4/08/2003
Rifessioni da un seminario romano
Si è svolto a Roma il 29 e 30 marzo scorso un seminario su ” Identità e deontologia dei docenti nella scuola pubblica e nella società della conoscenza “, organizzato dall’associazione Proteo e da Cgil-scuola. Un’ intera giornata è stata dedicata ad interventi e confronti su deontologia e professione docente ed alla conseguente e sempre più attuale ipotesi della definizione di un codice etico.
Erano presenti le organizzazioni confederali della scuola, lo Snals e le associazioni professionali degli insegnanti sia laiche che cattoliche, maggiormente impegnate sull’argomento.
Il fatto che anche il mondo confederale scolastico, e la Cgil in particolare, sia promotore di questo tipo di dibattito e degli inevitabili pre-requisiti ( il carattere professionale – autonomo della docenza ) e problematiche ( la necessità di nuovi profili professionali nella dimensione autonoma della scuola) ad esso collegati, non può che essere accolta con favore da chi, come l’AND, ha a cuore il riconoscimento “professionale” del lavoro docente con i relativi adeguamenti giuridici che questo comporta.
Anche se tutti siamo ben consci che è stata proprio quella parte sindacale, con la sua politica culturale e contrattuale degli ultimi trenta anni, ad impedire e relegare in un ruolo esecutivo la funzione docente, non possiamo, laicamente, non cogliere come positivo il fatto che quella parte sindacale, comunque maggioritaria in termini di consensi, e quindi determinante, sia coinvolta ormai “pubblicamente” su questo tema. Certamente vi è stata trascinata dall’inevitabile rivoluzione che il processo dell’autonomia porta con sé in termini di “reali ” riconoscimenti e concrete “attribuzioni” di responsabilità agli insegnanti; certamente non ha potuto più nascondersi di fronte alla generalizzazione del dibattito su questo tema; certamente da buona ultima arrivata e, soprattutto, permeata di ben altri imput teorici, correrà il rischio di stravolgere il senso vero della questione…., ma, poiché non siamo fra quelli che demonizzano l’avversario (individuandolo come “nemico”, invece che, appunto, come “avversario”), plaudiamo all’iniziativa, perché, comunque, ragionare e far circolare opininioni fa sempre bene.
Tra gli interventi dei relatori particolarmente significativo è stato quello di Piero Romei, dell’Università di Bologna, che già aveva dato un contributo importante con la stesura del ” Manifesto dell’Autonomia”, presentato nell’omonimo convegno di Roma del 5 Ottobre 2000. Romei, infatti, ha ben compreso la necessità di ribadire e contemporaneamente riformare i requisiti professionali del docente, specialista di un insegnamento (non più impiegatizio, tantomeno artigianale), che fa della sua competenza disciplinare l’ elemento centrale per individuare i possibili canali dell’apprendimento, partendo proprio dalle nuove esigenze declinate dall’autonomia.
Assertore della necessità di un codice deontologico, ritiene che debba però essere traducibile in regole operative, nel senso che l’etica ha bisogno di una complessa “etichetta” che, nel caso in questione, è costituita dal profilo professionale del docente.
Romei sembra inoltre individuare con estrema lucidità la situazione attuale quando afferma che ” l’autonomia conferisce agli istituti il ruolo di soggetti politici, abilitati alla progettazione, ma contemporaneamente richiede l’adesione ad un modo di lavorare collettivo “, che è poi la vera novità nell’organizzazione del lavoro che l’ Autonomia, appunto, ha “aggiunto” alla funzione docente. L’autonomia porta con sé una valorizzazione del concetto di “collega” , che porta, a sua volta, una legittimazione dei ruoli di coordinamento senza i quali la dimensione collettiva ( intesa come decisioni prese in gruppo) muore.
Tutto ciò è ovviamente incompatibile con una ormai anacronistica deriva individualistica all’interno della scuola e della professione docente nel suo complesso. E, coerentemente, secondo Romei, anche questo aspetto andrebbe inserito nella stesura di un codice deontologico.
