Le mie ultime riflessioni sulla necessità di avviare un discorso serio sulla valutazione di sistema, quindi sul ruolo del Miur, dell’Invalsi e delle istituzioni scolastiche, hanno suscitato numerose reazioni. Tutti concordano: se il prossimo anno scolastico non si vuole andare a un’altra débacle, con prove sbagliate, insegnanti inviperiti, un Invalsi e un Miur impallinati, occorre cominciare subito a cambiare le cose.
In primo luogo occorre essere convinti di due circostanze:
a) della necessità di una valutazione esterna degli apprendimenti, che si coniughi con la valutazione interna esercitata dagli insegnanti e che si rende quanto mai necessaria almeno per due ragioni: conoscere ciò che i nostri studenti sanno e sanno fare al termine di dati percorsi di studio, anche perché ce lo chiedono il mondo del lavoro e l’Europa; ricondurre ad unità di sistema obiettivi terminali di apprendimento per sostenere le scuole le cui offerte educative, stante il regime di autonomia, sono estremamente diversificate;
b) della necessità di riorganizzare tutto l’assetto istituzionale che riguarda i rapporti tra Miur e Invalsi e, soprattutto, di mettere in grado l’Invalsi di adempiere ai propri compiti con successo: il che si riassume in tre parole: indipendenza, adeguate risorse finanziarie; elevata professionalità degli addetti.
Si tratta di un iter processuale complesso a cui si dovrebbe dare inizio… subbbito!!! Non vorrei che, passata la buriana, con l’estate di mezzo, il tutto passasse in cavalleria: gli ombrelloni sono sempre degli ottimi scacciapensieri. Perché a settembre non saranno pochi i collegi che dichiareranno di non essere disponibili a sottoporre le prove Invalsi ai loro alunni se non a precise condizioni. Che poi di fatto saranno quattro: adeguatezza delle prove agli obiettivi perseguiti nelle classi di riferimento; rigore scientifico e docimologico delle prove stesse; nessun rapporto tra esiti delle prove e valutazione degli insegnanti; chiarezza sui compiti da svolgere da parte dell’Invalsi e delle scuole senza particolare aggravio per il personale.
Riuscirà il Miur ad avviare un processo di questo tipo? Sarebbe il caso che assumesse una posizione chiara in merito e che non si ripetesse tra un anno l’esperienza tragica degli errori nelle griglie di valutazione della prova d’esame di terza media, spudoratamente giustificata dal ministro con una dichiarazione infastidita, supponente e offensiva nei confronti degli insegnanti! Umiliati e offesi!
Tornando al cuore del problema, ritengo che il nodo di fondo sia l’autonomia azzoppata. Ma entriamo nei dettagli. Il contesto sistemico è – o dovrebbe essere – il seguente:
a) il Miur definisce gli obiettivi generali del processo formativo nonché – nella fattispecie che ci interessa – gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni (dpr 275, art. 8);
b) le istituzioni scolastiche progettano e realizzano gli interventi di educazione, formazione e istruzione (dpr 275, art.1);
c) l’Invalsi effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti (legge 53/03, art. 3, c. 1. b).
Se questo è il sistema, qual è il suo stato?
Sub a: gli unici obiettivi-competenze terminali indicati dal Miur sono quelli relativi alla conclusione dell’obbligo di istruzione (dm139/07). Per quanto riguarda la quinta primaria e la terza media, com’è noto, le competenze da certificare sono affidate alla discrezione degli insegnanti; per le classi seconda primaria e prima media, non c’è nulla: quindi come sopra.
Sub b: le istituzioni scolastiche procedono secondo criteri assolutamente discrezionali: questi sarebbero più che giustificati in materia di scelte programmatorie, ma non in materia di obiettivi terminali. Com’è noto, vigono le Indicazioni della Moratti e quelle di Fioroni, per non dire delle forti suggestioni che ancora esercitano su molti insegnanti i programmi del ’79 e quelli dell’85. Il che non è privo di ricadute in termini di selezione degli obiettivi.
