Note & Interventi

Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria

Roma, 29 ottobre 2015, Tavolo tecnico al Ministero dell’Istruzione, le valutazioni dell’AND

Si è svolto lo scorso 29 ottobre 2015, il tavolo tecnico sulla delega prevista dalla legge 107/2015 relativa “Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria”, c. 181, lettera b) dell’art. 1., a cui l’AND a partecipato. 

Di seguito il testo delle osservazioni e valutazioni dell’Associazione Nazionale Docenti


Preliminarmente riteniamo opportuno ribadire le riserve già espresse negli altri incontri riguardo ai profili di illegittimità costituzionale ravvisabili, a nostro giudizio, in diversi punti della legge 107 del 13 luglio 2015. Per quanto riguarda le deleghe, in particolare, la violazione dell’art. 72 della Costituzione che richiede sempre la procedura legislativa normale di esame e di approvazione diretta dei disegni di legge di delegazione legislativa, mentre la legge 107 è stata approvata al Senato con voto di fiducia espresso su un maxiemendamento; inoltre, la gran parte delle deleghe, per loro genericità e indeterminatezza, sono prive della “determinazione di principi e criteri direttivi” essenziali per l’esercizio della funzione legislativa da parte del Governo e, dunque, in contrasto anche con l’art. 76 della Costituzione.

  Ciò premesso, per quanto riguarda la delega di cui al c. 181, lettera b) dell’art. 1, riteniamo, con le precisazioni che seguiranno, condivisibili alcune disposizioni in essa contenute, volte ad introdurre cambiamenti che da tempo auspichiamo. Tra questi:

  • l’introduzione di “un sistema unitario e coordinato che comprenda sia la formazione iniziale dei docenti sia le procedure per l’accesso alla professione”;
  • il carattere nazionale dei concorsi;
  • l’acquisizione del diploma di specializzazione all’insegnamento dopo la vincita del concorso e il cui onere finanziario, naturalmente, non dovrà più gravare sul docente, trattandosi di un investimento sociale;
  • l’acquisizione graduale delle competenze didattiche durante l’applicazione presso un’istituzione scolastica, un’impostazione già ampiamente sperimentata in altri settori.

 Tuttavia, non comprendiamo:

  • perché coloro che vincono un concorso nazionale non debbano aver diritto da subito ad un contratto a tempo indeterminato? Anche in epoca gentiliana, secondo le disposizioni del Regio Decreto 1051 del 1923, i professori vincitori di concorso ottenuta la nomina svolgevano i primi tre anni di servizio con il titolo di professore straordinario – come avviene oggi nell’università. Dopo i tre anni ottenevano la promozione a professore ordinario. Ma sin da subito erano professori di ruolo. Un aspetto che rende evidente quanto da tempo sosteniamo: bisogna costruire un percorso di carriera per i docenti italiani (in questo caso veramente lo chiede l’Europa: “Raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea sul programma nazionale di riforma 2014 dell’Italia”), all’interno di un sistema di governo democratico della scuola;
  • per quali ragioni il tirocinio debba durare 36 mesi, quando il tirocinio di un magistrato dura appena la metà del tempo e quello di un dirigente scolastico appena tre mesi? Si tratta com’è ovvio di una scelta che, unita al contratto a tempo determinato, non fa altro che mantenere precari tutti i nuovi docenti per almeno 36 mesi. Ancora una volta, ci pare, si vuole far cassa sulla miseria, invertendo anche il significato della sentenza della Corte di Giustizia dell’UE, sull’abuso di contratti a termine a danno dei docenti;
  • perché tra i requisiti per l’accesso al concorso i candidati devono disporre di un minimo di 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e in quelle concernenti le metodologie e le tecnologie didattiche? Quando poi tali discipline saranno ampiamente trattate nel corso annuale per il conseguimento del diploma di specializzazione per l’insegnamento. Allora, veramente, non si comprende la ragione di questo ulteriore orpello;
  • qual è il vero movente del continuo richiamo a principi di flessibilità, se non una visione dell’insegnamento e del docente come un operatore generico senza alcun rapporto con i contenuti della disciplina? Tanto è confermato nella delega, ove si prevede che i contenuti si possano acquisire con percorsi di formazione in servizio, così da consentire l’attribuzione di insegnamenti affini. D’altronde i dirigenti scolastici possono attribuire, secondo il c. 79, insegnamenti anche a docenti privi di abilitazione, “purché in posseggono di titoli di studio validi per l’insegnamento della disciplina”.

