Analisi & Commenti

Didattica a distanza, è tempo riflessioni

di Raffaela Grazia Grisolia


Viviamo tempi difficili, crisi di diversa natura si intrecciano e compongono un quadro di crescente complessità, per le persone, le organizzazioni, gli Stati. La pandemia globale è un fenomeno in sé non del tutto inatteso, ma certamente inaspettato e imprevisto nella sua violenza e diffusione planetaria. Ha già effetti estremamente significativi per la nostra vita personale, ha e avrà effetti significativi sul lavoro, i redditi, l’occupazione.

Siamo nella fase in cui tutti stiamo imparando, ora.

Molto è già stato detto sul modo in cui abbiamo affrontato e stiamo affrontando il contesto legato a Covid-19 e su come sarà il futuro. I punti su cui vorrei soffermarmi sono piuttosto “cosa stiamo imparando” da questa pandemia? Quale lezione io come insegnante ho appreso dalla pandemia? Possiamo considerare quest’urgenza come un’opportunità? Ritengo certamente sì. In realtà è una grande opportunità di apprendimento, perché dobbiamo affrontare ambienti incerti, dobbiamo prendere decisioni graduali e progressive, dobbiamo essere in grado di gestire l’alto livello di stress che ci proviene dal contesto incerto, dobbiamo essere quindi resilienti.

Per affrontare questo periodo e per non perdere la “relazione educativa” con gli studenti abbiamo dovuto adottare la didattica a distanza. Siamo stati costretti a stare in quarantena per evitare il diffondersi del virus; metodo impiegato, come la storia ci consegna, fin dal medioevo per affrontare le epidemie (come) ad esempio la peste nera del ‘300 che, unitamente alla guerra dei cento anni, mise in crisi l’organizzazione della società feudale in Inghilterra e poi nel resto d’Europa. Iniziò così un cambiamento dell’organizzazione economica e sociale, che è stata adottata   poi a livello globale.

Purtroppo anche oggi nonostante l’evoluzione del pensiero, della ricerca scientifica, che si traduce per l’umano vivere con le tecnologie, utilizzate nella gestione dei vari processi produttivi per realizzare beni volti a soddisfare bisogni sia individuali che collettivi, di fronte al diffondersi del virus abbiamo adottato le stesse modalità: l’isolamento, la quarantena.

La realizzazione di beni /servizi è affidata alle organizzazioni, che sono artefatti umani e che   hanno come obiettivo processi di trasformazione. La scuola è un’organizzazione, ma è una delle attività più complesse, in cui si realizza un servizio utile e fondamentale per la società: la formazione dei giovani. Attività complessa in quanto prevede l’interazione di essere umani, quindi sistemi complessi aperti in rete (aperto: in quanto è in comunicazione con il suo ambiente; in rete: perché si tratta di processi organizzati non secondo linee sequenziali).

L’adolescenza rappresenta uno dei momenti più delicati del percorso di crescita di una persona e rapportarsi ad un adolescente è complesso per due ragioni: il primo è che spesso l’adolescente sceglie, o qualcuno sceglie per lui, un percorso di studio per il quale può non essere motivato, il secondo la personalità dell’adolescente si connota per un’elevata conflittualità con l’adulto.  L’adolescenza è la fase di vita in cui si costruisce e si afferma la personalità dell’individuo, anche nella sua dimensione sociale, a partire dalla famiglia.

Per giustificare e validare il periodo di quarantena, è stata utilizzata l’espressione “distanza  sociale”, che è di per sé una contraddizione, (tranne se non viene usata nella prossemica): se l’uomo è una animale sociale, se l’aggregarsi della specie umana ha consentito  agli uomini di aver un “dominio” sul mondo , rispetto alle altre specie, sicuramente uno degli elementi, se non l’elemento fondamentale è stata la socialità, come si può usare l’espressione “distanza sociale” per far si che le persone abbiano un comportamento di “distanza fisica” , che è ben altra cosa?

Ancora una volta la relazione tra uomini è di vitale importanza per l’umanità. Robinson Crusoe in cui Defoe ipotizza, o prova, che l’uomo può vivere da solo, di fatto nello sviluppo della storia cambia le cose.  Robinson “ha un bisogno costitutivo “della presenza di un altro essere umano, Venerdi, per completare la ricostruzione della società inglese.

