E’ di questi giorni la notizia di una sentenza della Corte d’Appello di Torino nella quale c’è scritto che i dirigenti scolastici non possono sospendere i docenti. Semplicemente: non ne hanno il potere.
Il tutto con buona pace del Ministero dell’istruzione che, con la circolare 88/2010, ha detto esattamente il contrario.
Le motivazioni addotte dai giudici di Torino sono le seguenti:
- il decreto Brunetta conferisce ai dirigenti delle pubbliche amministrazioni il potere di infliggere le sanzioni che vanno dal rimprovero alla sospensione dal servizio fino a 10 giorni;
- ai docenti della scuola statale si applicano le sanzioni previste dal Testo unico del 1994, che non prevede queste sanzioni (ne prevede altre ben più pesanti);
- dunque, il decreto Brunetta non si applica ai docenti della scuola statale.
E siccome non si applica, non si applica nemmeno la norma che attribuisce ai dirigenti il potere di sospendere. Il ragionamento non fa una grinza e non fa altro che applicare il cosiddetto principio di tassatività del diritto punitivo. Principio che deriva dal diritto penale e che può essere tradotto così come segue: in materia di sanzioni disciplinari tutto ciò che non è espressamente previsto è vietato.
La questione era già stata sollevata dalla dottrina all’indomani dell’entrata in vigore del decreto Brunetta. E l’orientamento manifestato dal Ministero dell’istruzione, secondo il quale i dirigenti scolastici potrebbero sospendere i docenti, era stato duramente criticato anche sui tavoli di concertazione attivati prima dell’emanazione della circolare 88/2010. Ma l’amministrazione scolastica è rimasta ferma sulle sue posizioni. E quindi, la questione si è spostata nelle aule di Tribunale. Come spesso accade in questi casi. Anzi, a dire il vero, troppo spesso. Sì perché se da una parte si fa una gran parlare di riforma della giustizia e di processi troppo lunghi che allontanano gli investitori stranieri, dall’altra, si restringono gli spazi di composizione stragiudiziale delle controversie.
Il risultato è che anche per le sanzioni disciplinari (prima risolvibili davanti ad appositi collegi arbitrali) il contenzioso si è spostato, armi e bagagli, davanti ai giudici togati. Perché sebbene spesso si tratti di questioni cosiddette bagatellari, le controversie di questo tipo non possono essere discusse davanti ai giudici di pace. Fin qui i rimedi contro le sanzioni ingiuste.
Ma vi è di più. Invischiare la professione docente in un rapporto gerarchico verticale, in cui da una parte c’è un capo (il dirigente scolastico, il cui potere comprende anche quello di sospendere) e dall’altra un subalterno (il docente) costretto ad obbedire nel timore di rappresaglie alla prima occasione, non solo svilisce e mortifica la funzione docente, ma, con ogni probabilità, viola anche la Costituzione. “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Così recita il primo comma dell’articolo 33 della Carta. E quale libertà vi può essere in una pubblica amministrazione organizzata gerarchicamente, quasi come una caserma? E’ giunto il momento, dunque, di ripensare completamente l’organizzazione delle scuole, partendo dalla figura del dirigente scolastico.
Bene ha fatto l’Associazione Nazionale Docenti a porre la questione con forza, proponendo la trasformazione della dirigenza scolastica da funzione di carriera a funzione onoraria. La scuola come comunità di pari, governata da un primus inter pares eletto nel suo seno dal collegio dei docenti. Un’idea che illumina un percorso di restituzione della scuola al novero delle istituzioni democratiche di questo paese, che si sta facendo avanti anche in altri ambienti e sodalizi, seppure tra molte difficoltà.
Il preside elettivo risolverebbe anche altri problemi, primo fra tutti quello della sostenibilità economica degli uffici dirigenziali. Sostituire la figura del dirigente cooptato con quella del preside eletto, infatti, non comporterebbe l’attribuzione della qualifica dirigenziale e risolverebbe in un colpo solo la piaga del dimensionamento scolastico.
Antimo Di Geronimo