La parola chiave nell’azione del Governo è “flessibilità”. Sino a qualche decennio fa tale termine era considerato blasfemo nell’ambito del mondo del lavoro e i politici italiani erano attenti a non utilizzarlo, se non altro per non suscitare reazione prevedibili.
Era il tempo in cui la legge cercava di orientarsi alla legalità costituzionale e il liberismo economico era visto come un pericolo per le società democratiche.
Ebbene, quella sana idea, quel bel pensiero in cui tutti i cittadini potevano sentirsi garantiti da “uno Stato” nei propri diritti naturali, la casa, il lavoro, la famiglia, l’istruzione pubblica, la salute, le libertà personali e dal bisogno, etc, oggi, è svanito. Anzi considerato pensiero horribilis, da fannullone assistenzialista.
Si dice da più parti che chi ha voglia di lavorare deve essere capace di cambiare lavoro, trasformarsi, non cullarsi sull’assistenza e sull’intervento dello Stato: insomma deve essere flessibile, come flessibile deve essere il lavoro. Magari nei periodi in cui non si lavora si può rendere flessibile anche la pancia: si mangia una volta alla settimana.
La flessibilità ovviamente invade anche il mondo dell’istruzione pubblica. Anche l’istruzione deve dotarsi di flessibilità. Infatti, secondo le nuove direttive del Governo, il docente dovrà occuparsi anche di materie diverse, cosiddette affini, al fine di coprire i vuoti di organico nelle scuole in alcune discipline. Non si capisce tuttavia cosa il Governo intenda per materie affini. Diciamo, dunque, un docente eclettico, che dovrà essere preparatissimo in tutto, magari senza capirci nulla, ma nel segno del principio del lavoro flessibile.
Orbene, sotto la bandiera della flessibilità si nascondono due obiettivi, ormai non tanto occulti, della politica: lo svuotamento del ruolo e della funzione delle istituzioni scolastiche pubbliche e della qualità dell’insegnamento, a tutto vantaggio dei privati; l’affermazione di un pervasivo sistema di controllo che interessa tutto il sistema di istruzione e di formazione, che svuota le garanzie poste dalla Costituzione, ancor prima delle modifiche che alla stessa si vogliono imporre.