che affligge l’intera categoria che si trova ad affollare, per buona parte dell’anno, gli uffici amministrativi periferici del Miur e quelli delle organizzazioni sindacali che condividono con l’amministrazione scolastica la gestione di questo esilarante carosello, non senza cogliere l’occasione di ampliare la loro platea di tesserati.

Altre situazioni, ancora, andrebbero considerate, tra cui le cosiddette “ore buche” che costringono a restare a scuola per un numero di ore eccedenti il servizio prestabilito; il mancato riconoscimento degli oneri per pasti quando l’attività prosegue per l’intera giornata (partecipazione obbligatoria a riunioni di organi collegiali e altre varie attività), ma l’elenco sarebbe lungo. Però, tutto questo è significativo ed utile a cogliere qual è la condizione reale dei docenti italiani e la effettiva consistenza delle loro retribuzioni.

Italia Cenerentola dell’istruzione in Europa, spende la metà della Germania

Tuttavia, a ben vedere, tutto il sistema istruzione in Italia risente della scarsità di risorse. L’Italia, spende appena il 4% del PIL per l’istruzione, terzultima in Europa e ben sotto la media europea, a fronte di paesi come la Danimarca, il Belgio e la Svezia che spendono quasi il doppio. La Germania per l’istruzione spende, in valore assoluti, quasi 127,4 Mld di euro, noi circa la metà, 65,1 Mld di euro.

Quanto sia importante l’istruzione per lo sviluppo di un paese è stato ben compreso dai paesi emergenti che negli ultimi decenni hanno accresciuto gli investimenti, la cura e l’attenzione verso l’istruzione e la formazione. Oggi, i risultati scolastici dei loro studenti sono tra i migliori nelle comparazioni internazionali, come lo sono i tassi di crescita delle loro economie.  Difatti, in questi ultimi anni, il numero dei laureati, di età compresa tra i 25 e i 34, nei paesi del G20 non-Ocse (Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia, Federazione Russa, Arabia Saudita e Sud Africa) ha superato quello dei paesi Ocse. Mentre, secondo alcune previsioni Ocse, nel 2030 Cina ed India avranno più del 60 per cento di tutti i laureati in discipline scientifiche e tecnologiche (discipline STEM) dei paesi Ocse e G20.

Tutto ciò conferma quanto da anni attestano le ricerche internazionali condotte dall’OCSE, ovvero la forte corrispondenza tra livello generale di istruzione della popolazione e crescita economica.

Allora bisognerebbe chiedersi,

perché in Italia si continua a lesinare risorse per l’istruzione? Perché anziché apportarne di nuove si tagliano quelle disponibili e, soprattutto, quando avremo un governo che non camufferà con il termine “riforma” l’ennesimo intervento di distruzione della scuola statale?

Forse affinché possa esserci un reale cambio di prospettiva dipenderà anche dagli insegnanti, dalla loro consapevolezza di dover smettere gli abiti di missionari e di rivestire quelli di cittadini che svolgono una funzione primaria per lo sviluppo del Paese, per rivendicare con forza la dovuta considerazione sociale e professionale. Sicuramente dipenderà anche da un diverso modello di rappresentanza dei propri bisogni e delle proprie istanze professionali!

Ma questo lo affronteremo prossimamente.


Stipendi degli insegnanti, una vergogna tutta italiana. – Parte prima, continua …

 

 

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