L’arte dello scrivere e di esprimere liberamente la propria personalità è una delle caratteristiche fondanti delle competenze dell’italiano. Tuttavia i nuovi sistemi di valutazione che si vanno affermando sembrano non tenere conto di questo aspetto che, invece, contraddistingue la cultura dei giovani e la scuola italiana nel panorama europeo e mondiale.
Negli ultimi due decenni l’evoluzione della scuola italiana ha prodotto un sistema che, nel tentativo di innovare all’insegna delle famose tre “i” (Inglese, Informatica e Impresa), ha provocato una serie di contraddittorie riforme che non sempre sono andate in una direzione univoca e chiara.
Almeno su un aspetto il disegno è stato perseguito in modo sistematico: il taglio indiscriminato delle risorse della scuola pubblica con il pretesto di eliminare presunti sprechi e razionalizzare il funzionamento delle istituzioni scolastiche, la formazione di classi pollaio e la precarizzazione endemica della categoria dei docenti.
L’altro elemento caratterizzante del processo di trasformazione della scuola pubblica italiana è stata l’introduzione del sistema di valutazione nazionale con la somministrazione di prove nazionali agli studenti delle scuole primarie, secondarie di primo grado e del primo biennio delle secondarie di secondo grado. L’intenzione era quella di adottare metodi oggettivi di valutazione delle competenze degli allievi, elaborando prove che avevano la pretesa di essere oggettive e ottenere un quadro unitario della situazione della scuola italiana, confrontarla al proprio interno e con gli altri paesi europei ed extraeuropei. Un tentativo che ha suscitato feroci critiche anche per le modalità di effettuazione delle prove e della loro pretesa scientificità, dalla quale trarre indicazioni per calibrare nei singoli istituti nuove forme e metodologie didattiche, all’insegna dello svecchiamento e dell’essenzialità. Ma nel merito le cose hanno avuto esiti ben diversi e molti dei rilievi mossi, per la dovizia delle argomentazioni e autorevolezza degli interlocutori, hanno fatto emergere ben altri tipi di problemi, che hanno drasticamente ridimensionato le pretese di intoccabilità e insindacabilità delle prove Invalsi e del tentativo di indicarle come la panacea dei mali della scuola italiana e della sua presunta incapacità di essere al passo con i tempi.
È il caso, ad esempio, della didattica dell’italiano e delle competenze letterarie più in generale, per le quali la prova invalsi consisteva in una serie di disamine di brani e alla riduzione all’essenziale di alcune indicazioni, perdendo completamente di vista la rilevanza della elaborazione del testo scritto e della sua stesura, come momento di creatività e di espressione della possibilità e capacità degli studenti di rappresentare la propria personalità ed originalità. Un aspetto che invece è ancora fortunatamente praticato nelle scuole di tutta la Penisola e che rappresenta per i nostri studenti un vero e proprio valore aggiunto, che li contraddistingue positivamente rispetto ai pari grado europei.
Il problema oggi è quello di riuscire a valorizzare ancora di più e meglio questo aspetto, senza trascurare l’innegabile esigenza di misurarsi onorevolmente con i problemi e le sfide del nostro tempo evitando, tuttavia, di ridurre tutto a formule e a semplificazioni che hanno come unico risultato di svuotare di contenuti quelle competenze fondamentali, che non possono prescindere dalla capacità di costruire un discorso, un ragionamento, utilizzando indifferentemente il linguaggio verbale e quello scritto. In altre parole, essere in grado di esprimere quello che si è. Ecco a cosa serve, tra l’altro, l’elaborazione di un testo scritto, argomentativo, creativo, espositivo o informativo.
E su questo aspetto è necessario che le menti ancora libere dalle infatuazioni pseudo-moderniste delle formule astratte, facciano le giuste riflessioni in modo da valorizzare adeguatamente un patrimonio di elaborazione e di esperienza che ha consentito alla cultura italiana di essere all’avanguardia in fatto di professioni a tutto tondo. Farsi assuefare da falsi miti di efficientismo e logiche astratte, ha prodotto mille settorializzazioni e specialismi che hanno fortemente impoverito la formazione integrale della cultura delle nuove generazioni e del mondo delle professioni, al punto che non dovremmo scandalizzarci più di tanto se ormai le università hanno introdotto la pratica di istituire corsi di azzeramento anche in lingua italiana, ma non tanto e non solo per gli stranieri. Insomma, si cerca di sopperire in extremis insegnando ai neo iscritti e futuri dirigenti, l’antica arte dello scrivere e far di conto, in modo da poter ritrovare quell’anima che sembrerebbe definitivamente perduta.
Pio G. Sangiovanni