Il processo che avviene a scuola è soprattutto quello della comunicazione, ma in generale è tutta la società che viene coinvolta nei processi di comunicazione; e oggi di fronte ad un mondo che viaggia “on line” che si ritrova su web e sui social bisogna stare attenti al modo come si utilizzano i mezzi di comunicazione e alle parole dette. 

Ho avuto modo di verificare che spesso o si ha un atteggiamento superficiale nei confronti della comunicazione, o si utilizzano volutamente i messaggi in un certo modo. Nel primo caso si ignorano gli effetti che la comunicazione, quindi le parole, producono nella riattivazione dei circuiti neuronali, che mettono in moto la memoria emotiva e l’inconscio, avendo effetti sul sistema cognitivo, per cui si hanno atteggiamenti positivi o negativi nei confronti della situazione.

Nel secondo caso invece si conoscono molto bene gli effetti e allora quelle parole utilizzate sono intenzionali perché devono produrre un comportamento.  Non a caso in questo periodo di lockdown sono state usate parole come il “nemico invisibile”, “siamo in una guerra”, “eroi”. Termini che riattivano comportamenti usati in periodi in cui l’umanità viveva in uno stato di guerra. L’utilizzo di determinati vocaboli, che evocano pericoli e generano insicurezza, e quindi paura, trovano riscontro nella teoria elaborata da Eric Fromm che solo di fronte a pericoli (ad incertezze, cose non ben definite,) che generano paura nella mente umana, si ottiene un cambiamento rapido e veloce, con effetti spesso non positivi per lo sviluppo del pensiero umano.

Mentre il coinvolgimento nella comprensione e definizione degli elementi che determinano quella particolare situazione, sembrerebbe avere effetti più positivi nel fronteggiare e gestire il processo stesso. della disfunzione. È il caso della Nuova Zelanda, in cui la efficace mediazione della politica ha fatto sì che gli effetti della pandemia sulla società fossero diversi rispetto ad altre parti del mondo.

Certamente non è con la distanza sociale, con il coinvolgimento di soli specialisti, come virologi, epidemiologi, ritornando ahimè ad una visione meccanicistica della medicina (come ipotizzava Cartesio) e sacrificando una   visione olistica della persona, che si ottengono dei risultati positivi per il vivere sociale. Se ci fermiamo al concetto meccanicistico della malattia per cui esiste il cancro, esiste il virus, che va affrontata senza tener conto dell’individuo, del malato, dell’ambiente in cui vive, recuperiamo una concezione che si è dimostrata inefficace il più delle volte. Essendo il cervello degli esseri viventi un sistema complesso aperto in rete, è necessario tener conto dei vari elementi che concorrono al passaggio da uno stato fisiologico a uno stato patologico e la trasformazione del processo da patologico a fisiologico, se si vogliono ottenere dei risultati efficaci e in un tempo breve, deve rispettare questa visione olistica della persona.  È la nuova medicina che propone un modo diverso di intendere la “malattia” , più appropriato, e le nuove frontiere, addirittura, sono foriere dell’uso delle parole  (story telling) per ricostruire reti neuronali che “riparano il danno “ .

Al pari il mondo della formazione  e quindi della scuola, in cui certamente non parliamo di malattia, ma parliamo di processi di trasformazione: gli studenti, e soprattutto quelli della scuola secondaria di secondo grado, devono alla fine del percorso essere in grado di fare delle scelte : di vita, di lavoro, di studio; dobbiamo in una parola renderli cittadini consapevoli, in grado di avere un’esistenza  dignitosa per loro e per la società.

Consapevole di questo, di quanto prescritto dall’autonomia scolastica in cui bisogna progettare il giusto intervento formativo per ogni singolo alunno, (non uno di meno…), di quanto assegnato ai saperi delle scienze filosofiche dalle indicazioni ministeriali, ho affrontato questo periodo (in cui abbiamo attuato la didattica a distanza, forse sarebbe meglio parlare di didattica di emergenza,) verificando i limiti ed eventuali elementi positivi della DAD.

