Analisi & Commenti

L’arroganza del potere

07/01/2010

di Maurizio Tiriticco

La nostra Carta costituzionale – del resto una qualsiasi carta fondativa di un Paese e dei principi fondamentali che lo governano – non nasce dal nulla, ma da una lunga storia di lotte, sacrifici e, soprattutto, di ricerca! Ricerca che viene da lontano, da decenni, se non secoli, di lotte degli oppressi contro gli oppressori, una ricerca che si matura nelle concrete vicende degli uomini, che giorno dopo giorno fonda nuovi valori, costruisce o tenta di costruire una visione diversa ed alternativa del vivere insieme. E nei documenti che si sono via via succeduti, almeno dalla Magna Charta libertatum del 1215 alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, è possibile riscontrare questo lento e faticoso cammino.

Ciò che oggi ci appare lampante e quasi scontato – si vedano la citata Dichiarazione e la nostra Carta costituzionale – è costato invece secoli di lotte e di ricerca. Basti pensare ad esempio che nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, l’articolo 1 recita che “gli uomini nascono e vivono liberi ed eguali nei diritti”, ma subito dopo afferma che le distinzioni sociali continuano ad esistere purché siano fondate sull’utilità comune. Ed ancora, nello Statuto albertino del 1848 si legge, all’articolo 1 che “la Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato” e che “gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi”. Per non dire che nel nostro Paese il voto alle donne è stato riconosciuto solo il primo febbraio 1945. E che dire poi del fatto che la tortura e la pena di morte erano norma e pratica nello Stato pontificio fino al 1870! Forse non tutti sanno che la pena di morte è stata cancellata dal diritto vaticano solo nel 1969 (sic!). Per quanti decenni è rimasto inascoltato il nostro Beccarla da quello Stato che del perdono cristiano avrebbe dovuto fare la sua divisa e la sua bandiera! Per non farla lunga, il riconoscimento dei diritti dell’uomo si è venuto maturando lentamente e faticosamente nei secoli e non per grazia del principe bensì in forza della disperata lotta degli oppressi.

La prima parte della nostra Costituzione costituisce un esito estremamente importante di questo lungo, faticoso e doloroso cammino. Ed ha costituito l’esito della ricerca dei nostri Padri costituenti che nel carcere, nell’esilio, nella lotta antifascista hanno maturato quei principi che nessuno può oggi mettere in discussione! Ne cito solo alcuni: la democrazia, il lavoro, l’eguaglianza, la libertà, il ripudio della guerra, il diritto d’asilo, il diritto allo studio, le autonomie.

Appare pertanto assolutamente inopportuno, fuor di luogo ed altamente offensivo che un ministro della Repubblica in un’intervista alla stampa quotidiana di qualche giorno fa se ne esca con frasi di questo tipo: che tutta la prima parte della nostra Costituzione, quella fondativa dei Principi – sì con la P maiuscola, dico io – è da rifare perché è figlia del dopoguerra; che il fatto che la Repubblica sia fondata sul lavoro non significa nulla; che la giustizia è organizzata in modo preindustriale e agricolo-pastorale! Quando è ormai assodato che l’indipendenza dei tre poteri è una delle conquiste più alte che la rivoluzione borghese ci ha dato! E non vado oltre per non tediare il lettore!

L’intervista è particolarmente grave perché dà il chiaro segno dell’incultura del nostro attuale gruppo dirigente, il quale non solo dimostra di non avere alcuna conoscenza – o di non volerla avere – di come siano venuti maturando nel corso dei secoli i diritti umani che oggi figurano nelle Carte di tutti i Paesi democratici, ma dichiara anche con proterva arroganza che si tratta di chiacchiere vuote che nulla avrebbero a che vedere con la vita reale. Il disegno è evidente ed esplicito: la nostra Carta è un ostacolo per chi nutre, e non da oggi, disegni eversivi! Le uscite di Brunetta non sono chiacchiere da bar, ma costituiscono pericolosi segnali per la stabilità e lo sviluppo della nostra democrazia!

E c’è un nesso tra la politica scolastica dell’attuale governo e la sua politica più in generale. In effetti, il disegno che si profila per chi governa, o dovrebbe, governare il nostro Sistema di istruzione, sempre più orientato a liquidare l’istruzione obbligatoria decennale per permettere solo ai cosiddetti meritevoli di giungere ai titoli qualificanti è coerente con il disegno che altri ministri della Repubblica dichiarano con saccenteria ed impudenza! Esiste un nesso tra un certo governo della scuola ed un certo governo della cosa pubblica in generale. La democrazia del sapere e la democrazia del convivere insieme costano troppo, sono orpelli di cui l’attuale gruppo dirigente deve liberarsi! In altre parole, dai tagli sulla scuola ai tagli della Carta il passo è breve!

Per queste ragioni, la lotta per una scuola migliore è anche la lotta per la nostra democrazia!

Roma, 3 gennaio 2010

 

Pulsante per tornare all'inizio