Giurisprudenza

Il tempo è galantuomo, prima o poi rimette a posto tutte le cose

Anche i docenti di ruolo potranno partecipare ai prossimi concorsi.  La Corte Costituzionale con la sentenza n. 251, del 8.11.2017 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 110, ultimo periodo, della legge 13 luglio 2015, n. 107 e l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, terzo comma, ultimo periodo, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59.

“Non sono bastate le proteste che hanno riempito le piazze, -afferma il prof. Francesco Greco, presidente dell’Associazione Nazionale Docenti, commentando la sentenza-, i molteplici appelli a desistere dal portare avanti una legge profondamente sbagliata e, in molti punti, contraria ai principi fondanti del nostro ordinamento giuridico, ma dove non sono riusciti la ragione e il buon senso, forse riusciranno il tempo e quel sistema di garanzie costituzionali che ancora regge, nonostante i vari tentativi di demolizione. La scuola, pur ormai fiaccata da tante ferite, mantiene alta la testa, assorbe i colpi e, nel tempo, le restituisce. Il tempo è galantuomo, prima o poi rimette a posto tutte le cose”. 

“In questa direzione, la recente sentenza della Corte Costituzionale -prosegue Greco- accoglie un importante elemento di illegittimità costituzionale della legge, non riguarda l’impianto generale della norma, per quello c’è ancora tempo, ma comunque assai significato. Si tratta di un punto che interessa due principi generali del nostro ordinamento che trovano fondamento nel combinato disposto dell’art. 3 con il successivo art. 97 della Costituzione. Nel caso specifico, il ruolo dei pubblici concorsi e le condizioni di accesso. Il fine dei pubblici concorsi non può che essere quello di selezionare i migliori, garantendo a tutti, a parità di condizioni, la possibilità di partecipare.”

La Corte Costituzionale con la decisione n. 251 del 8.11.2017 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 110, ultimo periodo, della legge 13 luglio 2015, n. 107 e l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, terzo comma, ultimo periodo, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, recante «Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria per renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e culturale della professione, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera b), della legge 13 luglio 2015, n. 107». 

Una decisione che renderà possibile anche ai docenti di ruolo la partecipazione ai prossimi concorsi. Un’opportunità che può avere effetti su diversi versanti, da quello professionale  alle condizioni lavorative

 


 

 

SENTENZA N. 251, 2017 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

 

ha pronunciato la seguente 

SENTENZA 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 110, della legge 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanze del 12 aprile 2016 e del 28 novembre 2016, rispettivamente iscritte al n. 134 del registro ordinanze 2016 ed al n. 42 del registro ordinanze 2017, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2016 e n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2017. 

Visto l’atto di costituzione di P. G. e M. G., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 

udito nell’udienza pubblica del 7 novembre 2017 e nella camera di consiglio dell’8 novembre 2017 il Giudice relatore Giuliano Amato; 

uditi l’avvocato Sergio Galleano per P. G. e M. G., e l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri. 

 

Ritenuto in fatto 

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con due ordinanze di analogo tenore, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 110, della legge 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), in riferimento agli artt. 2, 3, 4, secondo comma, 51, primo comma, e 97 della Costituzione. 

La disposizione è censurata nella parte in cui prevede che «[a]i concorsi pubblici per titoli ed esami non può comunque partecipare il personale docente ed educativo già assunto su posti e cattedre con contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato nelle scuole statali». 

2.– In particolare, nell’ordinanza iscritta al r.o. n. 134 del 2016, il rimettente riferisce di essere chiamato a decidere in ordine al ricorso proposto da due docenti di ruolo avverso il decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR) 23 febbraio 2016, n. 106 (Concorso per titoli ed esami finalizzato al reclutamento del personale docente per i posti comuni dell’organico dell’autonomia della scuola secondaria di primo e secondo grado), il quale – in applicazione della disposizione censurata – ha escluso dalla partecipazione al concorso pubblico i docenti già assunti nelle scuole statali con contratto a tempo indeterminato. 

2.1.– Il giudice a quo ritiene che il comma 110 abbia aggiunto un requisito ulteriore, sebbene in negativo, rispetto alla disposizione di cui all’art. 402 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), il quale individua, tra i requisiti di ammissione alle procedure concorsuali, esclusivamente la laurea e l’abilitazione. 

La disposizione censurata, in quanto onnicomprensiva e riferita, senza limitazioni di alcun genere, a tutti i docenti di ruolo a tempo indeterminato della scuola statale, preclude ai ricorrenti la partecipazione alla suddetta procedura concorsuale. Il giudizio a quo non potrebbe, pertanto, essere definito indipendentemente dalla soluzione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 110, della legge n. 107 del 2015. 