Il primo limite che ho potuto rilevare è che le tecnologie, che abbiamo dovuto adottare in maniera accelerata, deputate a mediare il rapporto tra studenti e docenti, hanno generato   delle differenziazioni, in quanto le condizioni di utilizzo sono state diverse, sia per capacità personali che per disponibilità. Questo ha generato delle disomogeneità nei processi di cambiamento del sistema cognitivo di ogni singolo alunno. Gli studenti che nel loro lavoro facevano già uso di queste tecnologie, potendo attingere dalle varie piattaforme, hanno migliorato ancor di più il proprio processo formativo, mentre chi non era in queste condizioni ha allargato i suoi gap formativi. In alcuni casi ha provocato l’allontanamento totale dalla scuola. E’ il caso di  qualche alunno che non ha mai partecipato alle video lezioni,  non perché manchevole di hardware o software o di capacità di utilizzo, bensì riprodurre il proprio  coinvolgimento in un contesto carico di comunicazione emotiva, quando invece  era  abituato  a condividere lo spazio fisicamente con i propri compagni ( mi ha scritto un’alunna: siamo fisici, mi manca quel contatto, siamo corpi che sentiamo, soffriamo …..),  ha generato delle forme di inibizione, dettate dall’emotività,  e causate dall’utilizzo del mezzo di comunicazione che mediava la partecipazione.

Si è verificato che qualche alunno, in maniera disinvolta, si è presentato mentre si asciugava i capelli o indossava abiti non adatti, questo perché il luogo non era quello formale dell’educazione e dell’istruzione, bensì l’essere a casa propria ha “giustificato” gli studenti nel comportarsi in siffatto modo. È quello che succede tra i ragazzi quando si “connettono” e non quando si “relazionano”. C’è di più: in quanto sistemi complessi aperti in rete veniamo influenzati nel nostro processo di apprendimento dallo spazio fisicamente occupato e durante le video lezioni il nostro interagire con gli studenti, schermato e parcellizzato, non ha potuto essere efficace come di solito avviene in presenza. Molti studenti probabilmente si distraevano con altro: quanti di loro mentre erano in collegamento utilizzavano forse il telefonino?  Quanti, forse, facevano altro, o venivano distratti da “altro” perché quello schermo li stigmatizzava in un quadratino? Abbiamo potuto verificare quali sono stati gli elementi che hanno modificato il processo cognitivo di ogni singolo alunno? Probabilmente no, perché non abbiamo potuto verificare “il processo “stesso di apprendimento, le difficoltà incontrate, gli errori commessi.

C’ è un altro elemento di debolezza nella didattica a distanza, che secondo me può essere solo un surrogato temporaneo affinché un’interruzione non si trasformi in abbandono e isolamento: manca la possibilità di verificare quali sono le motivazioni /bisogni dei nostri studenti, che il più delle volte non sono motivati alle lezioni , ma al rapporto con il gruppo dei pari; qual è il livello culturale e psicologico degli stessi, inteso come maturità rispetto al compito (capacità per cultura di ascoltare e/o contribuire), e come maturità psicologica ( intesa come disponibilità all’ascolto e/o contribuzione).

Elementi essenziali questi perché bisogna fare “un patto formativo “con l’alunno, da dove partiamo e dove vogliamo arrivare. Un patto che già presenta delle sue debolezze in presenza, in quanto i nostri studenti spesso non sono motivati, (si parla ormai da tempo di “disaffezione “degli studenti verso il mondo della scuola), figurarsi a distanza.  Queste le difficoltà incontrate. Ho sottoposto, e preteso, che i  miei studenti mi fornissero  la loro visione sulla  DAD e ho dovuto rilevare che, tranne qualche sparuto caso, la maggior parte ha sofferto l’allontanamento del luogo fisico e dell’incontro con il gruppo dei pari,  e non solo. Qualcuno mi ha scritto “mi sono mancate le carezze, gli sguardi, la tensione per l’interrogazione, la presunta svogliatezza di non voler studiare, di trovare delle scusanti con i prof …”. Ho cercato di rassicurare gli studenti, “sminuendo il loro malessere” e dicendo “cosa sarà mai uno o due mesi quando avete tutta la vita davanti “? Dimenticavo che l’adulto e l’adolescente hanno percezioni diverse del tempo. Mi sono chiesta: potrebbe essere molto pesante per i nostri ragazzi  l’assenza del corpo, del confronto fisico con l’altro, il bisogno di abbracciarsi.  Gli adolescenti costruiscono l’immagine del proprio corpo in mutamento anche a partire dal confronto con i corpi dei pari, che in questa fase sono stati filtrati, parcellizzati dalla mediazione degli schermi e mutilati dalle dimensioni sensoriali del tatto e dell’olfatto. Tutto questo è venuto meno e non sappiamo quali saranno i danni che ne riceveranno.