Questa premessa gli consente, inoltre, di dare una interessante lettura dei motivi del fallimento del famigerato art.29, del Concorsaccio, che definisce “rinforzo della cultura individualistica, antitetica allo spirito dell’autonomia. Il Concorsaccio faceva correre da soli, contro i colleghi; proponeva una valutazione fatta da soggetti esterni; e premiava solo per il saper e non per il saper insegnare.
Per Romei, infatti, qualunque momento valutativo deve chiarire prima il modello a cui si riferisce, per non essere destinato al fallimento.
Queste puntuali osservazioni hanno ovviamente enucleato le contraddizioni del percorso che i Confederali hanno portato avanti nelle fasi di individuazione e di successiva stesura dell’ art. 29 del contratto.
Nel dibattito seguito alla relazione di Romei, è venuta alla luce tutta la difficoltà confederale sull’argomento, difficoltà che si è manifestata attraverso l’impostazione di una linea sostanzialmente solo difensiva, perché ormai non v’è organizzazione professionale o sindacale che non sia d’accordo sulla necessità di una riconfigurazione della figura docente. Su questo piano l’intervento più significativo è quello del rappresentante della Cisl, Giulietti, neo-vicepresidente del CNPI, ( a rotazione dopo cgil, snals) che ha affermato ( finalmente! ) che lo status docente deriva in primis da una condizione ordinamentale ed istituzionale, e, solo in seconda battuta, da una condizione pattizzia di tipo contrattuale!
Giulietti ha riconosciuto che con l’autonomia i docenti stanno passando da una dimensione impiegatizia ad una professionale (!!!!) e che la dimensione collegiale dell’autonomia si deve esplicitare nella libertà di insegnamento.
E’ evidente che la bocciatura del concorsaccio da parte della categoria, deve essere stata una lezione di non poco peso se ha sentito di dover ribadire, per due volte, il fatto che la ridefinizione dei profili professionali richiede l’intervento più alto del Parlamento. E, com’era facilmente ipotizzabile, su questa linea si è mosso anche il rappresentante dello Snals.
Nel corso del dibattito sono poi stati illustrati gli elementi fondanti di un possibile Codice, alcuni dei quali già concretamente ipotizzati da alcune organizzazioni professionali.
Vale la pena riportare un passo, illustrato nel corso del dibattito, che fa riferimento all’etica professionale: “non rivendicare da altri l’autorità della professione, con atteggiamenti di delega, di rinuncia o sottomissione, ma costruirla nell’azione con comportamenti che la valorizzino e la tutelino dall’impoverimento e dal degrado”.
Correttamente, è stata citata, come esempio di mancato rispetto dell’etica della professione, la sistematica assenza di selezione qualitativa che ha caratterizzato le ultime vicende di immissione in ruolo.
Nel dibattito, più d’uno ha fatto riferimento al bisogno di istituire un Ordine Professionale degli insegnanti, che sembrerebbe essere il naturale e logico corollario del codice etico, e quindi dell’effettivo collocamento della funzione docente nella categoria delle Professioni, ma nell’intervento conclusivo, Enrico Panini ha bocciato l’ipotesi, senza appello, smorzando gli eventuali, eccessivi ottimismi indotti dall’andamento complessivo della discussione.
Tuttavia la ripresa di un dibattito a trecentosessanta gradi nel mondo della scuola sulla necessità di declinare etiche di comportamento professionale, ( la costruzione di un codice deontologico non è cosa recente, l’Uciim, l’organizzazione degli insegnanti cattolici, vi aveva lavorato già dal lontano 1977 e successivamente anche altri, come A.Balducci su ” il Voltaire “, avevano sviluppato l’argomento,), deve farci ben sperare. Forse, l’approccio nei confronti della nostra professione, finalmente, a tutti i livelli sta mutando ed è lecito ipotizzare che in anche in Italia, la strada dell’Associazionismo professionale come rappresentanza degli insegnanti sia meno in salita.