D’altra parte, osserva il TAR Lazio, la rilevanza della questione non sarebbe esclusa dalla natura cautelare del giudizio in cui la questione di costituzionalità è sollevata, atteso che la potestas iudicandi non potrebbe ritenersi esaurita laddove la concessione della misura cautelare, come nella specie, è fondata, quanto al fumus boni iuris, sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale. 

2.2.– Con riferimento alla non manifesta infondatezza, è denunciato, in primo luogo, il contrasto con l’art. 3 Cost., anche in combinato disposto con il successivo art. 97 Cost. 

Il giudice a quo evidenzia che, nella disciplina del comma 110, l’esclusione dalla partecipazione al concorso si fonda su due circostanze: la conclusione di un contratto a tempo indeterminato e l’assunzione alle dipendenze della scuola statale (anziché di una scuola privata paritaria). Tuttavia, né la durata del contratto, né la natura del datore di lavoro, costituirebbero criteri ragionevoli ai fini dell’individuazione dei partecipanti al concorso pubblico per il reclutamento del personale docente. Da ciò conseguirebbe un’ingiustificata disparità di trattamento. 

Invero, la circostanza addotta da parte dell’amministrazione – secondo cui non sarebbero equiparabili, ai fini dell’interesse alla partecipazione al concorso, le posizioni dei candidati precari della scuola statale, i quali ambiscono a ottenere un posto di lavoro, rispetto a quella dei concorrenti già assunti nelle scuole statali, i quali ambiscono, invece, a ottenere un diverso ruolo nell’ambito della medesima amministrazione – non assumerebbe valenza dirimente. 

Infatti, mentre i docenti della scuola statale con contratto a tempo indeterminato non possono partecipare ai concorsi in questione, nemmeno per una diversa classe concorsuale o per un diverso ordine di scuola, possono, invece, parteciparvi – oltre ai docenti con contratto a tempo determinato presso le scuole statali – i docenti con contratto a tempo indeterminato alle dipendenze delle scuole private paritarie, nonché tutto il personale non docente dipendente dal MIUR e, ancora, il personale dipendente di altre amministrazioni pubbliche, anche statali, o anche di enti privati, purché in possesso del relativo titolo abilitativo. Non si comprenderebbe, pertanto, il motivo della esclusione dei docenti della scuola statale con contratto a tempo indeterminato. 

Il giudice a quo ritiene che siffatta disparità non possa ritenersi giustificata dalla finalità perseguita dall’amministrazione, di assorbimento del cosiddetto precariato storico della scuola. 

Si tratta infatti, di un concorso che ha come «causa tipica» la selezione dei candidati più meritevoli. L’interesse pubblico perseguito dovrebbe essere primariamente quello di selezionare i migliori candidati per le posizioni professionali da ricoprire e la limitazione della platea dei candidati sarebbe distonica rispetto alla realizzazione di tale obiettivo. In realtà, in riferimento alla procedura in esame, la finalità di eliminare il precariato storico non risulta neppure indicata esplicitamente da parte del legislatore (come è avvenuto, invece, con il piano straordinario di assunzione, di cui ai commi 95 e seguenti dell’art. 1 della stessa legge n. 107 del 2015). 

D’altra parte, osserva il TAR rimettente, in quanto riferita a tutte le procedure concorsuali per titoli ed esami, a decorrere dal concorso pubblico di cui al comma 114, la disposizione censurata riveste carattere generale, essendo destinata a operare a pieno regime, senza limiti temporali finali, e quindi anche ad eventuali futuri concorsi pubblici, anche allorché le graduatorie si siano definitivamente esaurite. 

In realtà, la finalità di porre fine al precariato storico nella scuola finirebbe per essere contraddetta proprio dalla mancata previsione di alcuna limitazione alla partecipazione ai concorsi per il personale non docente dipendente dal MIUR e del personale dipendente a tempo indeterminato presso altre amministrazioni pubbliche, in possesso del relativo titolo abilitativo. 

Il TAR Lazio riconosce che i docenti possono avvalersi della mobilità professionale – consistente nel trasferimento da un ruolo a un altro, oppure nel passaggio da una classe di concorso ad un’altra del medesimo ruolo – ai fini di soddisfare le proprie aspettative di miglioramento della posizione lavorativa e professionale, sia in termini qualitativi sia economici. La mobilità ha, infatti, come obiettivi, sia quello di risolvere il soprannumero dei docenti, sia quello di valorizzare le loro esperienze professionali. 