Sub c: in tale situazione gli esperti dell’Invalsi fanno quello che possono in ordine agli obiettivi da testare, non disponendo di riferimenti certi; se poi ci aggiungiamo gli errori marchiani in ordine agli item e alla loro correzione, il gioco… il tragico gioco… è fatto!
Da quanto detto, emerge che la chiave di tutte le difficoltà va ricercata in un’autonomia mancata! Eppure negli anni Novanta in molti abbiamo coltivato questa grande speranza! Ma, facciamo un po’ di storia al proposito. L’autonomia era già scritta nella Costituzione del ’47 – i Padri costituenti avevano visto giusto – ma… le macerie e le difficoltà del dopoguerra e un apparato statale ancora centralista nella sua struttura e albertino nella sua vocazione non permettevano che si avviasse subito una Repubblica fondata sulle autonomie delle Regioni, degli Enti locali e della stessa Pubblica amministrazione. Pertanto, solo a decenni di distanza cominciammo a parlare di autonomia: così, lo sviluppo della democrazia e della partecipazione popolare alla cosa pubblica contribuirono a sollecitare e a sviluppare il dibattito su questo tema. Il primo concreto avvio dell’autonomia lo avemmo con la legge 241/90 (nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), a cui seguirono il dlgs 29/93 (nuovi criteri organizzativi per PA e pubblico impiego), la dpcm 27/1/94 (principi sull’erogazione dei servizi pubblici). Furono varate le prime carte dei servizi da parte di enti e di pubbliche amministrazioni. Per quanto riguarda la scuola, con il dpcm 7/6/95 venne varato lo schema della Carta dei servizi scolastici, a cui le scuole si attennero per la redazione delle singole carte. Seguì una stagione intensa di cambiamenti nelle scuole, che vennero infine coronati dal dpr 275/99, attuativo dell’articolo 21 della legge delega 59/97 (delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa). Lo sviluppo delle autonomie spinse anche a una revisione della Carta costituzionale e, con la legge costituzionale 3 del 2001, l’intero Titolo V, che regola i rapporti tra Stato, Regioni, Province e Comuni, venne totalmente riscritto.
E allora, con il profluvio di tutta questa normativa, perché il processo autonomistico non ha sortito i suoi effetti? Eppure, anche il Ministero dell’Istruzione ha cambiato la sua struttura (il primo provvedimento è il dlgs 300/99): non deve più governare le scuole, ma limitarsi alla cosiddetta governance, a orientare e a indirizzare, attendere alle “norme generali sull’istruzione”. Non esistono più le Direzioni generali di un tempo, saldamente collegate alle scuole; per quanto riguarda la scuola sono attivi due dipartimenti, quello dell’istruzione e quello della programmazione: quindi dovremmo avere un ministero leggero, come si suol dire! Eppure, mai tanti decreti, direttive, circolari e circolari esplicative e correttive si sono abbattuti sulle scuole… proprio da quando è partita l’autonomia. Che cos’è che ha fatto ingrippare il motore? A mio giudizio, più fattori concorrenti, almeno due: a) le numerose incertezze interpretative del Titolo V in materia di istruzione e di istruzione e formazione professionale e delle attribuzioni delle competenze legislative dello Stato e delle Regioni; b) l’incapacità di apparati statali, da sempre soliti ad amministrare la cosa pubblica con un’ottica burocratica, di convertirsi a governare secondo una prospettiva di lungo respiro e un’ottica sistemica. Pertanto, l’insufficienza normativa e l’inettitudine amministrativa sembrano avvitarsi una con l’altra; gli esiti di tale situazione sono sotto gli occhi di tutti. Se poi aggiungiamo la scelta che l’attuale governo ha effettuato in materia di istruzione, quella di tagliare su un settore che invece necessita assolutamente di essere sostenuto e incentivato – dove va a finire tutta la retorica della società della conoscenza? – les jeux sont faits!
Detto questo, possiamo credere ad una valutazione di sistema che sia veramente tale? Riusciranno i nostri eroi nel giro di un anno ad avviare un processo valutativo credibile, che le scuole accettino, anzi… addirittura lo esigano? Ho molti dubbi!
Roma, 25 giugno 2011
Maurizio Tiriticco