Se questi fenomeni che da tempo si verificano (Ebola, Sars.. e oggi Coronavirus) non sono episodici ma strutturali e dipendono dall’elevata densità della popolazione , dai cambiamenti ambientali , creati dall’uomo ( la deforestazione, l’aumento degli allevamenti intensivi a discapito della biodiversità…) allora siamo di fronte ad una trasformazione epocale e non possiamo determinare un impoverimento dei processi formativi .

Bisogna in primis formare al cambiamento , alla capacità di resilienza . Sette ragazzi su dieci di quanti stanno ora studiando, saranno impiegati in un lavoro che ancora non esiste . Questo è un dato che ci deve far riflettere : è importante lavorare sulla persona e sulla sua capacità di ragionare in termini di modelli astratti: se  ci pensiamo , l’uomo è l’unico elemento che rimarrà al centro degli sconvolgimenti , presenti e futuri. Per questo  i progetti di cambiamento  sono il nostro banco di prova, in quanto consentono di acquisire nuove competenze professionali , con conoscenze interdisciplinari operanti in modo dinamico,  e applicarle subito.

E’ opportuno quindi studiare nuove configurazioni, o meglio ibridazioni , tra fisico e digitale , per evitare di “ fare lezione “ in video, dimenticando  che la lezione è quella che si fa in aula, in presenza in cui studenti e docenti comunicano non solo con le parole , ma con i gesti, con gli sguardi e quegli gesti e sguardi, anche se in maniera intuitiva e senza scomodare  la PNL ( programmazione neurolinguistica)  o l’Analisi Transazionale ,  ci consegnano lo stato dell’io del nostro alunno, cosa che non possiamo verificare assolutamente con la video lezione…

E’ interessante constatare, e la pandemia ha solo accelerato questa constatazione, come l’ingresso nella cosiddetta quarta rivoluzione industriale , caratterizzata dall’uso di tecnologie sempre più potenti e interconnesse,  ( che vedranno in futuro l’utilizzo sempre più diffuso di sistemi basati sull’intelligenza artificiale ) , coincida con una rinnovata attenzione e sensibilità al fattore umano .

Il mondo della formazione , e la scuola secondaria di secondo grado in questo caso è chiamata in causa perché coincide con quella fase della vita in cui gli studenti alla fine del percorso fanno scelte di vita, di studio e di lavoro, si trova in una sfida epocale.  Se abbiamo individuato le competenze che saranno determinanti per affrontare efficacemente questo passaggio, è di sicuro un aspetto importante.

La particolare natura delle competenze in gioco richiederà tuttavia un grande sforzo per formare persone capaci gestire questi processi.

Si tratta di una sfida che dobbiamo affrontare, una sorta di nuovo umanesimo dell’era del digitale, chiamato ad attingere ai valori più alti dell’intelligenza umana, racchiusi, io dico e proposto agli studenti, in quello che Gardner chiama “Le cinque chiavi per il futuro”, ossia le cinque intelligenze: disciplinare, sintetica, creativa, rispettosa ed etica. Proprio perché questi cambiamenti (accelerazione della globalizzazione, la crescente mole di informazione, la sbalorditiva esplosione delle potenzialità della scienza e della tecnica, il decadimento della civiltà) richiedono nuove forme di apprendimento e nuovi modi di pensare, nella scuola, nel lavoro e nella vita pubblica, è importante sviluppare queste abilità cognitive di cui sopra.

Un compito a cui la scuola non potrà sottrarsi, dovendo ricercare sempre di realizzare un confronto dialettico tra tutti i saperi.

Raffaela Grazia Grisolia

 

 

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