Le altissime adesioni allo sciopero unitario delle organizzazioni di categoria contro il DDL di riforma della scuola in discussione nelle commissioni parlamentari, rappresenta un fatto di grande rilevanza politica, sociale e culturale, un’assoluta novità per quanto riguarda la storia recente della scuola italiana. Per esperienza personale e dalle testimonianze dirette di tanti amici che hanno trascorso buona parte della loro vita lavorativa nel mondo della scuola, si può tranquillamente affermare che non si era infatti mai verificato che la quasi totalità dei docenti di moltissime scuole avesse aderito, informando preventivamente il preside (fatto peraltro assolutamente non dovuto).
Si tratta di un eccezionale senso di appartenenza e di solidarietà di una categoria che non era per niente scontato e che, sicuramente, non può essere liquidato superficialmente con qualche battuta di dubbio gusto che vedrebbe questo vivace, ricco, vario e civile movimento di protesta diffuso in ogni parte d’Italia, come un tentativo di difendere privilegi, lunghi periodi di vacanza e altre nefandezze che soltanto soggetti ignoranti di tutto ciò che avviene quotidianamente nelle aule scolastiche possono arrivare a pensare. La risposta è invece da ricercare su una effettiva presa di coscienza e consapevolezza della gravità delle scelte che si vorrebbero inserire, in termini organizzativi e gestionali, nella istituzione scuola, fino ad ora luogo di esercizio e pratica quotidiana della libertà, di costante ricerca del sapere in linea con i sacrosanti principi della Costituzione della Repubblica Italiana. Una scuola pubblica e aperta a tutti, che garantisce il sostegno a ogni cittadino, senza alcuna distinzione sociale, culturale, religiosa, etnica o economica, offrendo la possibilità di realizzare la personalità umana in pienezza. Oggi pare proprio che questa grande visione di alto profilo di civiltà sia stata dimenticata o, peggio, volutamente trascurata dai nuovi legislatori, in nome di un efficientismo pressapochista e a dir poco superficiale che, con la scusa del cambiamento imposto dalle dinamiche della società globale, nasconde un disegno distruttivo di quello che di buono la storia repubblicana italiana ha realizzato proprio grazie alla scuola pubblica.
È davvero sorprendente la veemenza, la grossolanità volgare di molte delle uscite che quotidianamente ci vengono propinate da esponenti del governo, a cominciare dallo stesso presidente del consiglio, attraverso tutti i mezzi di comunicazione. Si tratta davvero di atteggiamenti gravi e irriguardosi che non hanno nulla a che vedere con la normale dialettica politica, la logica democratica e il diritto a governare di chi ha ricevuto questo incarico. Ma il problema è tutto qui: il mandato democratico è a governare, non a comandare secondo una visione di tipo padronale. Ciò deve valere ancora di più se si ha la pretesa di riformare seriamente la scuola alla quale, a parole, si riconosce un ruolo centrale per il futuro dell’Italia; mai come in questo caso ci sarebbe bisogno della massima collegialità, di un confronto in profondità che ascolti e tenga conto veramente delle istanze del mondo della scuola. E invece cosa si è fatto e si sta facendo? Cosa ne è stato della tanto pubblicizzata consultazione sulla buona scuola? Perché le centinaia di rilievi, suggerimenti ed eccezioni sollevate con estrema puntualità nei questionari sono rimasti lettera morta? Sono soltanto alcuni degli interrogativi che ancora attendono risposte, delle quali sicuramente non c’è traccia nel decreto in transito nella commissione parlamentare dove, invece, ci sono inquietanti stravolgimenti dell’impianto di scuola democratica disegnato secondo i principi della carta costituzionale. Fra le altre amenità vi è l’invenzione del super preside con poteri e funzioni assolutamente incompatibili con la scuola repubblicana. Sono davvero tante e sacrosante le ragioni per scioperare ed esprimere con tutte le forze il proprio sdegno e assoluta contrarietà nei confronti di un progetto di riforma che considera le lavoratrici e i lavoratori della scuola, ma anche gli studenti e le loro famiglie, come semplici pedine da muovere nello scacchiere finanziario, secondo logiche ispirate a criteri privatistici e iniqui.
Buon 5 maggio 2015 a tutti voi, docenti, studenti, genitori e personale ata; facciamo in modo che questa data passi alla storia come un giorno di festa della libertà, della democrazia, della cultura e del riscatto della scuola pubblica.
Pio G. Sangiovanni