Tuttavia, ad avviso del rimettente, la mobilità professionale, da un lato, e la partecipazione al concorso pubblico, dall’altro lato, operano su piani diversi, atteso che, mentre per la prima sono previste apposite tabelle con i relativi punteggi (di servizio, di anzianità e per titoli), ai fini della formazione delle relative graduatorie, invece, nel concorso pubblico rilevano i punteggi conseguiti nelle relative prove. Si tratterebbe, inoltre, di istituti i quali hanno tempi ed effetti non sovrapponibili. 

Il giudice rimettente osserva, altresì, che dall’ammissione al concorso dei docenti già assunti a tempo indeterminato deriverebbe, in caso di esito favorevole, la loro assunzione nella nuova posizione, con conseguente scopertura della precedente e la possibilità di successiva assegnazione di quest’ultima ad altro soggetto. 

2.2.1.– Il rimettente denuncia, inoltre, il contrasto con l’art. 4, secondo comma, Cost., anche in combinato disposto con l’art. 2 Cost., in quanto l’impossibilità di partecipare ad una procedura concorsuale per una diversa classe di concorso o un diverso ordine di scuola, ritenuti più gratificanti o più remunerativi, finirebbe per vanificare, in concreto, un apposito percorso di studi – impegnativo sia sotto il profilo temporale, sia sotto il profilo economico – senza che il criterio selettivo previsto (la mancata stipula di un contratto a tempo indeterminato nella scuola statale), sia in alcun modo riconducibile a requisiti di capacità o di merito. 

2.2.2.– È denunciato, infine, il contrasto con l’art. 51, primo comma, Cost., in quanto sarebbe immotivatamente preclusa ai docenti di ruolo a tempo indeterminato della scuola statale la possibilità di concorrere in posizione di parità con i docenti precari della scuola, ai fini dell’immissione in ruolo in un diverso ordine di scuola o in una diversa classe di concorso. 

3.– Le parti ricorrenti nel giudizio principale si sono costituite chiedendo che, in accoglimento della questione sollevata dal giudice a quo, sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata, richiamando al riguardo argomenti già illustrati nella motivazione dell’ordinanza di rimessione. 

3.1.– Esse ritengono, inoltre, che l’impossibilità di concorrere per una classe di concorso più gratificante e più remunerativa, vanificando un impegnativo percorso di studi, si ponga in contrasto anche con il diritto allo studio (art. 34, terzo comma, Cost.) e con la «tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni» (art. 35, primo comma, Cost.). 

3.2.– Sarebbe violato anche il principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., poiché la limitazione della platea dei partecipanti al concorso non sarebbe coerente con l’interesse pubblico asseritamente perseguito, di individuazione dei docenti più meritevoli, e non ricorrerebbero quelle «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» che, secondo la giurisprudenza costituzionale, sarebbero idonee a giustificare eventuali deroghe al principio della massima partecipazione ai concorsi pubblici. 

In particolare, nel caso in esame, il sacrificio del principio di uguaglianza e di parità di accesso dei cittadini agli impieghi pubblici non sarebbe giustificato né dall’opportunità di garantire la continuità didattica dei docenti, né dall’esigenza di salvaguardare le posizioni dei docenti privi di contratto a tempo indeterminato. 

Quanto alla continuità didattica, ad avviso delle parti private, questa non sarebbe pregiudicata tanto dalla progressione di carriera dei docenti, quanto dalla mobilità professionale e dalle assegnazioni provvisorie dei docenti in altra classe concorsuale o in altro ordine di scuola. 

In ogni caso, ad avviso delle parti private, tale argomento non sarebbe più utilizzabile. Infatti, l’accesso dei docenti alla mobilità straordinaria avverrà in deroga ai precedenti vincoli normativi volti ad assicurare la continuità didattica, poiché è stato rimosso il vincolo di permanenza triennale in una determinata provincia, consentendo così a tutti i docenti di accedere alla mobilità territoriale. 

Quanto alla posizione dei docenti privi di contratti a tempo indeterminato, le parti private osservano che la cattedra lasciata libera dal docente di ruolo, per il superamento del concorso in un’altra classe concorsuale, è destinata ad essere assegnata in ruolo ad un altro docente precario, con conseguente riduzione delle graduatorie ad esaurimento, le quali, tra l’altro, sarebbero state sostanzialmente svuotate, per effetto del piano straordinario di assunzioni. 

La disposizione censurata sarebbe altresì lesiva del principio dell’affidamento e del principio generale dei diritti acquisiti dai docenti con il conseguimento dell’abilitazione, anche con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. I ricorrenti vantano, infatti, una legittima aspettativa ad utilizzare nelle procedure concorsuali il titolo di abilitazione conseguito. 

