Riprendo la frase assunta come motto dai docenti della scuola dell’Infanzia – statale e non – ai tempi in cui si esprimevano perplessità riguardo l’istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni (decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65) perché poco o niente è cambiato da allora, anzi, è ormai acclarato che la scuola dell’Infanzia è davvero figlia di un Dio minore! È un’istituzione dello Stato, al pari degli altri ordini e gradi scolastici. Ha finalità e Traguardi di sviluppo delle competenze da raggiungere, definiti nelle Indicazioni Nazionali 2012 e Nuovi scenari 2018. È inserita nel percorso formativo unitario 3 -14 anni negli Istituti Comprensivi e 3 – 19 anni negli Istituti Omnicomprensivi. I docenti che vi operano hanno gli stessi diritti/doveri dei colleghi della Primaria, Secondaria di primo e secondo grado, medesima modalità di assunzione e identico Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro.
Eppure, nonostante ciò, il primo gradino del sistema d’istruzione italiano, la scuola che è la risposta al diritto all’educazione e alla cura di tutte le bambine e i bambini dai tre ai sei anni di età cui si rivolge, in coerenza con i principi di pluralismo culturale ed istituzionale presenti nella Costituzione della Repubblica, nella Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e nei documenti dell’Unione Europea (I.N. 2012) viene ignorata anche, e forse più, in questo difficile momento in cui l’emergenza sars covid19 ci attanaglia, e mette tutti a dura prova. Bistrattata da stampa e TV, chiamata erroneamente asilo, scuola materna, servizio, dimenticata nelle ordinanze regionali e in tutti i roboanti proclami di molti politici che leggiamo ovunque sui social, la scuola dell’Infanzia continua costantemente a fare la sua parte: noi insegnanti ci crediamo, non ci arrendiamo perché amiamo la nostra scuola e i nostri alunni, perché crediamo nel diritto all’istruzione per tutti, sin dalla più tenera età.
In presenza da settembre, tranne sospensioni dovute a quarantene varie: si rispettano i protocolli nazionali delineati dal CTS e dal MI, ove possibile si è ridotto il numero di alunni nelle sezioni, si sono assunti docenti e collaboratori scolastici – meno del necessario, in verità – proprio per poter affrontare meglio la situazione emergenziale. Arrivano le vacanze natalizie, i contagi aumentano e i dibattiti intorno alla Scuola impazzano ovunque: i media parlano genericamente di ritorno a scuola, omettendo che, oltre all’Infanzia, anche il primo ciclo è in presenza da settembre, senza “se e ma” che tengano, i fautori della didattica in presenza contro quelli della didattica a distanza, e riapriamo il 7, il 15, il 31 gennaio, a febbraio, dopo la somministrazione del vaccino, in DAD solo le Superiori, si ma solo il 75% degli alunni, no meglio il 50%, insomma, una babele! Però su una cosa sembrano tutti d’accordo: la scuola dell’Infanzia resta in presenza, è assodato. E che importa se i bambini non indossano mascherine né hanno obbligo di distanziamento, se è molto difficile per gli adulti della scuola star loro lontani, se ai docenti e ai collaboratori scolastici vengono date in dotazione mascherine chirurgiche, visiera e gel disinfettante, una pacca sulle spalle e una preghiera, per chi è credente…la scuola dell’Infanzia deve restare in presenza perché #ibambininonsiinfettano #lascuolaèsicura #lasocializzazioneèimportante #igenitoriachilascianoifigliperandarealavorare.
Se c’è un rischio grave per la salute che spinge molte Regioni a non riprendere la scuola in presenza optando per la DAD, c’è per alunni, docenti, collaboratori scolastici e annesse famiglie delle scuole di ogni ordine e grado, scuola dell’Infanzia inclusa.
In conclusione, mi chiedo quale sia la ratio di questa scelta… senza aspettarmi risposte.
Marina Castelli
Presidente AND sezione di Latina, insegnante di scuola dell’Infanzia statale, pedagogista