A cosa pensavano i padri costituenti quando hanno inserito nella Carta costituzionale della Repubblica Italiana l’espressione “Capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi”, per sancire in modo inequivocabile la necessità di garantire i sacrosanti principi di uguaglianza e giustizia sociale per tutti, senza distinzione di ceto di appartenenza ?
È una domanda che torna in modo più stringente soprattutto oggi che il problema dei diritti e dei valori di libertà e democrazia agita le vite di milioni di persone le quali, per professione o per naturale frequentazione, pensavano forse che quei principi fondamentali della Costituzione repubblicana, uscita dalla tragedia della guerra e della dittatura, fossero praticamente metabolizzati dal popolo italiano, a cominciare dalla classe politica per finire col popolo sovrano.
E invece non sembra proprio che le cose stiano così, siamo o fingiamo di essere un popolo di smemorati e stiamo arrivando al punto che i capaci e i meritevoli non sembra coincidano più col semplice essere cittadino, senza paternità speciale. Quando parla di “capaci e meritevoli” la Carta afferma, indubbiamente, un concetto che è di estrema attualità, da valere innanzitutto per i giovani che si affacciano al mondo della scuola e delle professioni, ma anche per tutti quelli che, proprio questi percorsi li preparano e li accompagnano. Capaci e meritevoli sono quelle centinaia di migliaia di uomini e donne che hanno dato speranza, fiducia, sicurezza e competenza in tutti i campi, senza temere concorrenze o rivali, a livello mondiale. I docenti, appunto, quelli che si vedono ogni giorno sottoposti ad una sorta di gogna, di essere cioè una categoria vista, probabilmente, con fastidio per il fatto che, nonostante tutto, la vita la trascorrono a fare in modo che le sorti dei giovani vengano indirizzate in positivo. Questi uomini e queste donne, per la quasi totalità, chiedono proprio di essere apprezzati e valorizzati sulla base del principio costituzionale di equità e rispetto della dignità umana, sulla base delle loro capacità e meriti, acquisiti e verificati quotidianamente sul campo.
Eppure questi insegnanti diventano ogni giorno sempre più poveri: la carriera se la sognano e se la pagano. La spesa pubblica è in continuo aumento nonostante a scuola si sia tagliato su tutto, non è certo la scuola allora che fa aumentare la spesa pubblica. Eppure col governo Renzi il blocco dei contratti è prorogato anche per l’anno 2015, l’indennità di vacanza contrattuale è congelata fino a tutto il 2018, i finanziamenti per l’autonomia ricevono un altro taglio di 30 milioni dal 2015. Una categoria ridotta ormai in condizioni di povertà e destinata a peggiorare ulteriormente la propria condizione, tutto il contrario di quanto avviene nel resto dell’Europa dove invece si continua ad investire nell’istruzione. Nonostante l’efficace campagna comunicativa, la Buona Scuola del governo Renzi, va in tutt’altra direzione, rispetto allo slogan di copertina: quella dell’invarianza di spesa, con tutte le attività per cui oggi sono previste delle indennità che rientreranno nella funzione docente.
Anche sul capitolo della Buona Scuola dedicato alla formazione e “carriera” dei docenti, nuove opportunità per tutti, recita l’accattivante volumetto governativo, il titolo è fuorviante, perché a beneficiare del nuovo sistema di progressione economica sarà il 66% dei docenti. Quindi c’è chi potrebbe essere escluso da qualsiasi aumento, pur avendo maturato dei crediti, e chissenefrega se rientra in coloro che sono veramente “capaci e meritevoli”. Probabilmente non tutti sono capaci e meritevoli, ma non possono essere ridotti o relegati per legge al 66%, davvero agghiacciante! Rivendicare e riconoscere la necessità di dare a ciascuno secondo le proprie capacità ed i propri meriti professionali, quel “diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro” di cui all’art. 36 della Costituzione, è la cosa più semplice e naturale da fare, il resto è soltanto barbarie.
Pio G. Sangiovanni