3.3.– Ad avviso delle parti ricorrenti, l’esclusione dalla procedura concorsuale penalizza ingiustificatamente i lavoratori a tempo indeterminato rispetto a quelli a tempo determinato e si porrebbe, altresì, in contrasto con gli artt. 11 e 117 Cost., in riferimento ai principi espressi dalla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, in base alla quale il legislatore interno non può adottare misure volte a discriminare i lavoratori a tempo indeterminato rispetto ai lavoratori a tempo determinato. 

Le parti private ritengono che l’irragionevole esclusione dei docenti assunti a tempo indeterminato contrasti anche con i principi di pari opportunità e non discriminazione di cui alla direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, nonché, più in generale, con l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. Sarebbero violati, infatti, i principi di pari opportunità e uguaglianza, essendo tali docenti discriminati sotto il profilo della progressione e diversificazione professionale non solo rispetto ai dipendenti del MIUR, ma anche rispetto ai dipendenti a tempo indeterminato di altre pubbliche amministrazioni, nonché rispetto ai docenti a tempo indeterminato delle scuole private. 

Inoltre, il comma 110 in esame dovrebbe essere disapplicato poiché in contrasto con l’art. 41 della Carta di Nizza. In base ai principi di buona amministrazione ed efficienza dell’azione amministrativa, la finalità del concorso pubblico non sarebbe, infatti, quella di stabilizzare il personale docente precario, bensì quella di selezionare i migliori candidati. Pertanto, nell’espletamento di tale procedura, la pubblica amministrazione sarebbe tenuta a garantire la massima partecipazione dei docenti. 

La necessità di disapplicare l’art. 1, comma 110, in esame, discenderebbe inoltre dalla violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, compreso tra i principi dell’ordinamento comunitario, in particolare nell’art. 5 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), insito nell’art. 97 Cost. e recepito dall’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi). Tale principio non consentirebbe all’amministrazione pubblica di adottare atti non proporzionati all’interesse pubblico, essendo richiesta l’idoneità del mezzo rispetto al fine perseguito e la sua necessarietà (art. 5, comma 4, del TFUE). 

Infine, l’art. 1, comma 110, dovrebbe essere disapplicato per violazione dei principi comunitari di buona fede ed affidamento, posti a presidio dell’aspettativa derivante dal superamento delle procedure selettive necessarie per il conseguimento dell’abilitazione. Per questo motivo i ricorrenti, titolari delle necessarie abilitazioni, vantano un’aspettativa qualificata all’ammissione alla procedura bandita con il d.m. n. 106 del 2016. Il legislatore e il MIUR avrebbero leso tale affidamento, impedendo loro di partecipare a tale procedura, in quanto vincitori di un precedente concorso. 

4.– Nel giudizio da cui è derivata la successiva ordinanza iscritta al r.o. n. 42 del 2017, invece, il TAR è investito della decisione in ordine ad un ricorso, proposto da una pluralità di soggetti, avverso il «decreto c.d. “buona scuola”: d.m. n. 105 del 23.02.2015 (asilo-elementari)». 

Il giudice a quo riferisce che la questione è analoga a quella già riconosciuta non manifestamente infondata dalla precedente ordinanza iscritta al r.o. n. 134 del 2016. 

La rilevanza della questione sarebbe connessa al fatto che la normativa richiamata preclude ai ricorrenti – docenti di ruolo della scuola statale, con contratto a tempo indeterminato – la partecipazione alla procedura concorsuale per una diversa classe concorsuale o per un diverso ordine di scuola. 

Anche in questo caso, il giudice rimettente evidenzia che la rilevanza della questione non sarebbe esclusa dalla natura cautelare del giudizio a quo. 

Sulla non manifesta infondatezza della questione, sono testualmente richiamate le argomentazioni già illustrate dal medesimo TAR Lazio nella precedente ordinanza. 

5.– Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in entrambi i giudizi, la questione dovrebbe essere dichiarata inammissibile o comunque non fondata. 

5.1.– In via preliminare, l’interveniente ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate con l’ordinanza iscritta al r.o. n. 42 del 2017, per l’assenza di indicazioni utili ad una completa ricostruzione della fattispecie, necessaria al fine di valutare la rilevanza delle questioni. 

5.2.– Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato evidenzia che la procedura concorsuale bandita con il d.m. n. 106 del 2016, attuativo della disposizione censurata, è stata messa in atto per superare le criticità del sistema di reclutamento del personale scolastico, come stigmatizzate dalla sentenza della Corte di giustizia del 26 novembre 2014 (sentenza Mascolo ed altri, resa nelle cause riunite C-22/13; C-61/13; C-62/13; C-63/13; C-418/13). 

