La scuola al centro della società, laboratorio permanente di formazione delle generazioni del futuro, luogo di scoperta e sperimentazione dei valori di libertà e democrazia, tollerante, accogliente, inclusiva, solidale con il diverso e il bisognoso o meno fortunato, … Un elenco infinito di valori e contenuti sostanziali di cui la scuola italiana si è nutrita e che purtroppo rischiano fatalmente di diventare soltanto una sequela di buone intenzioni, svuotate di ogni sostanza in nome di un astratto e sommario principio di efficientismo burocratico e formalista.
È questa la conclusione che ci si sente di trarre a quasi un anno e mezzo, ormai, dall’entrata in vigore della Legge 107/2015 di riforma della scuola. Anche se ancora non si sono completamente visti gli effetti dei provvedimenti contenuti nei commi dell’ennesima norma che investe la scuola italiana, sono chiari a tutti gli effetti devastanti che l’insieme delle norme produce su una istituzione divenuta, a partire dalla promulgazione della Costituzione repubblicana, uno dei punti di riferimento cruciali per la crescita culturale e la formazione di una cittadinanza consapevole dei propri diritti e doveri, di coscienze critiche mature che si battono affinché valori fondanti come libertà, democrazia, giustizia sociale e solidarietà siano gli elementi irrinunciabili per evitare che una società possa nuovamente precipitare nel baratro dei totalitarismi, dell’intolleranza e delle discriminazioni di ogni sorta. In questi settant’anni di storia repubblicana è stato anche grazie alla scuola che la nostra società ha sviluppato un nuovo grande senso della civile convivenza non più esclusivo, ma a livello planetario e ben al di là, quindi, degli angusti limiti spaziali nazionali o addirittura europei. Un settantennio durante il quale tante generazioni si sono passate questo testimone di civiltà, come un’ideale fiaccola del pensiero che, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, ha avuto come obiettivo fisso quello di allargare gli orizzonti della mente verso la costruzione di una società aperta, di cittadini responsabili e solidali. Il tutto in nome del principio costituzionale che ogni cittadino ha il diritto di ricevere la giusta mercede per il lavoro svolto partendo dal presupposto universalmente riconosciuto, che bisogna adeguare il lavoro all’uomo, non viceversa. E invece, cosa si è verificato negli ultimi decenni e oggi sembra giungere alle conseguenze più nefaste? Il comma 29 della legge 107/2015 ha introdotto il cosiddetto bonus, una sorta di regalia che si rivelata devastante in quanto ha introdotto elementi formidabili di divisione, conflitti, diatribe infinite fra i docenti e fra questi ultimi e i dirigenti, i cui esiti non sono neanche lontanamente immaginabili. Una legge che ha imposto una figura di capo assoluto, lontano ormai anni luce da quel detentore della leadership educativa, che basava il proprio ruolo e la propria autorevolezza sulla condivisione della funzione docente con il resto dei suoi colleghi. Ed invece non sono mancati i proclami di personaggi che affermano impunemente che le loro decisioni su tutto ciò che riguarda la vita delle istituzioni scolastiche sono “insindacabili”, a partire dall’attribuzione del bonus premiale a gruppi limitati di docenti, con qualche ardimentoso che è giunto a dire che egli poteva anche non tener conto dei criteri di attribuzione richiamati dalla legge e fissati insieme al Comitato di valutazione.
Siamo davvero giunti a tanto? Sembrerebbe proprio di sì. Ma non facciamo commenti, ci limitiamo a prendere atto di quello che è sotto gli occhi di tutti. Intanto qualche breve considerazione va riservata proprio al malinteso concetto di “premialità” applicato al famigerato bonus: innanzitutto, per la scuola italiana, prima di parlare di premi sarebbe sacrosanto applicare l’articolo 36 della Costituzione che stabilisce che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.” In Italia a giudizio unanime i livelli stipendiali dei docenti sono di gran lunga inferiori agli standard europei mentre, di fatto, la Scuola italiana si è uniformata in tutto e per tutto all’impostazione UE. Quindi, non è pensabile che si possa nascondere una grave inadempienza ed ingiustizia nazionale con un bonus che è servito soltanto a scatenare una conflittualità senza fine, avvelenando per di più il clima all’interno delle istituzioni scolastiche, sia fra docenti che nei confronti dei dirigenti.
È cosa buona e giusta premiare tutti i “capaci e meritevoli”, come pure è altrettanto sacrosanto punire i fannulloni ed i lavativi per come stabilisce la legge, ma la strada del bonus è la più sbagliata, poiché rischia di trasformarsi in una ennesima macchina infernale di ingiustizie e violenze morali.
Pio G. Sangiovanni