  Riteniamo sicuramente necessario che:

  • l’accesso all’insegnamento sia imperniato su criteri assai rigorosi;
  • per partecipare ai concorsi per l’insegnamento nella scuola si debbano possedere requisiti culturali formali elevati, tra cui auspichiamo anche che il voto di laurea non dovrebbe essere inferiore ad un voto minimo di 105/110, come avviene, per esempio, per il concorso per la carriera diplomatica e per la Banca d’Italia;
  • si debbano possedere solide conoscenze della propria disciplina, empatia e capacità relazionali e successivamente acquisire, attraverso specifici corsi di alta formazione, competenze psico-pedagogiche e didattiche.

 Riteniamo certamente inconcepibile negare ai docenti, dopo le “Forche Caudine” di una dura e lunga selezione che ormai non trova confronto con nessuna categoria professionale:

  • la giusta dignità professionale e sociale;
  • la giusta retribuzione;
  • il diritto di poter svolgere la propria attività secondo i principi di libertà garantiti dalla Carta Costituzionale.

Desideriamo sottolineare come oggi il rischio più grave, intervenendo nell’ambito specifico della formazione iniziale e dell’accesso ai ruoli, sia quello di codificare gli aspetti più deleteri della legge 107/2015. Le disposizioni contenute nella delega vanno, infatti, lette tenendo in considerazione il combinato disposto dei commi 63-69, 73, 78-85, 115-120, 126-130 e di altri commi contenuti nell’art. 1, della legge 107/2015, che ridisegnano l’architettura istituzionale del nostro sistema scolastico.

 Ragionando con questa visione, riteniamo inaccettabile che possano essere azzerati con un tratto di penna:

  • una laurea magistrale;
  • un concorso nazionale;
  • un lungo tirocinio di tre anni;
  • un diploma di specializzazione per l’insegnamento nella scuola secondaria che comporta il superamento di prove teoriche e pratiche attinenti alla progettazione e alle metodologie didattiche, alla conoscenza delle teorie pedagogiche e psicologiche dell’apprendimento, alla docimologia, alle competenze per la didattica speciale;
  • la relazione positiva del tutor;
  • la relazione positiva del Comitato di valutazione,

Consideriamo assurdo che il lungo viatico di un percorso formativo che dovrebbe portare alla sottoscrizione di un contratto di insegnamento a tempo indeterminato, accompagnato dalla valutazione di decine di docenti universitari (laurea + diploma di specializzazione), di molteplici commissioni d’esame, di pratiche didattiche in situazione e, in molti casi, di anni di supplenze, possa essere dichiarato, d’emblée, “carta straccia”. E poi, dichiarato tale da chi? Da un organo collegiale? Da una commissione qualificati di esperti? Da un Presidente della Corte Costituzionale? Da un Presidente della Corte di Cassazione? No, il giudizio divino sul docente è espresso semplicemente da un dirigente scolastico. Da un suo ex collega che, forse appena qualche mese prima, ha vinto un concorso per dirigente scolastico svolto a livello regionale, con una procedura concorsuale basata appena su due prove scritte e una orale e un tirocinio di soli tre mesi, ma tanto è bastato per conferirgli conoscenze esoteriche tali da consentirgli di decidere sulla sorte del suo ex collega. Dall’alto della sua decisione solitaria, egli stabilirà se quel docente potrà fregiarsi di un contratto a tempo indeterminato di insegnamento nella scuola italiana per la stratosferica retribuzione di circa 1.300 euro al mese, o farlo cacciare dalla scuola.

 Questo dirigente onnipotente potrà –per altre misteriose e imperscrutabili ragioni, non quelle che addurrà nelle motivazioni della sua ineccepibile relazione- dichiarare che le prestazioni del docente non corrispondono alle sue irraggiungibili aspettative. Ponendo così fine ad ogni speranza per il malcapitato. Crediamo che anche il cosiddetto uomo della strada, spesso più dotato di buonsenso di tanti governanti, dopo quanto detto si renda agevolmente conto del grande pastrocchio che si è fatto sulla scuola con la legge 107/2015.

 Per queste ragioni riteniamo che, pur potendo immaginare il miglior modello di formazione iniziale per i docenti e il miglior sistema di selezione per l’accesso ai ruoli, qualunque modello risulterà di fatto regressivo, dovendosi piegare alle regole di una legge profondamente sbagliata e in contrasto con i principi democratici del nostro ordinamento costituzionale, oltreché del comune buonsenso. Non a caso, il titolo della delega specifica che trattasi di “adeguamento … del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria”. Adeguamento alla legge 107/2015, appunto!

 

 

 

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