Il previgente sistema aveva, infatti, comportato l’apertura di una procedura d’infrazione comunitaria a carico dell’Italia, che è stata in seguito archiviata, avendo la Commissione europea giudicato favorevolmente le misure adottate con la legge n. 107 del 2015, ritenute idonee ad arginare il problema dell’abuso nella stipulazione dei contratti a termine. 

Per questi motivi, proprio con la legge n. 107 del 2015, il MIUR è stato autorizzato ad attuare un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente inserito nelle graduatorie di merito del concorso bandito nel 2012 e nelle graduatorie ad esaurimento (art. l, comma 95, della legge n. 107 del 2015). È stato, altresì, previsto l’avvio di una nuova procedura concorsuale per l’anno 2016 (art. l, commi 109 e 110, della legge n. 107 del 2015). 

L’Avvocatura generale dello Stato osserva che il piano straordinario, previsto dalla legge n. 107 del 2015 e regolato dal decreto del MIUR 17 luglio 2015, n. 767 (Indizione delle procedure di assunzione del personale docente in attuazione dell’art. 1 comma 95, della legge 13 luglio 2015, n. 107), ha consentito di stabilizzare un elevatissimo numero di docenti. A regime, è stato previsto, quale sistema ordinario di reclutamento, il pubblico concorso, destinato ad essere bandito – a partire dall’anno scolastico 2016/2017 – con cadenza triennale (art. l, comma 113, che ha modificato l’art. 400, comma l, del d.lgs. n. 297 del 1994). 

Nel quadro di tale sistema, la previsione censurata esprimerebbe la scelta legislativa di favorire la progressiva eliminazione del precariato storico, consentendo l’accesso del personale docente a tempo determinato ai posti messi a concorso. 

D’altra parte, non sarebbero equiparabili, ai fini della partecipazione al concorso, le posizioni dei docenti precari che ambiscono ad ottenere un posto di lavoro, rispetto a quella dei docenti, già assunti in scuole statali, che ambiscano ad ottenere un ulteriore e diverso ruolo, giacché tali risultati sarebbero conseguibili attraverso le procedure di mobilità territoriale o professionale, che sono comunque assicurate. 

La disposizione censurata dovrebbe essere letta nel contesto normativo cui accede e quindi tenendo conto degli istituti ordinari, disciplinati dal d.lgs. n. 297 del 1994 e dalla contrattazione collettiva nazionale. In particolare, l’istituto della mobilità territoriale e professionale del personale docente appresta ulteriori specifici strumenti per la realizzazione delle aspirazioni dei ricorrenti. 

La procedura concorsuale prevista dal comma 110 sarebbe, quindi, in linea con la tutela costituzionale riservata al pubblico concorso, quale strumento ordinario per l’accesso all’impiego pubblico, in condizioni di parità. La garanzia costituzionale, d’altra parte, non si estenderebbe al punto da includere anche vicende meramente modificative (e non costitutive) del rapporto di lavoro (quali l’aspirazione al mutamento di sede o di ruolo). 

La Avvocatura generale dello Stato rileva, inoltre, che i requisiti generali di ammissione al concorso, previsti dagli artt. 400 e 402 del d.lgs. n. 297 del 1994, possono essere integrati in ragione delle specifiche esigenze concorsuali perseguite dall’amministrazione. Anche sotto tale profilo, quindi, non sarebbe ravvisabile la violazione dell’art. 97 Cost. 

Con riferimento alla denunciata violazione del principio di uguaglianza, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che la posizione dei docenti di ruolo della scuola pubblica non sia equiparabile a quella dei docenti precari, dei docenti con contratto a tempo indeterminato delle scuole private paritarie, o, ancora, a quella dei dipendenti dello stesso MIUR, ovvero di altra pubblica amministrazione o ente privato con contratto a tempo indeterminato, purché muniti del titolo abilitativo. 

In particolare, i docenti a tempo determinato sono stati destinatari di una serie di disposizioni volte a favorirne la progressiva immissione nei ruoli, in particolare: (a) attingendo, per il 50 per cento dei posti vacanti e disponibili, dalle graduatorie ad esaurimento; (b) attraverso il piano straordinario di assunzioni; (c) tramite il canale del pubblico concorso, nell’ambito del quale è possibile far valere la pregressa anzianità quale titolo di servizio (art. l, comma 114, della legge n. 107 del 2015). 

