29/12/2006
di Maria Grazia Anatra*
Nel nostro paese ad ogni mutamento di governo, ad ogni legislatura avviata sembra quasi automatico aspettarsi una riforma, “quella buona“ che trasformi la scuola italiana da rospo zoppicante a principe valoroso, quasi che la bacchetta magica del legislatore possa innescare ipso facto un percorso virtuoso complessivo. In realtà le questioni cruciali su cui si gioca la credibilità del sistema formativo italiano nel contesto europeo e in quello più allargato dei paesi emergenti, si pensi ai paesi asiatici, sono già state da tempo individuati. La legge 59/97 sull’Autonomia delle istituzioni scolastiche ha creato le condizioni affinché alcune delle criticità del sistema scuola possano trovare risoluzione, ma ahimè nel nostro paese non si giunge mai alla determinazione di far seguire alle parole i fatti. Eppure il richiamo ai fatti, alle realtà esistenti fuori casa nostra dovrebbe aiutarci a comprendere l’urgenza di trasformazioni improcrastinabili per il nostro sistema scolastico.
Recentemente è stato pubblicato il Rapporto annuale 2006 dell’OCSE (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico, comprendente trenta paesi membri e altri con il ruolo di partner) dal titolo“Uno sguardo all’Educazione”. Ebbene il quadro che emerge dalla mole dei dati raccolti e pubblicati nel massiccio volume è quello di un sistema educativo poco efficiente, con risorse scarse, e nonostante i costi elevati per studente non in grado di ottenere risultati soddisfacenti. Chiunque stenterebbe a credere, dal raffronto con gli altri paesi, che tale scenario appartenga al settimo paese più industrializzato al mondo. I nostri studenti delle superiori messi a confronto, tramite prove standardizzate, con i coetanei di altri paesi su Matematica, Problem Solving, Scienze ottengono risultati deludenti: terzultimi nei risultati dei test Pisa (2003) (Programme for International Student Assessment) in matematica, ci aggiudichiamo risultati simili nei test sul Problem Solving, mentre ci collochiamo al tredicesimo posto tra i paesi più industrializzati per i risultati riguardanti le Scienze. Gli investimenti nell’educazione continuano ad essere miseri: con il 4,9% del Pil nazionale ci distanziamo di circa un punto (5,8%) dalla media dei paesi OCSE, mentre se consideriamo il costo per studente sia per la scuola media inferiore che superiore, esso appare più alto di almeno un punto percentuale rispetto alla media degli altri paesi. Altra contraddizione che fa riflettere: nel nostro paese sia il rapporto alunni/docenti che quello degli alunni per classe risulta basso e dunque positivo rispetto alla media OCSE, salvo rendersi conto che tale dato virtuoso non trova conferma negli esiti scolastici a dir poco preoccupanti dei nostri studenti, visto che soltanto alle superiori i ripetenti (8,8%) sopravanzano di ben 6 punti la media OCSE (2%).Ultima considerazione quella sui docenti italiani: nella maggioranza di sesso femminile, anche se con percentuali diverse nei vari ordini di scuola, sono decisamente più “anziani“nelle scuole medie e alle superiori rispetto ai paesi OCSE e percepiscono uno stipendio mediamente più basso, circa la metà a termine carriera, dei colleghi lussemburghesi, o comunque inferiori alle retribuzioni della Spagna del Portogallo, Corea,… anche se i carichi di lavoro per il corpo insegnante nazionale risultano allineati con la media OCSE.
Su questo panorama a tinte fosche del nostro sistema istruttivo ultimamente da più parti si sono levate voci autorevoli provenienti soprattutto dal mondo economico, si pensi alla Lectio magistralis del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi presso la Facoltà di Economia della Sapienza, o all’intervento del Presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo a Varese in occasione dell’Orientagiovani. Ebbene in ambedue i casi si individua “nell’istruzione uno dei motori fondamentali della crescita economica, ancora più importante nelle fasi di rapido progresso tecnico. L’istruzione è una medicina potente per avere maggiore partecipazione al mercato del lavoro, maggiore produttività, maggiore competitività”. Ciò che si ritiene essenziale è “incidere soprattutto sulla qualità dell’istruzione… sulla necessità di sostenere gli studenti meritevoli e le loro famiglie in modo da garantire a tutti i giovani le medesime opportunità di successo nell’apprendimento, purché si adoperino per meritarlo”. Ebbene c’è da chiedersi quanto di queste indicazioni, largamente condivisibili la scuola italiana abbia recepito fino a questo momento e concretamente messe in atto. L’Autonomia scolastica concepita come innalzamento della qualità della scuola prevede che il Piano dell’offerta formativa, carta d’identità di ogni istituzione scolastica, diventi qualcosa di più di un elenco più o meno esteso d’iniziative che la scuola conduce o intende condurre.Una cultura organizzativa efficace deve individuare nel Pof un piano di gestione strategica, una vision condivisa, delle priorità d’intervento che necessariamente traggano origine da una seria autovalutazione dell’esistente, individuando criticità e debolezze, e che in conseguenza di ciò delinei piani di intervento, valutandone i risultati ottenuti per riesaminare le attività. Una scuola responsabile misura i propri risultati e fa opera di rendicontazione alle parti interessate, non teme la trasparenza e il confronto con altre istituzioni scolastiche, anzi lo ritiene un utile strumento di crescita e di miglioramento continuo.
Da ultimo una breve riflessione sulla questione relativa al merito e alla competitività, termini pressoché banditi ormai all’interno del lessico “scolastichese”, caduti in disgrazia da qualche decennio per un falso senso del pudore o perché ritenuti “politicamente scorretti”. In questi ultimi anni le nostre istituzioni scolastiche sostenute da iniziative MIUR, o finanziate da enti provinciali o regionali si sono adoperate su tutto il territorio nazionale per attivare progetti di recupero e di supporto rispetto alle difficoltà d’apprendimento, a situazioni di disagio giovanile contro la dispersione e l’insuccesso scolastico, utili forme di sostegno all’apprendimento che molti paesi europei curano con sostanziosi finanziamenti, ma che a casa nostra, visti i risultati del Rapporto OCSE, sembrano non raggiungere spesso positivi traguardi. Probabilmente occorrerà ripensare le modalità degli interventi sul tema della prevenzione dell’insuccesso scolastico, ma nasce comunque un interrogativo circa i motivi dello scarso interesse dimostrato fino ad oggi dai vari ministri dell’istruzione circa l’attivazione d’altrettante azioni non solo di recupero, ma di potenziamento, di valorizzazione, di crescita ed eccellenza degli studenti “più bravi” o come qualcuno li ha definiti meritevoli.
Le pratiche didattiche tradizionali troppo spesso infatti trascurano e dimenticano potenzialità da coltivare e da affinare dei cosiddetti “più bravi e motivati”. Una lacuna che rischia di incidere negativamente sulla competitività del paese, in una fase storica in cui l’investimento sul capitale umano e sulle sue potenzialità diventerà progressivamente una discriminante dello sviluppo.
È lecito dunque attendersi e chiedere un pò più di coraggio per cambiare strada?
* Presidente Sezione AND di Lucca