25/07/2007
Quale analisi del testo?
Prove nuove per un esame nuovo
Con la riforma degli esami di Stato conclusivi della scuola secondaria superiore, di cui alla legge 425/97, furono adottate scelte profondamente innovative per quanto riguarda le finalità stesse che esami di questo tipo devono perseguire. Era necessario superare ed abbandonare quanto dettato dalla precedente riforma, di cui alla legge 119/69, per la quale “l’esame di maturità ha come fine la valutazione globale della personalità del candidato” ed adottare criteri assolutamente nuovi, che rispondessero non solo alla evoluzione dei saperi, ma anche alla nuova domanda espressa dal mondo giovanile e alle esigenze della cultura e del lavoro che sempre più dovevano essere lette in chiave europea. Pertanto i nuovi esami “hanno come fine l’analisi e la verifica della preparazione di ciascun candidato in relazione agli obiettivi generali e specifici propri di ciascun indirizzo di studi”. Ed in tale ottica si proponeva alle commissioni di soprassedere alla formulazione di un “motivato giudizio” (legge 119/69) e di procedere, invece, ad utilizzare criteri che fossero i più oggettivi possibili ai fini della valutazione delle prove (da cui l’adozione dei punteggi) e di dare trasparenza alle effettive competenze, conoscenze e capacità acquisite dal candidato. Il fatto, poi, che nei modelli di diploma predisposti dall’Amministrazione si faccia solo la conta dei punteggi ottenuti e non si certifichi alcuna competenza è un altro discorso, da cui si evince soltanto che, in materia di competenze, non si è fatto in dieci anni alcun passo in avanti.
Da un tale processo riformatore le stesse prove d’esame hanno subito profondi cambiamenti. Non solo è stata introdotta una terza prova ed un colloquio, ambedue pluridisciplinari, ma la stessa prima prova scritta è stata rifondata, anche se solo parzialmente. Si trattava di doppiare il tema tradizionale, che tutta la ricerca linguistica ormai bollava da tempo, e sostituirlo con un’altra prova. La nuova legge in tal senso era molto chiara: “la prima prova scritta è intesa ad accertare la padronanza della lingua italiana o della lingua nella quale si svolge l’insegnamento, nonché le capacità espressive, logico linguistiche e critiche del candidato, consentendo la libera espressione della personale creatività”. Siamo lontani mille miglia dal tema e si apre la porta a mille altre prove, dall’analisi del testo al saggio breve, all’articolo di giornale, alla relazione, alla lettera, alla cronaca, all’intervista e a tutte quelle produzioni che siano, ovviamente, compatibili con quanto un esame consente: in effetti, non è facile scrivere una poesia o una novella a comando né produrre un ipertesto nel giro di qualche ora senza consultare fonti od utilizzare altri linguaggi! In una primissima battuta furono adottate le due prime tipologie delle attuali quattro e solo in seguito, per non costringere insegnanti e studenti a scelte così radicalmente innovative, furono aggiunte le tipologie C e D, di fatto sulla falsariga del tema tradizionale.
Specificità dell’analisi del testo
L’analisi del testo è una prova per certi versi completa, in quanto permette di accertare la padronanza linguistica – come vuole la legge – in molti dei suoi aspetti, la lettura, la decodifica, la comprensione, la ricerca del senso e del significato, la produzione di un testo di analisi e di sintesi, laddove sia consentito al candidato di esprimere un suo personale giudizio su ciò che ha letto. Non si tratta affatto di una prova semplice e richiede un insegnamento linguistico del tutto particolare. Ed anche la scelta del testo da sottoporre ad analisi e la proposta delle istruzioni di lavoro non sono affatto operazioni facili.
E’ per tutto questo insieme di ragioni che trovo la proposta di analizzare un “frammento” di un canto di Dante assolutamente inopportuna sia per l’oggetto che per le istruzioni di lavoro. Ma andiamo con ordine.