D’altra parte, la difesa statale ritiene che i docenti delle scuole private paritarie non possano essere equiparati a quelli alle dipendenze del MIUR, poiché il loro rapporto non sarebbe presidiato da altrettanta stabilità; mancherebbe, inoltre, la riferita incardinazione, ostativa alla (reiterazione della) procedura di immissione nei ruoli. 

Quanto alla categoria dei “non docenti” (con contratto di lavoro a tempo indeterminato con il MIUR, o con altre amministrazioni pubbliche o private), l’Avvocatura generale dello Stato sottolinea che, ai sensi del censurato comma 110, gli stessi sono ammessi a partecipare al concorso pubblico solo se in possesso dell’abilitazione, ossia del requisito minimo di ammissione. 

Il vero discrimen, quindi, sarebbe costituito dall’abilitazione del candidato il quale, al contempo, non deve essere già incardinato nei ruoli del MIUR in qualità di docente. Pertanto, sarebbe infondata anche la lamentata lesione dell’art. 3 Cost. 

In riferimento alla violazione dell’art. 4, secondo comma, Cost., anche in combinato disposto con l’art. 2 Cost., la difesa statale ritiene che non ricorra alcuna lesione della posizione dei docenti a tempo indeterminato, in quanto l’ordinamento assicura loro la mobilità territoriale e professionale. Inoltre, gli stessi esplicano la propria attività di docenza avuto riguardo ad una classe di concorso per la quale sono abilitati e svolgono, quindi, mansioni pienamente riconducibili alla qualifica di appartenenza ed alla classe di abilitazione. Più in generale, la difesa statale ritiene che il diritto al lavoro non possa essere inteso come limitazione del diritto di stabilire specifiche regole in materia di reclutamento del personale, funzionali al buon andamento dell’amministrazione. 

Infine, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che il riferimento alla violazione dell’art. 51, primo comma, Cost., sia inconferente, non essendo in discussione una discriminazione di genere. 

In prossimità dell’udienza pubblica, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria in cui, dopo avere richiamato i principi affermati nella sentenza n. 192 del 2016, ha insistito affinché la questione sia dichiarata infondata. 

 

Considerato in diritto 

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con due ordinanze di analogo tenore, iscritte al r.o. n. 134 del 2016 e n. 42 del 2017, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 110, della legge 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), in riferimento agli artt. 2, 3, 4, secondo comma, 51, primo comma, e 97 della Costituzione. 

La disposizione è censurata nella parte in cui prevede che «[a]i concorsi pubblici per titoli ed esami non può comunque partecipare il personale docente ed educativo già assunto su posti e cattedre con contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato nelle scuole statali». 

2.– Considerata l’identità delle questioni sollevate, i giudizi devono essere riuniti per una decisione congiunta. 

3.– Deve essere, in primo luogo, rilevata l’inammissibilità delle deduzioni svolte dalle parti costituite, ricorrenti nel giudizio a quo, volte ad estendere il thema decidendum – quale definito nell’ordinanza di rimessione – anche alla violazione dei parametri di cui agli artt. 34, terzo comma, 35, primo comma, 11 e 117, primo comma, Cost. 

Rispetto a tali profili di illegittimità, che il giudice a quo non ha fatto propri, va richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione. Pertanto, non possono essere presi in considerazione ulteriori questioni o profili di costituzionalità dedotti dalle parti, sia eccepiti, ma non fatti propri dal giudice a quo, sia volti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse ordinanze (ex plurimis, sentenze n. 35 e n. 29 del 2017; n. 214 e n. 96 del 2016; n. 231, n. 83, n. 56, n. 37 e n. 34 del 2015). 

4.– Sono inammissibili le questioni sollevate dall’ordinanza iscritta al r.o. n. 42 2017. 

Il TAR Lazio, con tale ordinanza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 51 e 97 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 110, della legge n. 107 del 2015. Tuttavia, la descrizione della fattispecie sottoposta all’esame del giudice a quo denota gravi carenze. 

Dall’epigrafe dell’ordinanza risulta che il rimettente è investito della decisione in ordine ad un ricorso proposto da una pluralità di soggetti per l’annullamento del decreto del MIUR 23 febbraio 2016, n. 105 (Concorso per titoli ed esami finalizzato al reclutamento del personale docente per posti comuni dell’organico dell’autonomia della scuola dell’infanzia e primaria). Non sono fornite altre indicazioni ai fini della ricostruzione della fattispecie. In particolare, non è indicata la posizione giuridica soggettiva fatta valere dai ricorrenti, né i motivi di impugnazione né, in definitiva, le ragioni per le quali il giudice a quo ritenga di dover applicare la disposizione censurata. 

