“L’intelletto ha i suoi pregiudizi, il senso le sue incertezze,
la memoria i suoi limiti, l’immaginazione le sue oscurità,
gli strumenti la loro imperfezione.
I fenomeni sono infiniti, le cause nascoste, le forme transitorie.
Contro tanti ostacoli che troviamo in noi stessi e che la natura ci oppone,
disponiamo solo di un’esperienza lenta e di una riflessione limitata.
Queste sono le leve mediante le quali la filosofia si è proposta di sollevare il mondo”
D. Diderot
Il tema delicato e impegnativo meriterebbe più che una riflessione e la sagacia di chi sa che ogni ragionamento sulla scuola e sulla professione docente, per non apparire epidermico e banalizzante, deve tener costantemente presente la complessità dei sistemi educativi, la particolarità dei processi che ne animano la vita, le difficoltà interpretative delle categorie analitiche con cui se ne osserva il progredire. E, soprattutto, non dimenticare che “l’intelletto ha i suoi pregiudizi”, come scrisse l’illuminista Diderot, “il senso le sue incertezze, la memoria i suoi limiti, l’immaginazione le sue oscurità, lo strumento le sue imperfezioni” e che “i fenomeni sono infiniti, le cause nascoste, le forme transitorie”.
Gli insegnanti, da qualche anno, sono al centro di numerose ricerche e attività di studio e la loro condizione, in molti paesi, anima il dibattito politico e istituzionale. Finanche lo stesso Piano di lavoro relativo ai futuri obiettivi dei sistemi di istruzione e di formazione, approvato dal Consiglio Europeo di Barcellona nel marzo del 2002, pone al centro gli insegnanti e li considera “attori chiave di tutte le strategie intese a stimolare lo sviluppo della società della conoscenza”. Sono, inoltre, molti gli studi e le ricerche internazionali che evidenziano una crescita delle aspettative nelle competenze professionali dei docenti, ai quali si chiede non solo l’aggiornamento costante delle proprie conoscenze e competenze, ma di padroneggiare un insieme differenziato di saperi e di metodologie didattiche, per operare all’interno di contesti caratterizzati da una complessità crescente e mutevole, quali sono quelli della società dell’informazione e della conoscenza.
Questo richiede loro una riflessione, continua e d’insieme, sulla propria pratica professionale, sui processi di insegnamento-apprendimento, in un approccio sistemico che coinvolge studenti, colleghi e istituzione scolastica, che lascia intravedere l’unicità e la complessità del contesto in cui l’insegnante svolge la sua funzione e la particolarità della sua professione e che richiede di intrecciare costantemente dimensione teorica e dimensione pratica, a partire dall’individuazione dei problemi nel corso della quotidiana pratica didattica, in un percorso di riflessione in cui la pratica diviene momento di controllo e di apprendimento.
Per cui, una prima riflessione sulla scuola non può che considerare l’unicità e la complessità dei contesti educativi e formativi e il ruolo centrale che in essi svolgono gli insegnanti, per evitare di applicare modelli e proposte elaborati all’esterno e calati dall’alto, a contesti educativi che si caratterizzano per la loro specificità e irripetibilità, magari mal replicando un modello pensato per una scuola che ancora non c’è, che non c’è mai stata e che, forse, mai ci sarà. Ma richiede la partecipazione creativa degli insegnanti, alla cui autonomia professionale devono essere rinviate la valutazione e la conferma di ogni proposta di riforma, con un dialogo vivo e fecondo, innestato attivamente nei processi di definizione delle scelte, per individuare i punti che sono di interesse strategico per l’istruzione e la formazione nel nostro Paese, quale presupposto e condizione anche per una loro condivisione.
Oggi molti aspetti della riforma rischiano di apparire solo un ulteriore aggravio burocratico, un nuovo fardello di lavoro, che unito ad altre scelte di politica scolastica, a livello finanziario e organizzativo –quale l’aumento delle ore di lezione e il numero di alunni per classe-, finiscono non solo per contrastare con gli obiettivi dichiarati di voler migliorare la qualità dell’istruzione, quanto creano tra i docenti quella che è stata definita una “crisi da mutamento”, determinata dai continui sommovimenti che rovinano sulla scuola, che rendono difficile fugare l’impressione che le riforme si vogliono fare nonostante i docenti, a prescindere dalla mediazione culturale e del coinvolgimento motivazionale di chi, nel bene e nel male, dovrà poi attuarle.