Chi si occupa di analisi del testo in genere in primo luogo si deve chiedere se il lettore/fruitore possiede le coordinate cognitive e culturali per procedere ad una corretta contestualizzazione e fino a quale livello può estendersi l’operazione analitica. In prima istanza deve sapere che, qualunque sia il numero dei quesiti che porrà, questi devono afferire comunque almeno a tre ambiti a) la comprensione letterale del testo. il suo livello esplicito o superficiale; b) la comprensione del significato o dei possibili significati del testo, il livello implicito, l’intenzione palese o tacita dell’autore; c) la reazione che il lettore ha nei confronti del testo, il livello comunicativo che comporta e che non è eguale per tutti i lettori. I quesiti assumono un valore assolutamente diverso in ordine alle seguenti variabili: se il testo è stato composto nel medesimo asse spazio/temporale del lettore fruitore (di fatto, un testo contemporaneo); se, invece il testo è stato composto in un altro asse spazio/temporale. Ovviamente, più un testo è distante nello spazio e nel tempo, più la cosiddetta contestualizzazione risulta difficile. Ovviamente può anche verificarsi il contrario: una favola di Esopo è “contestualizzabile” sotto il profilo della cosiddetta morale, ma un testo di Vattimo è contestualizzabile solo a condizione che il fruitore possegga tutte le coordinate culturali per “trovare” le chiavi per una corretta lettura/interpretazione. Altre variabili possono essere: la difficoltà del testo sotto il profilo della costruzione sintattica e delle implicazioni semantiche; la specificità del testo, che è tipica dei linguaggi cosiddetti settoriali e specialistici. Un buon lettore di un testo in linguaggio “comune” può avere serie difficoltà a fronte di un testo specialistico. Vi è anche il caso di un lettore talmente “immerso” in testi della sua specializzazione, culturale o professionale che sia, che trova difficoltà a fronte di un testo in lingua comune Se non si considerano queste variabili – e sono quelle ricorrenti ed irrinunciabili – è molto difficile proporre l’analisi di un teso, soprattutto in una sede come quella di un esame.
Non giochiamo con il Paradiso!!!
Che cosa è successo con la proposta del testo di Dante nella tornata d’esame dello scorso 20 giugno? Tentiamo – a nostra volta – un’analisi. 1) Si tratta di un testo estremamente specialistico proposto indifferentemente ad una platea di lettori assai diversificati: gli studenti degli istituti professionali non leggono Dante nell’ultima classe: quindi è stata preclusa ad una parte di questa platea la possibilità di affrontare la tipologia A della prima prova. Mi chiedo: per quale ragione non è stata proposta all’intera platea dei candidati l’analisi di un testo di tecnica delle costruzioni, o di meccanica applicata? Come avrebbero reagito gli studenti del liceo classico? Insomma una certa idea di cultura “nobile” e di cultura di serie B non è mai stata sconfitta! 2) Non si capisce perché la vita del San Francesco dantesco è stata mutilata. Il canto XI costituisce un unicum da cui non si può prescindere, anche se si vuole verificare la comprensione solo di una parte. La vita del Santo senza i tre sigilli della seconda parte del canto non si comprende nella sua grandezza e valore. 3) Le poche righe di presentazione del testo sono assolutamente insufficienti ad introdurre il fruitore alla prova. Sono banali e scorrette: è un’offesa per il buon padre Dante! Il redattore avrebbe dovuto dire, tra l’altro, che San Tommaso d’Aquino (1225-1274), domenicano, descrive la figura di San Francesco (1182-1226) e che nel canto successivo S. Bonaventura (1221-1274), francescano, descrive la figura di San Domenico (1170-1221). La vita di San Francesco, nella lettura che dà Dante, è inscindibile da quella di San Domenico per tutta una serie di ragioni che riguardano la cultura di un Dante che vuole costantemente ricondurre ad unitarietà ciò che ad altri suoi contemporanei sembrava, ed era, in forte opposizione: Domenicani e Francescani hanno solo per Dante una matrice largamente comune. Ed il chiasmo con cui egli lega e rappresenta i quattro santi costituisce una geniale ed audace intuizione, date le opinioni allora correnti. 4) Non mi si obietti che sarebbe stata complessa una proposta di analisi siffatta. La risposta è semplice: andava assolutamente esclusa. Non si può giocare con Dante! Del resto, non comprenderemmo neanche Romeo e Giulietta se ci fermassimo al matrimonio segreto: sarebbe una storia d’amore a lieto fine! Come quella di Enea e Didone all’interno della grotta… e i destini di Roma dove li mettiamo?! Un’opera d’arte è un tutto e non una somma di parti! Mi domando: e se il nostro redattore ministeriale avesse scelto il canto secondo del Paradiso? E’ uno dei più difficili e controversi della Commedia che difficilmente un insegnante affronta: siamo in una vera e propria schola medievale e Beatrice confuta con argomentazioni logicamente serrate e inoppugnabili, ovviamente una volta accettate come buone le premesse. le opinioni che Dante le propone in merito alle cause della macchie lunari. Se non si ha conoscenza della concezione dell’universo in quell’epoca, difficilmente si possono seguire i ragionamenti di Beatrice.
Insomma, lasciamo i santi e giochiamo con i fanti! Non facciamo i “difficili” in un esame di Stato, in una prova che ha un suo valore e una sua dignità e che non può essere trattata come un quiz televisivo! E’ un gran peccato! Perché le altre tipologie della prima prova scritta questa volta hanno avuto una loro dignità!
Roma, 22 giugno 2007
Maurizio Tiriticco