Tali carenze nella descrizione della fattispecie, relative a circostanze pregnanti nella prospettazione delle censure, non consentono a questa Corte la necessaria verifica della rilevanza delle questioni e comportano, quindi, l’inammissibilità delle stesse (ex plurimis, ordinanze n. 187 e n. 12 del 2017). 

5.– In via preliminare, va rilevato che – a partire dai concorsi per il reclutamento del personale docente banditi dopo il 31 maggio 2017 – la disposizione censurata non è più applicabile. 

Infatti, l’art. 21, lettera a), del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, recante «Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria per renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e culturale della professione, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera b), della legge 13 luglio 2015, n. 107», ha stabilito la «disapplicazione» della disposizione oggetto di censura. 

In quanto espressamente riferito alle procedure concorsuali bandite successivamente alla sua entrata in vigore, l’art. 21, lettera a), del d.lgs. n. 59 del 2017 è ininfluente rispetto al giudizio a quo, in cui si contesta la legittimità della procedura concorsuale indetta con il decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR) 23 febbraio 2016, n. 106 (Concorso per titoli ed esami finalizzato al reclutamento del personale docente per i posti comuni dell’organico dell’autonomia della scuola secondaria di primo e secondo grado), adottato ratione temporis in applicazione della disposizione censurata. 

6.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 110, della legge n. 107 del 2015, sollevate dal TAR Lazio con ordinanza iscritta al n. 134 del 2015, sono fondate, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost. 

6.1.– La disposizione censurata esclude dai concorsi pubblici per il reclutamento dei docenti coloro che siano stati assunti con contratto a tempo indeterminato nelle scuole statali. In questo modo, il diritto di partecipare al concorso pubblico è condizionato alla circostanza – invero “eccentrica” rispetto all’obiettivo della procedura concorsuale di selezione delle migliori professionalità – che non vi sia un contratto a tempo indeterminato alle dipendenze della scuola statale. Di contro, un’analoga preclusione non è prevista per i docenti con contratto a tempo indeterminato alle dipendenze di una scuola privata paritaria, né per i docenti immessi nei ruoli di altra amministrazione. 

La contestata esclusione si fonda sulla durata del contratto (a tempo determinato, ovvero a tempo indeterminato) e sulla natura del datore di lavoro (scuola pubblica o scuola paritaria; amministrazione della scuola o altre amministrazioni). Tuttavia, nessuno di tali criteri appare funzionale all’individuazione della platea degli ammessi a partecipare alle procedure concorsuali, le quali dovrebbero, viceversa, essere impostate su criteri meritocratici, volti a selezionare le migliori professionalità. 

6.2.– Ciò premesso, la ratio dell’esclusione in esame non può essere ravvisata nella finalità di assorbimento del precariato. 

Se è pur vero che non sono equiparabili, ai fini dell’interesse alla partecipazione al concorso, le posizioni dei docenti precari della scuola statale, i quali ambiscono a ottenere un posto di lavoro, rispetto a quella dei docenti assunti a tempo indeterminato, i quali ambiscono, invece, al miglioramento della propria posizione professionale – come ritenuto nella sentenza n. 192 del 2016 – tuttavia tale considerazione non rileva nel caso in esame. 

L’obiettivo del tempestivo assorbimento del precariato è adeguatamente perseguito dal piano straordinario di assunzioni, di cui ai precedenti commi da 95 a 105. Il comma 104, in particolare, prevede che «[è] escluso dal piano straordinario di assunzioni il personale già assunto quale docente a tempo indeterminato alle dipendenze dello Stato, anche se presente nelle graduatorie […] e indipendentemente dalla classe di concorso, dal tipo di posto e dal grado di istruzione per i quali vi è iscritto o in cui è assunto». 

L’esigenza di riaffermare nel successivo comma 110 l’esclusione dei docenti con contratto a tempo indeterminato, già prevista dal precedente comma 104, pone in luce il differente ambito applicativo delle due previsioni in esame. Infatti, mentre l’esclusione di cui al comma 104 si riferisce al reclutamento straordinario disciplinato nei commi da 95 a 105, quella del comma 110 è riferita, più in generale, al sistema ordinario di reclutamento dei docenti previsto dai commi 109 e seguenti, ed è destinata ad applicarsi «comunque» ai concorsi pubblici per titoli ed esami, dopo il completamento del piano. 