Sono aspetti che meritano più che una riflessione e che, certamente, chi ha responsabilità politiche non può sottovalutare. Non si può trascurare il diffuso senso di disagio e di insofferenza dei docenti che si coglie, andando per le scuole, dovuto alle condizione di indeterminatezza del processo riformatore, di insofferenza per l’offuscamento della propria funzione, di grave caduta di considerazione sociale del proprio lavoro e di pesante inadeguatezza delle retribuzioni. Tutti fattori che rischiano di creare una forte disaffezione rispetto alla professione, “accresciuta dal contrasto tra l’importanza del compito e il degrado della quotidianità”, dal logorio di un rapporto sempre più difficile e problematico con gli alunni, che nella scuola, spesso, scaricano il peso di un loro disagio sociale e con genitori sempre più apprensivi e, non di raro, falsamente protettivi.
Aspetti che testimoniano le difficoltà di una professione, cui si aggiunge l’arretramento della condizione giuridica, determinato dall’avvento della contrattazione delle condizioni di lavoro, che non ha saputo attualizzare le esigenze della professione a fronte del mutamento del quadro istituzionale e che anzi l’ha rinchiusa in norme sempre più minute e pretenziose, nel tentativo di ingabbiare a priori i comportamenti professionali, di predeterminare finanche le linee della quotidiana pratica didattica.
Una seconda riflessione sulla scuola, in questo delicato e contraddittorio passaggio riformatore, si intreccia, dunque, con l’esigenza di un nuovo status professionale per i docenti e quindi con la necessità di avviare un processo progressivo di avvicinamento ad una condizione professionale che li riscatti dall’omologazione impiegatizia e da una posizione di marginalità nel quadro decisionale dell’istituzione scolastica. Questo processo passa attraverso una riforma del loro stato giuridico, per la quale, com’è noto, sono stati presentati due progetti di legge. Ma passa anche attraverso la costruzione di un nuovo modello organizzativo e di una nuova configurazione giuridica dell’istituzione scolastica.
E, pertanto, una terza ed ultima riflessione non può che riguardare il modello di scuola che si sta cercando di consolidare. E’ un modello sempre più avvitato sul paradigma gestionale e amministrativo, che rende evidente l’asimmetria tra le finalità educative, che si esplicano attraverso l’attività di insegnamento –che è coessenziale alla natura stessa dell’istituzione scolastica- e le sue attività strumentali -gestionali e amministrative-. Un modello che evidenzia una curvatura sempre più marcata verso una strutturazione gerarchico piramidale, che interessa non solo gli aspetti di relazione interni all’istituzione scolastica ma anche i rapporti con i livelli sovraordinati dell’amministrazione scolastica e che sarà sicuramente reso ancor più insopportabile da una eventuale estensione alla dirigenza scolastica delle norme della dirigenza amministrativa.
La scuola, in quanto organizzazione di apprendimento, ha necessità di strutture orizzontali che basano le loro decisioni sulla condivisione professionale, all’interno di un sistema reticolare di distribuzione delle competenze e delle responsabilità e, dunque anche da questo punto di vista, è opportuno che il legislatore, in considerazione del rilievo costituzionale assunto dall’autonomia scolastica, con la riforma del Titolo V e improntando la sua iniziativa al principio di sussidiarietà, alla necessità di assicurare il più ampio pluralismo nel governo delle istituzioni scolastiche, si assuma la responsabilità di scelte coraggiose, per dare alle scuole, così come è stato fatto per le accademie e i conservatori, un’appropriata potestà statutaria, per costruire dal di dentro un’autonomia responsabile e pluralista, che nella edificazione delle competenze accresce il suo tesoro.
* Intervento alla Conferenza Regionale per il diritto allo studio, organizzata dalla Regione Calabria, Lamezia Terme, 7 maggio 2004