L’esclusione prevista dal comma 110 si proietta, quindi, su un orizzonte temporale più ampio di quella del precedente comma 104. Essa trova applicazione nel sistema di reclutamento “a regime”, ossia dopo il completamento del piano straordinario di assunzioni. La finalità di assorbimento del precariato, in quanto legata ad esigenze di natura straordinaria, non è viceversa replicabile in riferimento al sistema ordinario di reclutamento, il quale presuppone il superamento della prospettiva dell’emergenza, attraverso il raggiungimento degli obiettivi programmati. 

6.2.1.– D’altra parte, la finalità di riassorbire tempestivamente il precariato risulta contraddetta proprio dall’inesistenza di un’analoga preclusione per i docenti a tempo indeterminato della scuola paritaria, nonché per coloro che, in possesso delle necessarie abilitazioni, già abbiano un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze del MIUR o di altre amministrazioni. Tali soggetti, ancorché già titolari di contratto di lavoro a tempo indeterminato, sono ammessi a partecipare ai concorsi, a parità di condizioni, con i docenti precari della scuola. 

In questo modo, la disposizione in esame contraddice la stessa finalità in nome della quale essa sacrifica i diritti dei docenti della scuola statale con contratto a tempo indeterminato. 

6.2.2.– Va inoltre rilevato, in una prospettiva di sistema, che la preclusione imposta ai docenti di ruolo può rivelarsi ininfluente ai fini dell’obiettivo asseritamente perseguito, non arrecando alcun sostanziale vantaggio in termini di migliore allocazione delle risorse lavorative. 

Infatti, l’accesso ai concorsi dei docenti con contratto a tempo indeterminato darebbe luogo, nel caso di esito favorevole, all’assunzione degli stessi nella “nuova” posizione, con conseguente scopertura della posizione precedentemente ricoperta, che potrebbe, quindi, essere successivamente assegnata ad altri. 

6.3.– Nel restringere irragionevolmente la platea dei partecipanti al pubblico concorso, la disposizione in esame confligge non solo con l’art. 3 Cost., ma anche con i principi enunciati dagli artt. 51 e 97 Cost. 

Posto che «il merito costituisce, invero, il criterio ispiratore della disciplina del reclutamento del personale docente» (sentenza n. 41 del 2011), la preclusione stabilita dal comma 110 contraddice tale finalità, impedendo sia di realizzare la più ampia partecipazione possibile, sia di assicurare condizioni di effettiva parità nell’accesso. 

7.– Rimangono assorbite le ulteriori censure del rimettente. 

8.– Ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la dichiarazione di illegittimità costituzionale va estesa, in via consequenziale, all’art. 17, comma 3, ultimo periodo, del d.lgs. n. 59 del 2017. 

Con questa disposizione, nel disciplinare la fase transitoria del reclutamento del personale docente, il legislatore delegato ha previsto che, entro il febbraio 2018, sia bandita una procedura concorsuale in ciascuna Regione, per ciascuna classe di concorso e tipologia di posto. 

Sebbene l’art. 21 del medesimo d.lgs. n. 59 del 2017 preveda la «disapplicazione» del comma 110 dell’art. 1 della legge n. 107 del 2015 e della preclusione ivi stabilita, l’art. 17, terzo comma, dello stesso decreto richiede, ancora una volta, per la partecipazione alla prossima procedura concorsuale, «l’ulteriore requisito di non essere titolari di un contratto di lavoro a tempo indeterminato da docente presso le scuole statali». 

È bensì vero che, a differenza del comma 110, in precedenza esaminato, questa disposizione collega la rinnovata preclusione all’espressa finalità «[…] di superare il precariato e ridurre il ricorso ai contratti a termine». Tuttavia, per i motivi illustrati in riferimento all’illegittimità della disposizione precedente, l’avere esplicitato la finalità che la norma intende realizzare rende ancora più irragionevole e discriminatoria la ripetizione della disposizione che, non diversamente dal comma 110, esclude dal concorso i docenti a tempo indeterminato della scuola statale e vi ammette, viceversa, quelli alle dipendenze del MIUR o di altra amministrazione, nonché i docenti a tempo indeterminato della scuola paritaria. Ciò evidenzia l’incongruità, già rilevata in riferimento al comma 110, tra tale asserita finalità e il mezzo prescelto per realizzarla e rende conseguentemente illegittima la disposizione. 

per questi motivi 

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, 

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 110, ultimo periodo, della legge 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti); 

2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, terzo comma, ultimo periodo, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, recante «Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria per renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e culturale della professione, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera b), della legge 13 luglio 2015, n. 107»; 

3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 110, della legge n. 107 del 2015, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 4, secondo comma, 51, primo comma, e 97 Cost., dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanza iscritta al n. 42 del registro ordinanze 2017. 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 novembre 2017. 

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2017.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

 

 

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